di ANTONIO GOZZI
Spesso si legge e si dice che il mondo negli ultimi anni è cambiato e in peggio. Certamente ciò è vero per noi occidentali, e per noi europei in particolare.
La mia generazione ha avuto la straordinaria fortuna di nascere e vivere un lungo periodo di pace e di prosperità, una fase senza eguali e senza precedenti nel nostro continente. Un periodo in cui, contrariamente a quanto accaduto ai padri e ai nonni, la guerra non ha fatto parte della nostra vita, con tutto il suo portato tragico di lutti, di distruzione e di morte.
Protetti dall’ombrello atomico americano e dalle armi della NATO (le cui spese in questi 80 anni per più della metà sono state a carico dei contribuenti americani) gli europei si sono potuti occupare di crescita, di welfare, di diritti civili, di ambiente ecc. Ed hanno pensato di essere diventati i più bravi, intelligenti e belli del mondo; i primi della classe insomma, capaci di imporre a tutti le proprie regole e la propria visione, e a questo chiamati.
Abbiamo coniato il termine “soft power”, intendendo con questo l’illusione che tutto potesse essere regolato senza l’uso della forza ma sulla base di un sistema multilaterale di regole e diritti che la comunità internazionale, per essere tale, doveva rispettare.
Con la caduta del comunismo e del muro di Berlino qualcuno è arrivato a parlare di “fine della storia”, sostenendo che il mondo si era ormai avviato ad un’omologazione totale guidata dagli standard economici e giuridici dell’Occidente.
Non era così; e come spesso succede, riscuotersi dal sonno della presunzione è stato un brusco e brutto risveglio.
Vorrei riassumere quello che è avvenuto negli ultimi tre anni con il deflagrare di due conflitti alle porte dell’Europa, Ucraina e Medio Oriente.
Senza fare ragionamenti sulle cause fondanti dei due conflitti, ma solo limitandomi alla constatazione e al riconoscimento di aggrediti e di aggressori, non si può non rilevare come si sia creato di fatto un asse di paesi autocratici ed aggressivi che hanno attaccato due avamposti occidentali, l’Ucraina e Israele.
Questo asse dell’aggressione è fatto dalla Russia di Putin e dall’Iran degli ayatollah (i due mondi sono in collegamento stretto, molti dei droni che colpiscono l’Ucraina sono prodotti in Iran) con una silente presenza cinese che si è ben guardata dall’impedire le aggressioni.
Putin si muove sempre più chiaramente in un disegno neoimperialista che vuole riportare l’influenza russa il più vicino possibile a quella che fu la dominazione sovietica sui Paesi dell’Est europeo. L’Iran e le sue proxy, Hezbollah, Hamas, Houthi, milizie sciite irachene ecc. si sono mosse con l’obiettivo di cancellare Israele dalla carta geografica, “dal fiume al mare” come, purtroppo, urlano nei cortei molti giovani occidentali.
Ma al di là delle aspirazioni pacifiste di vastissimi settori delle opinioni pubbliche occidentali, nutrite di buona fede e del comprensibile ripudio della forza e delle armi, ciò che emerge con forza sempre maggiore è che nei confronti degli autocrati e dei loro regimi gli sforzi diplomatici, sempre comunque benedetti, non servono.
In Europa per anni si è invocata un’iniziativa diplomatica in luogo o collateralmente all’invio di armi all’Ucraina; ma ogni sforzo è stato vano. Putin non ascolta ragioni, non vuole trattare, ha mandato al macello centinaia di migliaia di giovani russi perché vuole annientare l’Ucraina come paese libero e indipendente, e sente solo il rapporto di forza.
Come abbiamo detto tante volte, in questo contesto, il pacifismo è solo il pacifismo della resa, e bisogna purtroppo ritornare a difendersi e a farlo in maniera efficiente e strutturata.
Le due vicende, Ucraina e Israele, stanno lì davanti a noi a dimostrarlo.
La vicenda Ucraina sta volgendo verso una difficilissima situazione di Kiev che si trova, senza più il sostegno americano, dinanzi ad un nemico che non può sperare di sconfiggere. La lezione è brutale e drammatica: senza gli americani e la loro forza e la loro deterrenza, l’Europa rischia di essere in balia delle minacce e delle mire espansionistiche di Putin.
Lo hanno capito benissimo Svezia e Finlandia, paesi tradizionalmente fuori dalla Nato, che dopo l’invasione russa dell’Ucraina, sono corsi a chiedere l’ingresso nell’alleanza atlantica. Lo hanno capito benissimo Polonia e Paesi Baltici, che stanno vivendo un processo di riarmo difensivo accelerato sostenuto dalle opinioni pubbliche interne sempre più spaventate dalle mire e dall’aggressività dell’orso russo.
Lo ha capito finalmente anche l’Unione europea, che ha lanciato un complesso e difficile piano di riarmo e di difesa.
La strada, senza gli USA sempre più concentrati sul quadrante del Pacifico, è lunga e difficile, perché è chiaro che ci vorrà molto tempo prima che gli europei riescano ad esprimere una deterrenza efficace, e che farlo costerà tanti soldi, ed impoverirà il lusso del modello sociale europeo per tanti anni orgogliosamente sostenuto ma pagato in buona parte dai contribuenti americani.
L’Europa quindi in questo momento è in una situazione di rischio grave; non solo per la difficilissima governance in caso di tensioni internazionali ai suoi confini, ma anche perché oggi, come dice onestamente il Ministro italiano della difesa Crosetto, non siamo pronti a reggere un’aggressione.
Anche la vicenda di Israele insegna qualcosa e fa riflettere.
La straordinaria forza militare e tecnologica di quell’avamposto dell’occidente in quell’area del mondo, e il sostegno dell’America di Trump, che in questo caso c’è stato, hanno fatto sì che il disegno dell’Iran di cancellare Israele sia stato sconfitto, sia pure al prezzo altissimo delle infinite sofferenze del popolo palestinese di Gaza tenuto prigioniero dai mafiosi tagliagole di Hamas.
Questa sconfitta dell’Iran, duramente colpito militarmente e nelle sue ambizioni nucleari, anche grazie all’intervento diretto dei bombardieri Usa, apre prospettive nuove di pace per tutto il medio-oriente, se è vero, come è vero, che il 7 ottobre è stato anche il disperato tentativo di impedire che anche l’Arabia Saudita aderisse agli accordi di Abramo.
Bisogna capire che non c’è che la deterrenza e l’uso della forza per fermare chi aggredisce e non sente alcuna ragione diplomatica. Bisogna prepararsi a difendere, con molti sacrifici e senza spirito di resa, la civiltà europea che abbiamo costruito negli ultimi 80 anni e che molti ci invidiano.
Sarà un lavoro difficile e pieno di sacrifici. Ma l’alternativa qual’è?