di GIORGIO ‘GETTO’ VIARENGO *
Già dal titolo risulta evidente su quali difficoltà siamo chiamati a ragionare. Da tempo la denominazione geografica dei prodotti deve essere precisa, e rispondere a requisiti quanto mai severi; una sfida per i produttori e per i consumatori, chiamati al rigore di definizioni e interpretazioni. L’origine di un prodotto potrebbe indicare un luogo di produzione che risponde maggiormente ad una proposta sia commerciale che geografica, e il consumatore sarebbe vittima di un raggiro. Per questo motivo le denominazioni d’origine devono assolutamente corrispondere a requisiti precisi e storicamente accertati.
Il nostro titolo propone una riflessione sull’oliva da secoli prodotta nel territorio del Circondario di Chiavari, la Lavagnina. Con questo nome abbiamo appena indicato un preciso ambito territoriale, un insieme di comuni, da Portofino a Moneglia, addentrandoci poi, nell’entroterra di questa successione costiera, sino allo spartiacque appenninico corrispondente: un ambito composto da ventotto comuni.
Quest’area territoriale fu riconosciuta da Re Vittorio Emanuele sin dal 16 febbraio del 1868. In tale occasione fu infatti emesso il decreto che stabiliva “Il Comizio Agrario del Circondario di Chiavari, Provincia di Genova, legalmente riconosciuto, ed è riconosciuto come stabilimento di pubblica utilità”. La Società Economica di Chiavari si adoperò con forza per dare all’istituzione una effettiva solidità, e per promuoverne l’attività e l’efficacia.
A tutt’oggi il materiale prodotto, in particolare l’intera collezione dei Bollettini, è conservato e consultabile in biblioteca a Chiavari. Qui possiamo trovare i riferimenti necessari a tentare un approccio storico e ben documentato. Chiariamo da subito che non siamo tifosi di un’oliva, ma desideriamo dare una risposta equilibrata e sostenibile al quesito che ci si pone.
Nella ricca documentazione presente in Economica troviamo un quadro di riferimento sulle diverse specializzazioni dei suoli coltivati. La totalità del territorio attribuito al Circondario di Chiavari misurava 90.599 ettari, la maggiore superficie dei quali era coperta dai boschi e pascoli naturali che occupavano circa 30.000 ettari; seguivano i castagni domestici con 23.000 ettari, i campi seminativi con circa 19.000 ettari, gli agrumeti 11 ettari, gli orti con poco più di 200 ettari, i gerbidi e i suoli non asserviti per 15.000 ettari e gli uliveti con 3.211 ettari. L’economia agricola, assolutamente determinante nell’immediato periodo post-unitario che qui stiamo esaminando, contava su circa quarantamila agricoltori, un numero elevatissimo rispetto alla popolazione totale censita in poco più di sessantaquattro mila abitanti attivi.
Sempre rileggendo i dati statistici pubblicati nel 1872 possiamo rilevare che il Comune con la maggiore estensione di terreno ad uliveto, e con la più elevata produzione di olio, era il Comune di Lavagna. Nei 525 ettari coperti da uliveti nel territorio di Lavagna si producevano 3.025 ettolitri d’olio (in questo caso si specificava alimentare) oltre a 450 ettolitri di olio di sansa. Questo ci permette d’affermare che Lavagna era l’epicentro di questa coltivazione, con colline tutte esposte a sud, ben protette dalla tramontana, e con vastissimi terrazzamenti in tutto il fronte collinare. Queste caratteristiche spiegano perché l’oliva coltivata nel circondario abbia acquistato una determinazione geografica così precisa e sia diventata esclusivamente ‘Lavagnina’.
Il medesimo ragionamento si dovrebbe applicare alla denominazione del Cavolo Lavagnino. Nel “Quaderno di Liguria Biologica”, che valorizza e tutela la biodiversità delle nostre produzioni, troviamo un riferimento importante: “La varietà è stata selezionata da Stefano Gritta in località Ripamare, dove l’ortolano era manente della famiglia Ghio”. Nella più ampia pianura di fronte alla marina il cavolo cresceva pregiato e molto commerciabile, e una volta giunto sui mercati l’indicazione “Lavagnino” ne garantiva la qualità.
Sarebbe utile un grande sforzo delle autorità competenti volto a proteggere il cavolo e la sua origine. Da tempo il più grande vivaista operante in Italia, sito in territorio di Romagna, produce e vende le piantine di Lavagnino. Il dato è leggibile dal suo sito: il suo vivaio produce trecento milioni di piantine da orto. Quest’ultimo dato ci fa capire quanto sia complessa la lotta per salvaguardare le nostre produzioni e i grandi interessi che muovono il mondo agricolo, di cui i nostri produttori locali rappresentano una specificità fragilissima.
Oggi gli ultimi ortolani del posto stanno cercando di proteggere le loro specialità; anzi, la grande speranza è riposta proprio in alcuni ortaggi indissolubilmente legati al nostro territorio. Anche per questi vale un’indicazione geografica che deriva dalla storia, dai secoli di produzione e dalla popolarità acquisita sui banchi dei mercati tradizionali.
La “Radiccia” era “di Chiavari”, anche se il suo nome scientifico è “Cicoria intybus”, e nell’intero genovesato era ricercata e cucinata solo se proveniente dai nostri orti. Il vocabolario agricolo ortivo potrebbe continuare, e attraversare tutto il Circondario, per ricordare il pomodoro “Pursemin”, il fagiolo “Pelandrunettu”, il cavolo “Naun”, il pisello di “Lavagna”, il cavolo “Garbuxo”.
Tutte varietà che avevano un loro mercato, ed erano cardini di quella che indichiamo come ‘cucina locale’. I prodotti del territorio erano co-protagonisti di questa straordinaria tradizione culturale: gli orti fornivano i prodotti e il lavoro quotidiano li trasformava in cibo.
Il cammino nel Circondario è sempre più difficile. Gli orti sono quasi scomparsi, gli uliveti spesso combattono con le nuove avversità climatiche e con mosche sempre più tenaci. La sfida per l’oliva Lavagnina è in corso, così come accade per le altre nostre biodiversità da proteggere.
Conoscere la nostra storia anche in questi dettagli umili e minuti può essere una formidabile risorsa nella battaglia per un futuro possibile che resti ancorato alle nostre radici.
(* storico e studioso delle tradizioni locali)