di ANTONIO GOZZI
Da più parti viene segnalato che il 2021 è stato un anno molto importante per il mercato delle startup. Ricordiamo che con il termine startup si identificano giovani imprese in fase iniziale, spesso impegnate in settori tecnologici e innovativi che presentano un rischio più elevato rispetto alle imprese già consolidate; rischio che esalta sia le prospettive di guadagno sia la possibilità di perdite.
Queste imprese, in caso di successo, traggono il loro vantaggio dal fatto che essendo state appena avviate utilizzano normalmente una limitata quantità di risorse sia umane sia finanziarie. Per questo possono essere oggetto di interesse di privati investitori, fondi, venture-capitalist, family-office che gestiscono il risparmio di famiglie ricche, tutti investitori che vedono in startup di successo una possibile occasione di grandi guadagni.
Ebbene nel 2021, nonostante la pandemia e i problemi economici e sociali da essa causati, vi sono state nel mondo moltissime startup che hanno visto crescere i loro ricavi e il loro valore grazie a un mercato sempre più ampio, dovuto probabilmente al fatto che la pandemia ha indotto una crescita sempre più significativa dei servizi e delle applicazioni digitali, le quali costituiscono spessissimo l’oggetto di business delle startup.
Pensate che nell’anno appena trascorso vi sono stati nel mondo investimenti sulle startup pari a 671 miliardi di dollari! Naturalmente la parte del leone la fanno gli Stati Uniti d’America, con investimenti pari a 330 miliardi di dollari, praticamente il 50% del totale. Per darvi la misura del trend di crescita riflettete sul fatto che questa mole di investimenti è stata pari al doppio di quella registrata nel 2020 e dieci volte più grande di quella di dieci anni fa.
Nell’ultimo anno anche Asia ed Europa hanno visto aumentare significativamente gli investimenti in startup, creando un vero e proprio mercato globale di questo tipo di imprese.
La ragione di questo interesse e crescita è che, come ricordato più volte su queste pagine, a livello mondiale c’è una liquidità ‘monstre’ sempre alla ricerca di impieghi remunerativi. In un’era di tassi di interesse e rendimenti molto bassi dei capitali investiti in obbligazioni o prestiti, gli investitori cercano di mettere nei loro portafogli anche ‘asset class’ (cioè oggetti di investimento) che abbiano il potenziale di rendimenti alti, come appunto le startup sono.
In particolare per quanto ci riguarda più da vicino c’è da notare che il mercato europeo, tradizionalmente meno dinamico e percepito per un lungo periodo come un terreno meno fertile per promuovere l’innovazione, ha dato segni di risveglio con investimenti significativi che hanno raggiunto nel 2021 il 18% degli investimenti totali a livello mondiale.
C’è da dire che il modello europeo è un po’ diverso di quello americano, nel senso che in quasi tutti i paesi del vecchio continente c’è stato l’intervento di fondi pubblici a sostegno delle startup, in un quadro di politiche industriali volte al sostegno dell’innovazione e a compensazione degli scarsi capitali privati disponibili. E così Francia, Germania, Belgio, Olanda hanno creato con diversi strumenti fondi pubblici ad hoc. Spicca su tutti lo stanziamento francese che raggiunge i 7 miliardi di euro e che ha favorito la creazione di un ‘ecosistema francese’ molto favorevole alle startup e che oggi pone la Francia al primo posto in Europa per questo genere di investimenti. Nel 2021 le startup francesi hanno raccolto fondi per 11,3 miliardi di euro. In Italia nello stesso anno non si è superato l’ammontare di 1,4 miliardi di euro di raccolta.
Questa crescite anche in Europa è stata favorita dal fatto che in molte città si sono sviluppate strutture denominate ‘incubatori’, all’interno dei quali sostenere e accompagnare la crescita delle startup. In ben 65 città europee si registra la presenza di startup ‘unicorno’. Le startup unicorno sono quelle valutate singolarmente almeno un miliardo di euro. Le città che in Europa attraggono di più queste imprese sono innanzitutto Parigi in Francia, Monaco e Berlino in Germania, Londra, Manchester, Cambridge e Oxford in Gran Bretagna, Stoccolma, Copenaghen e Amsterdam nei Paesi nordici.
L’Italia purtroppo continua a fare fatica sulle startup, basti dire che c’è solo un’impresa unicorno nel nostro Paese a fronte delle 65 presenti negli altri Paesi europei. Rarefazione di capitali privati, incubatori poco professionali, scarsità di imprese importanti. Tutto ciò è un po’ paradossale, tenuto conto della diffusione e dell’eccellenza nel nostro Paese del tessuto industriale di piccola e media dimensione; in un Paese che fa dell’innovazione e del design strumenti per raggiungere un’eccellenza mondiale e che potrebbe essere un terreno fertilissimo per l’applicazione e lo sviluppo del lavoro delle startup.
Bisogna fare in modo che l’Italia non resti troppo indietro agli altri paesi europei in termini di startup; bisogna fare in modo che i talenti più ambiziosi non emigrino tutti all’estero piuttosto che avviare e sviluppare una startup nel nostro Paese.
Qualcosa incomincia a muoversi anche da noi. Sono stati assegnati al Mise (Ministero dello Sviluppo Economico) 2 miliardi di euro che possono essere utilizzati per sostenere il Fondo Nazionale per l’innovazione. Queste risorse si aggiungono a quelle già esistenti (1,3 miliardi) su cui lavora Cassa Depositi e Prestiti.
Come detto la raccolta di investimenti in startup in Italia ha superato nel 2021 la soglia simbolica del miliardo di euro (1,4 miliardi) ma restiamo molto indietro ai principali paesi europei: 1/8 della Francia, 1/6 della Germania, 3/5 della Spagna.
In questo quadro la decisione di avviare sei anni fa Wylab a Chiavari come primo incubatore sportech d’Italia è stata una decisione coraggiosa e preveggente.
Animati dall’esperienza e dal successo di Wyscout, che resta la startup italiana dello sportech più importante in termini di risultati, e che è stata venduta due anni fa a un grande gruppo americano che ha lasciato nella nostra città la sede europea dell’azienda consolidando gli oltre cento occupati, siamo riusciti a sviluppare l’incubatore che è diventato un riferimento nazionale e ha raggiunto da un anno il suo equilibrio economico.
Wylab è un’esperienza importante perché non ha avuto alcuna sovvenzione pubblica ed è stata capace, sia pure sostenuta negli anni iniziali dalla nostra famiglia, di guadagnarsi uno spazio e un ruolo di primo piano nell’ecosistema italiano delle startup. Più di 90 aziende incubate, più di 100 posti di lavoro creati, più di 12 milioni di euro raccolti sul mercato per le nostre startup di cui più di un milione direttamente investito dall’incubatore sono numeri di tutto rilievo.
Oggi abbiamo almeno quattro aziende molto promettenti che potrebbero essere domani nuove storie di successo come Wyscout. Citiamole e vediamole brevemente.
- Wesii, che si occupa di droni e di rilevazioni termometriche soprattutto sui campi fotovoltaici.
- Sportclubby, portale per le prenotazioni in strutture sportive e per la loro gestione.
- Italian Fight Wear, un device elettronico che sostituisce le bende alle mani nelle arti marziali e fornisce in tempo reale indicazioni e dati agli atleti.
- Noisefeed, la più grande banca mondiale relativa agli infortuni dei calciatori.
Lo staff di Wylab ha lavorato molto su queste imprese, che vivono un processo di crescita quotidiano e si stanno preparando a scalare i mercati nazionale e internazionali.
“Anche a Chiavari si può”, la frase pronunciata dall’allora premier Mario Monti al Meeting di Rimini dopo aver visitato lo stand di Wyscout, è stata di buon auspicio ed ha rappresentato per noi un incoraggiamento che ci accompagna nella pratica tutti i giorni.