di ALBERTO BRUZZONE
A Chiavari non c’è più il Foro, inteso come tribunale. Tutti lo sanno e la chiusura del palazzo di giustizia ha creato non pochi disagi, disservizi, danni all’indotto per i professionisti e i commercianti operativi in città.
Cosa non manca, specialmente in questo periodo, sono invece i fori, intesi come lavori al sottosuolo.
Il gioco di parole viene facile, anche se su questo tema c’è poca voglia di ridere.
Specialmente per i disagi al traffico che i cantieri stanno comportando (ve ne sono aperti diversi contemporaneamente, i principali in via Delpino e in corso Millo). Lunghe code in tutti gli assi principali della città, che già di per sé ‘soffrono’ parecchio in tutte le stagioni e senza lavori in corso.
Ma il fine giustifica gli interventi: si tratta della messa in sicurezza dei sottoservizi e della loro pulizia, al fine di prevenire gli allagamenti. Operazioni che vanno di pari passo con il grande progetto di rifacimento dei principali ponti sul torrente Rupinaro, dell’abbassamento del suo alveo, del rafforzamento dei suoi argini. Un percorso iniziato con l’amministrazione Levaggi (che rifece i ponti della Castagnola e, più di recente, di Sampierdicanne), che ora il successore Di Capua sta portando avanti tramite uno stanziamento di risorse congiunto tra Palazzo Bianco e Regione Liguria.
Se l’obiettivo finale è avere una Chiavari più sicura, val la pena di sopportare qualche disagio. Ma in via Delpino in particolare la situazione è decisamente scappata di mano. E questo, nel cuore della città, dentro uno degli assi più percorsi (all’incrocio con corso Garibaldi), è senza dubbio diventato il ‘foro dei fori’, con corollario di ritardi, polemiche, reciproci scambi di accuse tra Comune e Soprintendenza, minoranze in subbuglio, archeologi indignati, cittadini ancora di più.
Per fortuna con un lieto fine: proprio ieri la Soprintendenza ha dato l’ok alla prosecuzione dei lavori. Il muro d’interesse archeologico può essere in parte perforato.
La storia
Ma è bene ricostruire il quadro con ordine. A partire dalle parole dell’assessore ai Lavori Pubblici, Massimiliano Bisso. E’ lui a ricordare un fatto: “Da dieci anni almeno il sottosuolo di Chiavari era in stato di abbandono. Va dato atto a questa amministrazione di aver indotto Ireti a fare interventi sistematici e continui su Chiavari, com’era previsto dalla convenzione firmata ai tempi dal sindaco Agostino”. “All’inizio ci sono stati screzi – ricorda Antonio Segalerba, presidente del consiglio comunale chiavarese e consigliere della città metropolitana – ma poi, una volta superate le divergenze, si sono chiariti i termini della convenzione e Ireti sta eseguendo ciò che è di sua competenza. Ovvero la sistemazione dei canali principali di smaltimento delle acque, mentre i ‘braccetti’ laterali e tutti i canali secondari sono competenza del Comune”.
La ‘partita’ di Palazzo Bianco, quindi, è quasi interamente di supervisione. Per questo se ne occupa Segalerba, “in quanto consigliere metropolitano e perché tengo i contatti con Ireti”. Con lui opera anche il consigliere comunale di maggioranza Paolo Garibaldi, che ha la delega alle problematiche del sottosuolo.
Sono stati i principali bersagli per i ritardi. Si sono difesi tirando in ballo la Soprintendenza in maniera molto forte e plateale. Hanno scatenato un vespaio di polemiche. Ma difendono le loro ragioni. Che, a loro dire, sono quelle della collettività. E, in ultimo, hanno ottenuto quanto richiesto, pur con un percorso assai accidentato.
Torniamo indietro. In via Delpino i lavori iniziano a febbraio. “Si tratta – racconta Segalerba – del canale principale della città, che presenta serissimi problemi. Strettoie, abbassamenti, curve strette, il sifone in corso Assarotti che non funziona. Siamo di fronte a una delle principali cause degli allagamenti in città. Nessuno è mai intervenuto su questo condotto. Così apriamo il cantiere. Senza fare archeologia preventiva, perché questa non è prevista, quando non si tratta di un progetto completamente nuovo. Qui si lavora sull’esistente, quindi non eravamo tenuti a farla. Ad ogni modo, sin da subito abbiamo dato incarico a un archeologo”.
L’incaricato è Alberto Manfredi di Carasco, che segue le operazioni a partire dai primi scavi in piazza della Torre, dove si trovano tracce della città vecchia. Siamo nel bel mezzo della storia medievale. Qualsiasi punto di questo sottosuolo conserva il segno dei nostri antenati.
“A fianco al nostro archeologo – dice Segalerba – c’è sempre la dottoressa Nadia Campana della Soprintendenza. Anche se raramente viene a fare i suoi sopralluoghi quando ci siamo anche noi”.
Lo scontro
Durante l’intervento, vien fuori un muro di rilevanza archeologica. Proprio nel punto dove dovrebbe passare il nuovo canale, per poi ricollegarsi a quello di corso Garibaldi facendo una curva meno a gomito di quella precedente. Ma per far passare il condotto occorre eseguire un foro nel manufatto storico. E qui scoppia il caso.
L’incidente diplomatico tra Comune e Soprintendenza.
Segalerba, avvocato assai conosciuto a Chiavari, diventa ‘principe del foro’, ma anche qui il tribunale non c’entra (è una battuta…): “La dottoressa Campana ci dice che deve eseguire degli approfondimenti. Nel frattempo, anche noi dobbiamo prolungare il contratto al nostro consulente, che ci chiede altri tremila euro di soldi pubblici. Ci fanno costruire un muretto di contenimento che poi viene demolito. Un altro spreco. Intanto, trascorre un mese e mezzo senza che succeda più nulla”.
La via resta sempre chiusa. Lo scavo si riempie d’acqua stagnante. Cattivo odore e insetti in quantità. Traffico veicolare deviato. Automobilisti furibondi. Cittadini straniti. E, a farne le spese, è ovviamente Palazzo Bianco: “Tutti sono venuti da noi a lamentarsi. Per un po’ abbiamo aspettato, poi quando dagli uffici genovesi non arrivava nessuna risposta e si faceva fatica persino a trovarli, abbiamo esposto un cartello dove spiegavamo lo stato dell’arte”.
La classica goccia che fa traboccare il vaso. Un attacco diretto alla Soprintendenza, ai suoi metodi e alla sua dipendente. Val la pena riprodurre il messaggio integralmente: “La dr. Nadia Campana, funzionario archeologo della Soprintendenza di Genova, ha ritenuto che il muro che intralcia il canale di scarico fosse rilevante dal punto di vista storico. Con provvedimento del 17 aprile 2018 ha bloccato i lavori, e ha imposto indagini conoscitive od un progetto che dovrà essere sottoposto ad una apposita commissione costituita presso la Soprintendenza. Si potrà riprendere il lavoro dopo che la burocrazia avrà fatto il suo corso. Questo è lo stato dell’arte. Ci scusiamo con i cittadini per i disagi. L’amministrazione fa il possibile per eseguire importanti lavori per evitare gli allagamenti del centro il cui sottosuolo presenta molteplici sorprese e la burocrazia non aiuta. Chiavari, 29 maggio 2018. L’amministrazione comunale”.
Le polemiche
Un testo molto duro, nei toni e nei modi. Lo stile sembra quello dell’Agostino ‘prima maniera’. Ma Segalerba si giustifica: “Cosa c’è di strano? Non capisco queste polemiche. Abbiamo semplicemente detto la verità. Dopo un mese e mezzo che ci hanno lasciati bloccati, mi sembrava il minimo chiarire la precisa responsabilità”.
Ma lo strumento, si diceva, non è assolutamente piaciuto. Lo hanno stigmatizzato articoli di stampa, sono intervenuti i sindacati. Tutti a difesa del lavoro della dottoressa Campana. “Ci è stato segnalato un grave fatto diffamatorio ed intimidatorio nei confronti di una collega archeologa da parte di un’amministrazione comunale – scrive Assotecnici in una nota (l’Associazione professionale degli operatori tecnico-scientifici che svolgono la loro attività con professionalità specifica sui Beni Culturali e Ambientali) – Senza entrare nel merito della questione, o di eventuali valutazioni di merito, riteniamo questo genere di azioni indegne di una società di diritto, ed ancor più gravi se operate da una pubblica amministrazione, che anonimamente e impersonalmente, omettendo di agire nei canali che la legge consente, aggredisce chi, tra mille difficoltà compie il proprio dovere e tutela il patrimonio comune. Assotecnici stigmatizza questo comportamento assicurando il pieno sostegno alla collega archeologa, e si augura che si prendano i dovuti provvedimenti nei confronti degli sconsiderati ‘anonimi’ responsabili”.
Replica Segalerba: “Anzitutto non siamo anonimi, perché al contrario siamo sui cantieri dalla mattina presto alla sera. Secondo, mi sono sembrati tutti un po’ permalosetti. Ma, quello che più conta, è che bisogna spiegare ai cittadini cosa sta succedendo. Ognuno si prenda le proprie responsabilità. Noi siamo disponibilissimi a fare tutto quello che viene richiesto: riaprire il sottosuolo, rifare i lavori, mettere un vetro per lasciare in mostra il muro storico. Ma la sicurezza della città non può essere subordinata. Riteniamo che ci sia il modo per salvaguardare il muro e per consentire, al tempo stesso, il corretto scorrimento delle acque”. Il foro da eseguire sarebbe di un metro e mezzo per un metro, “non si tratta certo di tirare una bomba. E, comunque, con la Soprintendenza ci siamo successivamente chiariti. Se non altro il messaggio è servito a far smuovere la situazione”.
La Soprintendenza
Da Palazzo Reale rispondono in maniera assai ‘lapidea’ (che in fondo di vecchie pietre cittadine si sta trattando): “La fase istruttoria si è completata. Tutti gli elementi sono stati raccolti, anche con l’apporto del Comune di Chiavari. Ora dovrà decidere il da farsi un’apposita commissione ministeriale, che si riunirà appositamente. Saranno loro a dare indicazioni”. La riunione era fissata per ieri pomeriggio. In serata, la fumata bianca: “E’ arrivato lo sblocco – annuncia Segalerba – possiamo toccare il muro per quella breve porzione prevista. Manca solo il decreto della dottoressa Campana, che arriverà nei prossimi giorni, ma intanto possiamo andare avanti”.
I lavori
Già da lunedì, intanto, sono ripartiti i lavori. Lasciando fuori la porzione di muro storico. “Si dovevano eseguire altri accertamenti per i livelli dei canali. Ora che sono stati completati, abbiamo installato i tubi del nuovo canale”. Si tratta di grosse sezioni del diametro di 1,4 metri. Quindi i lavori non erano fermi solo a causa della Soprintendenza. “Con lo sblocco, contiamo di chiudere entro quindici giorni – prevede il presidente del consiglio comunale – C’è da sistemare una soletta, ma non dovrebbero esserci ulteriori problemi”.
Tutto è bene quel che finisce bene? In parte sì. Resta solo quella brutta pagina istituzionale, tra una civica amministrazione e un organo del ministero. L’incidente diplomatico c’è stato, fatti salvi i successivi chiarimenti e lo sblocco finale. Palazzo Bianco ha scelto di aderire alla politica urlata e con il dito continuamente puntato che tanto va di moda di questi tempi. Rendendo pubblico lo scontro, si è presa una decisione ben precisa, anche a livello mediatico. E pure questa è una responsabilità.
Sta di fatto che quasi cinque mesi di chiusura di via Delpino sono stati una pillola amarissima da mandare giù. Senza considerare che anche in via Millo i lavori sono in corso. Altri problemi alla viabilità, cui si aggiunge il cambio di senso di marcia di corso Genova. Un casino totale insomma, per render bene l’idea.
Le reazioni
Ma sulla mancata archeologia preventiva non tutti sono convinti. Silvia Garibaldi, consigliere comunale di Noi di Chiavari, osserva: “Più volte è capitato in questi anni, e sotto diverse amministrazioni, che si siano trovati elementi d’interesse storico. Mi vengono in mente, per esempio, i casi dell’asse viario via Ravaschieri-via Raggio con l’allora assessore Giorgio Beaud e via Vecchie Mura durante l’amministrazione Levaggi ed assessore ai Lavori Pubblici Sandro Garibaldi. In quei casi non mi ricordo di rallentamenti così marcati come questo di via Delpino. In centro storico non è raro né sorprendente che succeda, spesso si fanno analisi preliminari se la Soprintendenza, avvertita, lo prescrive e questo mette al riparo da imprevisti e dal rischio, una volta aperto, di non poter chiudere per mesi. Comunque, anche trovando elementi storici in maniera inaspettata, nella mia esperienza e memoria ricordo che, accordandosi con i sovrintendenti e valutando le necessità di rilievi da parte degli stessi, si è fatto procedere comunque i lavori in contemporanea”.
Secondo la Garibaldi, “fare indagini preliminari è buona norma sempre per limitare al massimo i disagi dei cittadini. Un esempio che ricordo proprio in tema di canali di scolo è quello della zona di Rupinaro ove la pulizia della ‘verania’ che passa sotto la piazza intitolata ora a Falcone e sotto il palazzo di fronte, è stata un intervento da me richiesto su indicazione di cittadini della zona che ricordavano l’esistenza della stessa ma non una sua sistemazione da decine di anni. L’allora amministrazione Levaggi con assessore Daniela Colombo, avendo accolto la mia richiesta, aveva fatto dei rilievi preliminari che avevano evidenziato una situazione complessa risolvibile solo con un macchinario speciale e il disagio per i cittadini, avendo fatto una consona preparazione, si era limitato a pochi giorni”.
Sulla stessa lunghezza d’onda sono anche lo storico Giorgio ‘Getto’ Viarengo e l’archeologo Fabrizio Benente: “Ancora una volta la millenaria storia di Chiavari non viene apprezzata – scrive Viarengo – Anzi, la si usa come pretesto per giustificare un disagio viario automobilistico”.
E Benente, che insegna Archeologia medievale all’Università di Genova, aggiunge: “Siamo sicuri che a Chiavari la prassi sia stata rispettata? L’archeologia preventiva è finalizzata a evitare il blocco dei lavori. Siamo certi che non ci sia stata leggerezza da parte di chi ha progettato e che ci si sia trovati di fronte al problema all’improvviso? Il cartello affisso dal Comune era offensivo: un funzionario pubblico ha agito nell’ambito del suo ruolo per la tutela di un bene di tutti”.
Il dubbio di un intervento frettoloso e superficiale, insomma, è stato insinuato. Per quanto con l’attenuante della volontà di mettere in sicurezza la città.
Ma forse un maggior equilibrio tra gli enti si poteva trovare. Ognuno fa il proprio lavoro, però raramente si arriva a frizioni di questo tipo.
La Soprintendenza non ha gradito il cartello anche perché, in questi ultimi anni, è molto più attenta alla comunicazione rispetto al passato. Non è un caso che, proprio ieri, il soprintendente Vincenzo Tiné abbia inviato una replica assai piccata a un media del Levante, a proposito dei lavori di tutela dei ‘risseu’ svolti dagli storici a Rapallo: secondo Palazzo Reale, sarebbe stata fatta informazione “in modo arbitrario, sommario, inesatto, fuorviante”.
Tradotto in soldoni: non siamo più disposti a farci impallinare. Rispettate il nostro lavoro.
Il ‘foro’ di Chiavari va verso la chiusura. Ma la tensione tra uffici ministeriali e pubbliche amministrazioni ormai rimane alta.