(r.p.l.) Era una fredda e piovosa notte di San Silvestro dello scorso anno, quando del tutto in sordina al Cinema Teatro Cantero di Chiavari si svolse l’ultima proiezione.
Sul grande schermo, ‘Star Wars, gli ultimi Jedi’, uno dei tantissimi episodi della saga. Da lì in poi, quella saracinesca di piazza Matteotti è rimasta desolatamente abbassata. E’ trascorso quasi un anno.
Di ‘guerre’ non ve ne sono state, di situazioni ‘stellari’ neppure. E il Cantero è rimasto chiuso, nel silenzio di gran parte della città, nell’encomiabile ma per ora vano attivismo di una serie di appassionati che non hanno mai mollato la presa, negli appelli dell’amministrazione comunale, nell’impegno pressoché inascoltato di alcuni imprenditori.
Nelle troppe contraddizioni da parte della proprietà.
Pier Enrico Dallorso, noto commercialista chiavarese, che gestisce la proprietà della struttura (al 100 per 100 privata e appartenente alle famiglie Chiarella, Dallorso e Devoto) è persona estremamente gentile e affabile nei modi. Ma, evidentemente, in estrema difficoltà per quanto riguarda il prendere una direzione precisa, causa – si dice – le diverse posizioni all’interno della società.
Si dice, appunto. Perché di ufficiale non c’è mai stato nulla. La situazione è tenuta nella nebbia e nell’incertezza. Non si capisce neppure quanto ad arte e quanto per effettiva necessità.
Si sta parlando di una proprietà privata, si potrebbe eccepire. E’ vero. Ma il ruolo sociale e culturale del Cinema Teatro Cantero sul tessuto urbano cittadino e non solo è assolutamente a ricaduta pubblica.
Era la sala principale dell’intero Tigullio, punto di riferimento non solo per Chiavari. Anche lo spettacolo di beneficenza con i sindaci attori per una sera, come sempre organizzato da Marisa Spina, che l’anno scorso aveva ottenuto un’apertura in deroga (pur tra qualche polemica), questa volta sarà costretto a emigrare altrove. Niente Chiavari. Probabilmente niente Tigullio.
Ma perché tutto questo silenzio? Perché la mano tesa di alcuni imprenditori non è stata stretta? Perché il gruppo di amici del Teatro Cantero – che pure ha molti e illustri firmatari – continua a predicare nel vuoto? Quand’è che la proprietà avrà finalmente le idee chiare?
Forse proprio perché si tratta di un teatro, se ne sono dette e sentite di tutti i colori, negli scorsi mesi: dal voler riaprire con un ristorante all’interno, all’inserire dentro la struttura, d’accordo con la Soprintendenza, uno spazio museale.
Nella prosa, o meglio nella prosopopea, del Teatro Cantero, anche l’annuncio, poi prontamente smentito, che sarebbe stato venduto alla cifra di 350mila euro. Con tanto di nome dell’acquirente schiaffato sui media, alla faccia della privacy (qui la proprietà, pur sempre restia a comunicare alcunché, è certamente parte lesa alla pari del compratore).
Peccato che poi, in realtà, fosse un appartamento nello stesso stabile del teatro, e non il teatro stesso. Che continua a giacere lì. Chiuso. Senza un perché, senza una direzione, senza una precisa volontà.
Forse, a un anno di distanza, sarebbe più che giusto dire alla città che cosa s’intende fare. Se è lecito sperare ancora. Se bisogna farsene una ragione per sempre.
Qualche sera fa, alla tv hanno ritrasmesso il film di Carlo Verdone ‘C’era un cinese in coma’. Una scena, come molti sanno, fu girata proprio nell’atrio del Cantero di Chiavari.
Niki (Beppe Fiorello) vi aveva fatto tappa con il suo spettacolo. Ma, gonfio di alcol e sostanze stupefacenti, aveva fatto un sonoro flop. Ercole, il suo agente (Carlo Verdone), arrivato in ritardo a Chiavari, entra al Cantero e chiede a una coppia che sta uscendo dalla sala com’era la rappresentazione. La risposta di lei: “Non sarebbe stato neanche male, se non fosse stato così ubriaco”. Mentre lui sintetizza: “A me non è piaciuto proprio per niente”.
Qui non ci sono ubriachi, almeno quello. Ma questo spettacolo del Teatro Cantero no, queste continue manfrine no. Non ci piacciono proprio per niente.
IL PUNTO STORICO DI GIORGIO ‘GETTO’ VIARENGO, DEGLI AMICI DEL CANTERO
Tra poco più di tre settimane sarà un anno che il Cantero ha chiuso i battenti. Nel frattempo sono apparse diverse proposte: è nato un comitato – ‘Amici del Cantero’ – con eventi e raccolta firme a sostegno della riapertura; la proprietà pensa ad un progetto d’adeguamento; il Comune si è detto disponibile alla Fondazione.
Nonostante questi sforzi si fatica ad affermare il concetto di come, nel tempo, si sia distrutto un tessuto culturale, fatto di spazi specializzati, cinema e teatri, che sono scomparsi, demoliti, distrutti. Il tutto appare come il risultato dell’incapacità di costruire un possibile futuro fondato sulle politiche culturali: cultura come nuova economia per Chiavari e il Tigullio.
Eppure la nostra comunità è stata capace d’investire e realizzare preziosi spazi, in un’epoca storica dove il teatro prima e successivamente il cinema erano elementi di progresso e crescita civile.
Sono assolutamente convinto che il destino futuro del Teatro Cantero stia a cuore alla nostra città e al territorio tutto, tale opinione è il risultato della lunga storia della cultura teatrale in Chiavari che forse è bene rammentare.
Il cammino inizia con la chiusura del Teatro della Ballona, nel complesso di Sant’Antonio, e l’indicazione di realizzare il teatro Nuovo nell’antica chiesa e oratorio di N.S. della Valle. Il percorso non sarà facile, come indicano le delibere comunali del gennaio e marzo 1801: “Decreto per la costruzione del Teatro nel locale della chiesa della Valle”.
L’edificio sarà prima adattato all’uso e successivamente ristrutturato con ordini di palchi e nuovo palcoscenico. Il 25 agosto del 1831 la struttura ottiene il riconoscimento delle Regie Patenti per il teatro di Chiavari, Carlo Alberto delibera il provvedimento alla presenza del Sindaco di Chiavari. Si tratta di quattordici punti, tra cui l’autorizzazione alla direzione del teatro, e di un allegato, emesso nel dicembre dello stesso anno, circa il “Regolamento e l’amministrazione del Teatro di Chiavari”.
L’architetto civico Angelo Argiroffo realizza un teatro neoclassico, con 17 palchetti, il loggione e una platea per un totale di 400 posti. La nuova struttura sarà denominata Teatro Civico, col sindaco Giovanni Lagomaggiore si deliberano i fondi per un rifacimento di tutti i “macchinismi, il sipario, le quinte ed altro”, il tutto per una somma di lire 1.800.
Con la morte di Giuseppe Verdi, 27 gennaio 1901, il sindaco Nicola Arata propone di cambiare il nome alla piazza antistante e di dedicare il teatro a Giuseppe Verdi: la delibera è votata il 30 marzo del 1901.
Con l’arrivo della prima proiezione cinematografica, si assiste ad un grande e rinnovato impegno per il teatro, cinema e intrattenimento.
Chiavari diventa il cuore pulsante di nuove attività: Il Politeama, il Radium, il Teatro Eden di Gaspero Defilla, il Pro Chiavari, il Teatro Eldorado popolarmente denominato ‘U Budin’, la Sala Terpicore, il movimento cattolico con il Teatro Casa del Popolo che diventerà Pro Famiglia, Manzoni, Supercinema e Odeon.
Questi sono gli anni che vedranno attivo il maggior innovatore del mondo dello spettacolo: Andrea Cantero e i suoi figli rilevano il Radium e lo portano con la distribuzione di pellicole ‘di successo mondiale’ a divenire la sala di maggior successo. Le novità sono tali che la gestione del Verdi cade in una profonda crisi, prima una chiusura nel 1912 e poi il rovinoso fallimento del 1931. In questa occasione sono proprio i Cantero a tentare di salvare lo storico teatro, propongono l’ammodernamento dell’intero impianto e la stesura di un nuovo contratto.
L’amministrazione chiavarese non accetta nessuna delle proposte e il teatro subisce l’abbandono. I Cantero non rinunciano a presentare il progetto del nuovo teatro proprio nel momento in cui si attiva in città un grande confronto per dotare Chiavari di una più moderna struttura. I giornali locali fanno a gara a presentare proposte, sino al grande progetto del nuovo Teatro Civico di piazza Roma.
Il progettista Anton Angelo Tirelli prevede una struttura con l’ingombro dell’attuale aiuola centrale, un teatro moderno ed efficiente, ma non si farà nulla. Il 29 dicembre del 1925 la famiglia Cantero presenta il progetto in comune; il 16 gennaio del 1926 la Commissione Edilizia rilascia il permesso “per l’edificazione del Politeama da erigersi in Piazza XX Settembre”, un’unica clausola: l’opera deve essere realizzata in quindici mesi. I lavori prendono inizio, sono coinvolti i migliori artigiani chiavaresi per le ebanisterie, i vetri, cristalli e specchi; le pitture decorative sono di Luigi Sfrondini; gli stucchi della ditta Papini; gli arredi di Brizzolara; il maestro d’Arte Roberto Ersanilli predispone le maschere decorative e i bassorilievi che impreziosiscono gli interni. Il tutto è coordinato dal progettista chiavarese Ido Gazzano, le opere non sono terminate nei tempi previsti e si giunge alla prima inaugurazione col Grande Veglione del 1931; la seconda, con manifesto del Comune di Chiavari, prevede la Tosca di Puccini, era sabato 15 maggio del 1937.

Arriva la guerra e tutto precipita, le regole del coprifuoco rendono tutto più difficile, ma il teatro e le proiezioni non si fermano. A guerra finita i Cantero realizzano il Teatro di Lavagna (1948), e il Cinema Nuovo in Chiavari. Negli anni del ‘boom economico’ si apre il dibattito sul vecchio teatro Verdi e sono presentate due ipotesi, una di restauro e una di demolizione: nell’estate del 1963 è demolito. L’ultimo spettacolo dello storico edificio vedrà l’esibizione di un capodoglio: il cetaceo era spiaggiato nei giorni precedenti e venne esposto sul pavimento della platea. Ancora una demolizione nel 1996 cancellerà il Teatro Astor. Un articolo del Secolo XIX, 18 febbraio 1994, titolava: “Riaprire il cinema Astor per non impoverire la città”.
Mi sento di riproporre lo stesso titolo per il Cantero: la chiusura confermerebbe una città più povera, incapace d’affermare il valore della cultura come primato di progresso per il nostro futuro.