di ANTONIO GOZZI
Si sostiene spesso e giustamente che il Covid ha aumentato le discriminazioni e le distanze sociali colpendo duro alcune categorie e poco o niente altre. Certamente tra i protetti e privilegiati ci sono i dipendenti dello Stato e della Pubblica Amministrazione in genere, e cioè quei 3,2 milioni di persone che a fine mese sono certi di ricevere il loro stipendio e di poter sostenere le loro famiglie.
Ovviamente non è così per tutti coloro che lavorano nel privato e in particolare in settori fortemente colpiti dalla pandemia: turismo, ristorazione, bar, commercio, trasporti, servizi alla persona, libere professioni, industrie colpite dalla crisi ecc.
La maggior parte delle persone impegnate in questi settori ha vissuto un 2020 terribile, caratterizzato dalla chiusura delle attività, chiusure talvolta definitive, dalla disoccupazione da queste derivante, da casse integrazioni pagate in ritardo o non pagate per molto tempo, da ‘ristori’ irrisori o addirittura nulli come quelli per i commercianti e i liberi professionisti; una situazione che ha allargato drammaticamente l’area della povertà e di tutti coloro che non riescono più a sostenere le loro famiglie alla fine del mese.
In questo contesto ci si aspetterebbe, da un momento all’altro, la protesta e la ribellione di queste persone e categorie e cioè di chi sta pagando a carissimo prezzo la crisi del Covid e invece va in scena, e ciò ha dell’incredibile, lo sciopero dei pubblici dipendenti perché gli aumenti salariali accordati con la legge di Bilancio non sono ritenuti sufficienti. I 10 miliardi di euro stanziati all’uopo dal Governo non bastano e i pubblici dipendenti protestano. Nel pieno della crisi pandemica, quando ci sono ancora circa mille persone che ogni giorno ci lasciano a causa del Covid, i dipendenti pubblici e i loro sindacati hanno proclamato per il 9 dicembre uno sciopero nazionale.
È stato giustamente fatto notare che gli aumenti comunque accordati, ma ritenuti insufficienti, vengono distribuiti a pioggia, senza un minimo riferimento alla produttività e al merito, nel solco della peggiore tradizione vetero-sindacale e corporativa. Gli aumenti andranno a tutti quelli che hanno lavorato (e magari molto) in smart-working da casa, a medici e infermieri che hanno fatto mesi massacranti negli ospedali per curare i pazienti Covid, ma anche a tutti coloro, e ve ne sono moltissimi, che a casa hanno fatto poco o nulla e sono stati impegnati, beati loro, in jogging, attività all’aperto o in hobby casalinghi di varia natura.
Chiunque abbia avuto a che fare con la Pubblica Amministrazione in questi mesi si è reso conto del rallentamento di attività e della perdita di efficienza degli uffici sguarniti di personale e incapaci di dare risposte rapide ed efficaci ai cittadini.
Il Sindaco di Milano Sala a un certo punto ha sentito perfino la necessità di richiamare al dovere i dipendenti del Comune, affermando che era necessario che molti di loro tornassero al lavoro per garantire la risposta dovuta ai cittadini.
Questi aumenti, per il momento contingente e per la logica perversa con la quale verranno distribuiti, sono un vero schiaffo, una vera offesa nei confronti di tutti quei lavoratori, e sono moltissimi, operai e impiegati in cassa integrazione che rischiano la disoccupazione quando il blocco ai licenziamenti finirà, e che oggi devono vivere con non più di 900 euro al mese che per un lungo periodo non sono neanche arrivati.
L’arroganza e la protervia con la quale sono state fatte queste rivendicazioni: prima lo smart-working per tutti, poi la conferma dei buoni pasto anche se si lavorava da casa, ora di aumenti salariali ancora più alti di quelli che il Governo è disposto a concedere, dimostrano la totale perdita di credibilità dei sindacati del pubblico impiego, che dovrebbero essere duramente richiamati all’ordine dalle centrali confederali di Cgil–Cisl–Uil. Invece tutto tace, nessuno osa dire parole chiare sull’inopportunità del momento e delle richieste, forse per non perdere le tessere di un esercito così numeroso. E così si sciopera alla faccia della solidarietà con i più poveri e indifesi.
Un paese in cui succedono cose del genere rischia il fallimento.