di ALBERTO BRUZZONE
Il Dante Alighieri dell’East River sta seduto sopra una latta di vernice rovesciata e armeggia con la sua Olivetti Lettera 32, appoggiata sopra un tavolino pieghevole bianco, tipo quelli da picnic.
È decisamente un personaggio antico.
Antico come il Divin Poeta, magari senza la stessa aura sacrale. Ma pur sempre poeta.
Chiuso nella sua camicia bianca con colletto coreano, allacciata sino all’ultimo bottone, pantaloni scuri e scarpe nere, maciullate da chissà quanti chilometri percorsi a piedi tutti i giorni per arrivare sin qui, Charlie è indubbiamente una delle attrazioni di Roosevelt Island.
Arrivi sull’isolotto di fronte all’Upper East Side – un tempo ricovero dei malati cronici e oggi diventato quartiere residenziale e sede del prestigioso campus universitario Cornell Tech – attraverso una bella cabinovia che parte dalla 60th e ti porta fin sotto il ponte di Queensboro, leggendario quanto il Brooklyn e il Manhattan Bridge, per averlo visto in decine e decine di film.
Ti guardi intorno, lungo il boardwalk che ti conduce al parco dedicato a Franklin Delano, e mentre sei stregato dai grattacieli e da tutta quell’acqua in movimento, l’occhio non può non caderti su questo ragazzo afroamericano con il viso allampanato e i capelli rasati ai lati e lunghi e irsuti al centro, come un Moai dell’Isola di Pasqua.
Contornato da un capannello di persone, è intento a picchiettare sulla sua macchina da scrivere, dove ha appena montato un nuovo nastro monocolore, tutto nero.
Lui non ha una Beatrice a cui dedicare i suoi sonetti, come Dante ne ‘La Vita Nuova’. Perché ha tantissime Beatrici, decine e centinaia. Non sono sue, ma di chiunque prenda questo poeta per pochi minuti in affitto, e gli chieda un componimento apposito, scritto all’istante e senza mai sbagliare una parola.
A New York la chiamano ‘Custom Poetry’ ed è la versione più aulica e sublime di ciò che si può personalizzare nella Grande Mela: un vestito, una cheesecake, un gioiello di Tiffany, una caricatura, fino a una poesia. Dieci dollari a sonetto: dici a Charlie chi sei, a chi lo intendi dedicare, racconti qualcosa per un paio di minuti di te e della tua amata, e lui inizia a scrivere, mentre stai ancora parlando.
L’arte cucita su misura, intorno a ognuno di noi.
Ventidue anni, Charlie vive ad East Harlem e studia Letteratura Americana alla New York University: “Voglio diventare un insegnante, leggere e scrivere sono le mie due più grandi passioni – racconta in un (raro) momento di pausa dal suo flusso creativo – Solo che qui in America gli studi costano cari e la mia famiglia è povera”.
Papà meccanico, mamma casalinga, due fratelli e una sorella più piccola. Quando nasci in una famiglia come quella di Charlie, finisci quasi sempre a lavorare a 14 anni, altro che studiare Hemingway, Fitzgerald, Poe, Twain, Steinbeck e compagnia scrivente. “Ma io l’ho detto subito a mamma e papà: non vi chiederò mai un dollaro. Ce la farò da solo, e ve lo dimostrerò. Il sistema l’ho trovato, con quello che sapevo e so fare meglio, con quello che più amo”.
Chi l’ha detto che la poesia non dà da mangiare? “Ho investito venti dollari, all’inizio: tavolino e macchina da scrivere da un robivecchi di Sugar Hill, mentre la latta di pittura vuota me l’ha data il muratore vicino di casa. Il resto? Ce l’ho nella testa, nei libri che ho letto, in quello che ho studiato, nelle ore che ho trascorso in biblioteca. Giro la città: oggi sono qui, ma vado anche in altri quartieri”.
Non c’è un rimario prestabilito, non c’è l’aiutino. Non ci sono trucchi né inganni. Charlie la creatività ce l’ha dentro, e forse come insegnante sarebbe pure sprecato. “L’anno scorso ho letto un articolo su Internet: gli studenti americani di letteratura sono sempre meno. Tutti vogliono diventare ingegneri, medici, trader di borsa. Che peccato. Io non cambio idea. Quando finirò gli studi, spero di trovare un lavoro che mi gratifichi”. E la poesia in affitto? “Chissà, forse continuerò”.
E mentre parla, tira fuori dalla tasca posteriore dei pantaloni un’edizione di ‘Ultramarine’ di Carver che consunta è dir poco. “È il mio prossimo esame. Devo anche studiare, altrimenti non finirò mai. Ora torno a lavorare, ciao italiano, salutami il tuo bellissimo Paese: un giorno avrò i soldi per poterci venire”.
Eh già: la ‘Custom Poetry’ per Charlie è il lavoro. Il suo adorato lavoro.
Incontra una coppia di portoricani, parlotta un po’ con loro e poi attacca: “At the bottom of the sea…”.
Franklin Delano Roosevelt, cui quest’isola è dedicata, un giorno disse: “There are many ways of going forward, but only one way of standing still”, ci sono molti modi per andare avanti, ma uno solo per restare fermi.
Tu vai sempre avanti Charlie, dolcissimo poeta di tutti noi.