di GIORGIO ‘GETTO’ VIARENGO *
Palazzo Rocca ci racconta quattro secoli di vita chiavarese, dai nobili Costaguta al borghese Giuseppe Rocca. Il tema è d’attualità, in questi giorni che vedono l’annuncio del restauro del parco retrostante.
Credo utile iniziare la mia ricostruzione storica proprio dal dono alla città dell’intero complesso da parte dell’ultimo proprietario, il commendator Giuseppe Rocca. Era il 12 dicembre del 1912 quando il notaio aprì il testamento per darne pubblica lettura; il giorno seguente la giunta municipale, guidata dal sindaco Nicola Arata, deliberava di acquisire il legato e proponeva al consiglio comunale di votarne l’accettazione così come nello scritto del Rocca.
Il primo riconoscimento cittadino di questo grande e generoso dono fu poi compiuto nell’agosto del 1963, quando il sindaco Luigi Gatti scopriva una epigrafe commemorativa per testimoniare e ravvivare la riconoscenza della città tutta.
Nello scrivere questa memoria è assolutamente necessario ricordare il generoso donatore di tale bene. Giuseppe Rocca era nato a Chiavari nel 1850, da Luigi e da Vittoria Monteverde, primogenito di ben quattordici figli. Nell’archivio del palazzo sono conservati alcuni documenti importanti, tra cui il passaporto rilasciato a Chiavari nel febbraio del 1899 per la sua partenza per Buenos Aires e il diploma della Società Tiro a Segno “che da’ un Banchetto in suo onore in occasione del ritorno in Patria del Cavaliere Giuseppe Rocca da Buenos Aires – 28 novembre 1903”.
Dopo il rientro a Chiavari dall’Argentina, Giuseppe Rocca acquista il palazzo già dei Costaguta, Grimaldi e Pallavicini; il rogito, eseguito dal notaio Angelo Borzone, è datato 10 febbraio 1903. Con l’acquisizione della proprietà dell’edificio e del retrostante parco, il Rocca compie un’operazione di totale ricongiungimento della sua famiglia, con un lascito usufruttuario alle cinque sorelle, al nipote e alla dama di compagnia, che si trasferiscono nella rinnovata dimora. Nel tempo Giuseppe ne realizza una profonda ristrutturazione, intervenendo sull’edificio e nel grande parco. Rocca commissiona al pittore Francesco Malerba tutte le decorazioni che oggi possiamo ammirare nei locali, stanze e saloni, così come sono riportate e documentate nel “Libro dei Conti” per le “Spese di refazione proprietà in Chiavari”.
Molto significativo, come ha rilevato Raffaella Fontanarossa in un suo studio, fu il coinvolgimento di artigiani e impresari locali, dal Brizzolara alla Ditta Boletto che furono poi i veri artefici materiali di tante realizzazioni nella Chiavari dell’inizio del Novecento. Sempre nelle carte dell’archivio famigliare dei Rocca troviamo i disegni e i progetti per il grande parco posto nella collina che sale verso Ri. La realizzazione venne affidata all’architetto Pollice Caccia, che produsse precisi acquerelli per “Villa Cav . Rocca Chiavari, Piano planimetrico del nuovo giardino”, come recita il cartiglio sulle tavole.
Questa bellissima storia che testimonia della generosità di Giuseppe Rocca richiede poi un ulteriore approfondimento storico per risalire alle origini dello storico edificio, in particolare alla realizzazione del nobiliare palazzo voluto dai Costaguta.

Il cammino documentale prende avvio il 17 novembre del 1626; le carte d’archivio contengono la convenzione tra Achille Costaguta e l’architetto genovese Bartolomeo Bianco. Lo studio dei documenti ci permette di comprendere che il palazzo commissionato dal nobile Costaguta si realizzava integrando e modificando opere preesistenti. Il titolo a frontespizio del documento capitolato recita infatti: “Capitoli da osservarsi nel rimodernare e crescere la casa de’ Signori Costaguta posta in Chiaveri nella contrada detta dei Costaguti”; l’uso delle due parole chiave, ‘rimodernare’ e ‘crescere’, ci permette di comprendere che non si trattava di un cantiere che iniziava da livello piano di campagna, ma che realizzava un complesso fondendo volumi già esistenti e conformandoli al desiderio del Costaguta.
Se proviamo a rileggere il primo “capitolo” ne avremo ulteriore conferma: “Si aggiusterà la facciata della casa grande ed quella dove hora è la Vigna, quale alzerà tutt’all’intorno al pari della grande et uguaglierà ch’al di fuori stia tutta di un filo ed occorrendo gettare a terra tutta la muraglia d’avanti della Casa della Vigna parendo debole la butterà o la rifarà tuta di nuovo della misura grande”. Il linguaggio del manoscritto, conservato a Genova in Archivio di Stato, se pur datato è di facile comprensione e permette di confermare quanto ho già sostenuto, cioè che il palazzo è l’integrazione di due distinti edifici già in loco. Col palazzo i Costaguta iniziarono una straordinaria presenza in città, patrocinando il rifacimento da romanico a barocco della vicina chiesa di San Francesco ed agendo tra i massimi sostenitori della fabbrica del santuario a Nostra Signora dell’Orto.
Se guardiamo con attenzione i mausolei funebri realizzati dal Ferrandino nell’abside della cattedrale ci possiamo rendere conto dell’importanza di questa famiglia e della riconoscenza di cui furono oggetto in città. Come spesso accade, poi, le grandi famiglie possono andare incontro a decadenza: e così i Costaguta lentamente consumarono i loro cospicui redditi ed il palazzo fu ceduto ai Grimaldi. Qui visse per lungo tempo la loro figlia Maria Teresa che andò a nozze col marchese Alessandro Pallavicini. I Pallavicini, con una complessa vicenda giudiziaria, ne divennero proprietari in solido. Dopo la lunga vertenza vi fu una nuova cessione alle sorelle Ferrari, e furono poi queste ultime a cedere il palazzo a Giuseppe Rocca nel 1903.
Forse giunti a questo punto della ricostruzione storica degli eventi è bene ritornare al signor Giuseppe Rocca e al suo progetto di grande edificio rappresentativo del suo pensare, una scelta culturale che si concluse col dono alla città di Chiavari. I giornali del tempo, il Cittadino del 24 novembre 1904, scrivevano: “Ebbene, oggi, mentre lo storico palazzo di Chiavari stava per cadere nelle mani di qualche estraneo o di qualche albergatore svizzero, il Rocca pensò bene di conservarlo e di maggiormente ornarlo a lustro e decoro della patria. Ed egli certamente che, all’estero ed in patria già diede tante prove di animo generoso, filantropico e gentile, saprà continuare le tradizionali benemerenze degli antichi padroni dello stesso palazzo. Questo è il nostro augurio e la speranza nostra”.
Il signor Rocca lesse l’articolo e scrisse il suo testamento. Ancora oggi quel palazzo è un grande bene comune che nella memoria dei chiavaresi tiene vivo il ricordo del signor Giuseppe.
(* storico e studioso di tradizioni locali)