di GIORGIO ‘GETTO’ VIARENGO *
Da circa trent’anni ho la fortuna di vivere in campagna, in una zona collinare davanti al mare del Tigullio: qui coltivo, in maniera assolutamente dilettantistica, tre appezzamenti ad orto. Quella dell’orto è un’attenzione appresa dal nonno materno che coltivava un lenzuolo di terra in corso Italia a Chiavari.
Non ho la pretesa di trasmettervi dati che possono essere interpretati come rilievi scientifici, ma semplicemente raccontarvi cosa ‘vedo’ e quali sono le ‘differenze’ naturalistiche che ho potuto notare negli ultimi anni, in particolare da quando si discute delle variazioni climatiche.
Ho iniziato a percepire queste mutazioni nei primi anni Duemila, controllando un fenomeno che si crea nella stagione estiva poco dopo le ore 21: nella zona di San Bartolomeo di Leivi inizia un’inversione delle correnti e una brezza di tramontana rinfresca l’aria. Mi è capitato in diverse occasioni di ostentare ad amici presenti in casa tale effetto che puntualmente si è ripetuto, una sorta d’aria condizionata naturale. Ho cercato d’interpretare scientificamente tale evento, individuando tale episodio come un vento termico, un fenomeno tipico tra colina e mare antistante.
Ecco la prima variazione che ho constato: può capitare che tale effetto, desideratissimo per il sonno notturno con temperature più basse, non avvenga, oppure si rallenti a tal punto da non garantire tale beneficio. Addirittura, per fortuna non di rado, scomparire del tutto, con le temperature diurne che non mutano durante la notte.
Seconda verifica: questa riguarda la stagionalità delle coltivazioni ortive, in particolare nel passaggio tra estate e autunno: a Leivi era tradizione trapiantare i cavoli nel giorno di San Bartolomeo che si festeggia il 24 agosto. Sino a un paio di decenni orsono si poteva verificare temperature consone a tale trapianto già a fine agosto, si avviava tale operazione e si precedeva con successo alla coltivazione dei cavoli.
L’estate scorsa, visto il perdurare del caldo, ho rimandato di una decina di giorni tale operazione, nonostante l’arrivo di settembre il perdurare del caldo eccessivo ha danneggiato le piantine, una menomazione climatica tale da doverle ripiantare ben altre due volte. In quest’ultima occasione eravamo già a settembre inoltrato e un provvidenziale temporale aveva allentato la morsa del caldo.
Questi singhiozzi del clima cambiano notevolmente il risultato di tale coltivazione, il cavolo richiede sferzate di freddo che lo rendono decisamente più appetibile, ma tali effetti sono del tutto ridotti a ben poca cosa. I caldi eccesivi in primavera: si sono raggiunte temperature estive sin da fine aprile e primi di maggio, con le produzioni di fave e piselli in notevole difficoltà.
Leivi era una zona con produzioni di alta qualità d’albicocche, si parla di una specifica specie autoctona, ma da qualche anno le fioriture virano ben presto alla allegagione, il passaggio dai fiori ai frutti, aiutate dalle alte temperature quotidiane d’aprile e maggio, ma lo sbalzo termico della notte danneggia questo fenomeno, compromettendo le fasi successive. Da qualche anno le produzioni sono fortemente calate, talvolta totalmente annullate.
Ancora una constatazione: la coltivazione delle solanacee, in particolare dei nostri pomodori. Trapianto fine aprile primi di maggio, messa a dimora delle canne di sostegno e primi raccolti inizio luglio. Sino a questo punto si procede come da tradizione, ma con l’arrivo d’agosto le piante, sottoposte al bollente sole di queste ultime estati, si stressano e la produzione vira in un totale decadimento delle piante.
Rammento l’orto di mio nonno Manuello, anni Sessanta del Secolo scorso, con i pomidori raccolti sino all’inoltrato autunno. Grandi cambiamenti si notano anche nella natura animale e degli insetti. Le cicale, numerosissime, spesso muoiono a decine per il troppo caldo, un fenomeno mai visto e sempre più comune; le lucciole, le mitiche ‘ciæbella’, presentano le loro luminescenze notturne sempre più raramente e con una stagionalità di pochi giorni.
Vi indicavo che la mia dimora è davanti al mare del Tigullio, in una posizione assai panoramica: alla sera, col buio, il mare s’illumina con i bagliori delle lampare, le conto e cerco di prevedere se il giorno successivo è da acciughe. Dal 2019, ho tenuto i dati rilevati da diversi articoli giornalistici, le pesca è sempre diminuita e da diversi anni la pezzatura si è ridotta di non poco. La mitica acciuga da salare richiedeva misure minime canoniche, ha ridotto fortemente una tradizione che durava da secoli. Potrei continuare con le castagne, talvolta le olive e diversi altri prodotti, tutti capaci di segnare anomalie e raccolte difficoltose, per non dimenticare la pioggia e i suoi temporali a scandire le giornate estive.
Ribadisco, non ho nessuna pretesa d’avviare una guerra santa sul clima, queste sono testimonianze che confermano una preoccupante stagione di mutazioni, come uscirne lo indicheranno le competenze di chi studia questa materia. Concludo con una banalità: non ci sono più le stagioni di una volta, ma è drammaticamente vero!
(* storico e studioso di tradizioni locali)