(r.p.l) La Liguria è una regione in grave sofferenza a causa della incredibile situazione logistica venutasi a creare dopo il crollo del ponte Morandi. Oltre alla tragedia delle 43 vittime innocenti le conseguenze del disastro sono state una serie di reazioni a catena che hanno colpito il già fragile sistema infrastrutturale ligure in particolare nella sua componente autostradale.
Dopo anni di insufficienti interventi di manutenzione e di varie negligenze del concessionario (ASPI) e di scarso controllo da parte del Ministero delle Infrastrutture (MIT), fattori sempre gravi ma gravissimi su tracciati tormentati e sofferenti come quelli liguri, costellati di gallerie e di viadotti, il crollo del ponte Morandi e le inchieste amministrative e giudiziarie conseguenti hanno provocato una rincorsa disordinata ai controlli e agli interventi manutentivi e una terribile congestione degli stessi che hanno provocato il blocco delle autostrade.
Questa situazione ha messo in ginocchio la regione, colpendola al cuore nelle sue due attività principali: quella trasportistica e marittima, legata principalmente al porto di Genova, e quella turistico-ricettiva, che costituisce il core business delle due riviere.
I dati sia pure ancora provvisori sui traffici del porto di Genova nel primo semestre del 2020 appaiono drammatici: -20% circa dei traffici commerciali, oltre il doppio per i traffici industriali, quasi -75% dei traffici passeggeri. Si tenga conto che le differenze sono calcolate rispetto all’anno precedente, già influenzato dalle conseguenze logistiche del crollo del Morandi, e che sul semestre decorso si sommano due fattori tragici: la caduta delle attività economiche dovute alla pandemia e il collasso logistico degli ultimi mesi dovuto al blocco delle autostrade.
Con riferimento alle attività turistiche viene segnalato un crollo di presenze rispetto all’anno precedente che in taluni casi sfiora il 50% in meno.
Difficile per gli operatori economici liguri digerire la gaffe della ministra De Micheli, che liquida come ‘narrazione’ le sofferenze crescenti degli ultimi due anni. La ministra avrà inteso dire altro, ma con gente così provata bisogna scegliere più accuratamente le parole, se non si vuole tradire la propria lontananza culturale, emotiva e politica da tutta la struttura economica del territorio ligure.
Ma torniamo al blocco autostradale.
Si dice che esso sia dovuto al fatto che, dopo anni di colpevole inerzia, i funzionari del MIT, spaventati dalle possibili responsabilità penali dei loro comportamenti, siano diventati particolarmente rigidi e intransigenti e, in particolare, abbiano cambiato completamente il loro approccio interpretativo rispetto alla Circolare Ministeriale del 1967 che regola le attività di controllo e di manutenzione delle autostrade italiane. In particolare si è assistito negli ultimi mesi ad un atteggiamento che non ha ritenuto più sufficiente la sola attività di verifica delle condizioni dei tunnel così come proposto da Autostrade e fino ad allora accettato. I tecnici del MIT negli ultimi mesi hanno imposto alla concessionaria di effettuare subito tutti gli interventi di prima necessità, cioè una via di mezzo tra un’attività di controllo e un’attività di manutenzione, e ciò ha avuto come diretta conseguenza la paralisi della rete.
Tali interventi sono previsti dalla circolare con cadenza trimestrale, il che significa che, se non si cambierà l’atteggiamento del Ministero e/o non si cambierà la circolare (che pare nessuno voglia prendersi la responsabilità di cambiare), tra tre mesi saremo di nuovo lì con code e blocchi senza fine.
La domanda che sorge spontanea è la seguente: ASPI nei tratti autostradali in concessione ha circa 500 gallerie di cui 285 in Liguria; ma si dice che solo alle gallerie liguri venga applicata la nuova metodologia di cui sopra: se è così, perché? Perché nelle gallerie delle altre regioni non avviene nulla e il MIT acconsente a che si segua la vecchia prassi?
Alla vigilia delle elezioni regionali la propaganda impazza, e le forze politiche liguri che sostengono il Governo nazionale (M5S, Pd e Leu) attaccano Toti e la Regione Liguria perché in questi ultimi anni non avrebbero fatto nulla per risolvere il problema. Toti da parte sua afferma che questo repentino cambiamento di metodologia del MIT nelle verifiche e nei controlli “puzza di boicottaggio elettorale” nei confronti di una regione non politicamente ‘amica’ del Governo nazionale.
Al di là dei differenti orientamenti politici e delle convinzioni conseguenti, la critica alla Regione e al suo Governatore appare strumentale e ingiusta.
La Regione non ha competenze in materia di concessioni autostradali e di manutenzioni e verifiche al riguardo. Le competenze e le responsabilità sono tutte dei concessionari e del Governo nazionale e in particolare del MIT.
Le responsabilità di ciò che sta succedendo vanno dunque addebitate a chi da Roma, prima del crollo del ponte Morandi, non ha adeguatamente esercitato l’attività di controllo marcando stretto i concessionari, richiamandoli ai loro doveri e costringendoli, se del caso, a fare le manutenzioni dovute soprattutto nei punti più critici, come viadotti e gallerie.
Inoltre tutti sanno che le cause della congestione e della morsa sul nodo autostradale ligure, e in particolare sui tratti che riguardano l’area metropolitana genovese, vengono da molto lontano.
In particolare negli ultimi 30 anni la sinistra, sempre al governo in Regione e a Genova almeno fino a 5 anni fa, è stata incapace di risolvere il nodo della Gronda, opera fondamentale per il decongestionamento della situazione, che se realizzata avrebbe alleggerito i carichi sulle autostrade che portano al capoluogo ligure e al suo porto, compresi quelli sul ponte Morandi.
Una volta che finalmente il Pd e i suoi governi locali e nazionali, dopo decenni di convulsioni, erano riusciti a trovare una soluzione per il tracciato e per il finanziamento dell’opera, messa come carico al concessionario all’atto del rinnovo della concessione, sono arrivati quelli del M5S che hanno rimesso in discussione tutto.
Vi è traccia di ciò anche nell’ambigua dizione contenuta sul punto nel programma della coalizione Pd-M5S-Leu per le prossime elezioni regionali. Alla Gronda viene dedicato un intero paragrafo, ma sinceramente non è chiaro cosa la coalizione voglia fare. Il candidato presidente Ferruccio Sansa, fin dalla sua prima dichiarazione, si è affrettato a precisare che “dobbiamo fare il primo tratto, quello sul raddoppio della A7, sul resto ci sono riflessioni e probabilmente delle modifiche da fare”, confermando che le tendenze a rimettere tutto in discussione sono molto forti. Anche la ministra De Micheli, interrogata in proposito, si esprime solo per il primo tratto, apparendo così allineata sulle posizioni di Sansa.
Ma il Pd ligure e nazionale è davvero disposto a fare marcia indietro anche su questo punto? E se sì, perché?
Se invece di impiegare lunghissimi mesi alla ricerca di un candidato presidente (ricerca conclusa con l’individuazione di un candidato che non sembra convincere né ampi settori del Pd né ampi settori del M5S e che ha rotto la coalizione con l’uscita di tutti i moderati) il Pd si fosse sforzato di spiegare ai cittadini liguri e agli operatori economici della regione cosa pensa di fare sulle politiche infrastrutturali, sulla tutela delle attività del porto di Genova e sulla Gronda, oggi conosceremmo almeno gli indirizzi strategici e la visione di quella che per tantissimo tempo è stata la prima forza politica ligure e potremmo recarci al voto con maggiore chiarezza di idee.
Così non è avvenuto, e la spiacevole sensazione è che piuttosto che focalizzarsi sui problemi dei liguri e su una strategia per il futuro della regione, nel Pd abbia prevalso un’impostazione che il vecchio Nenni avrebbe definito di “politica politicante”. Lo spirito riformista non sta più da quelle parti, e per chi crede che il futuro non possa essere costruito con la sindrome del “…pas d’ ennemis à gauche” è quanto mai necessario lavorare per un’alternativa.