di ANTONIO GOZZI
Più di un mese fa, su queste pagine, ragionando sull’anno che se ne stava andando e su quello che arrivava, scrivevo: “Un Paese con un enorme debito come il nostro non può scherzare con il rating e con lo spread che determinano il costo e la sostenibilità del debito stesso e sono influenzati da grandi centrali internazionali. La fiducia interna ed esterna così faticosamente conquistata [con il Governo Draghi, ndr] e così fondamentale per l’economia e gli investimenti può svanire in poche ore, facendoci ripiombare in un buco nero fatto di non crescita, sfiducia, rassegnazione. Bisogna assolutamente evitare tutto ciò. L’ideale sarebbe, almeno per un anno ancora, di non cambiare niente. Lasciare Draghi a Palazzo Chigi e Mattarella al Quirinale ancora per un po’. Quando c’è tempesta, e tempesta ancora c’è, sia a livello nazionale che internazionale, non si cambia il comandante della barca. Ma qui la mia cultura marinara glocal si spinge troppo avanti e quindi mi taccio.”
Scusate l’autocitazione. È evidente che il mio editoriale di ‘Piazza Levante’ non ha avuto alcuna influenza sulla rielezione di Sergio Mattarella alla Presidenza della Repubblica. Voglio sottolineare soltanto che la cultura marinara, abituata a far fronte a fortunali e pericoli di ogni tipo, seleziona comportamenti e decisioni utili alla sopravvivenza ed è capace di individuare la giusta rotta.
Essere saggi è fondamentale per individuare la via che ti fa uscire dal pericolo, e il rischio di una deflagrazione del sistema politico italiano nella settimana trascorsa è stato sotto gli occhi di tutti. Si è andati vicino a uno strappo grave, a un avvitamento pericoloso. A un certo punto è sembrato non solo che non si riuscisse a trovare un degno Presidente della Repubblica ma che, a conseguenza delle convulsioni delle forze politiche e al possibile delinearsi di una nuova maggioranza per l’elezione dell’inquilino al Colle (Lega-M5S e FdI, la quarta dall’inizio della legislatura) si fosse in procinto di determinare una crisi di Governo al buio con l’abbandono di Draghi.
Qualcuno ci ha provato.
È sceso in campo un partito dell’avventura, guidato da leader, o presunti tali, mossi più dalla voglia di mostrarsi che di essere.
Ma che dire della folle idea di buttare nel tritacarne del voto segreto la Presidente del Senato e seconda carica dello Stato, Maria Elisabetta Alberti Casellati? E che dire della pazza idea di Salvini e Conte di far diventare Presidente della Repubblica il Capo dei servizi segreti, Elisabetta Belloni, solo per cavalcare lo slogan “una donna al Quirinale”, senza rendersi conto della gravità istituzionale della proposta?
Nella tarda serata tra venerdì e sabato solo Matteo Renzi, con l’intelligenza politica e la forza che lo contraddistinguono, ha avuto il coraggio di contrapporsi da subito e frontalmente a questa idea malsana e alla strumentalizzazione senza scrupoli dell’uso, per bassi fini di propaganda politica, del nome di una bravissima servitrice dello Stato.
Il tempismo e la forza di Renzi insieme all’immediata stroncatura di Di Maio e alla netta opposizione di Forza Italia e di Leu, hanno convinto il Pd, per un po’ titubante, e hanno fatto comprendere a Salvini e Conte che su quella strada non si passava.
Ma la saggezza che nelle crisi mostra il meglio dell’Italia, non era soltanto quella di alcuni leader: già prima si era manifestata e si era messa in moto nella pancia profonda del Parlamento. Già dalla sesta votazione iGrandi Elettori, o una consistente parte di essi, avevano incominciato a dare un’indicazione chiara e inequivocabile su Mattarella (346 voti). E nella notte tutti quelli che non pensano che la politica si faccia dando spallate e pugni in faccia agli altri, e che rappresentavano la maggioranza vera dei grandi elettori, hanno individuato nella soluzione Mattarella bis quella migliore.
Un partito trasversale, nel quale insieme a tantissimi parlamentari spiccano donne, uomini e leader intelligenti e capaci di pensare agli interessi nazionali prima di tutto.
Di Matteo Renzi abbiamo detto, ma dobbiamo parlare anche di Enrico Letta che ha giocato intelligentemente, non avendo il Pd che il 12% dei grandi elettori, una partita in difesa e alla fine l’ha vinta; di Luigi Di Maio, sempre più istituzionale, silenzioso per mesi e capace, con intelligenza e tempismo da vero leader, di affossare la pazza idea di Conte e la sua precaria leadership sul M5S, e di difendere l’operato del Governo Draghi e l’azione del Presidente del Consiglio; e di Giancarlo Giorgetti che, a prezzo di una sofferenza forte e di un duro confronto con Salvini, è riuscito a portare la Lega al voto su Mattarella aiutato da Zaia, Fontana e Fedriga.
A me sembrano particolarmente importanti i comportamenti di Di Maio e di Giorgetti che rappresentano una buonissima notizia per l’Italia.
Dopo le follie del governo gialloverde con cui è nata questa legislatura (ve li ricordate gli schiamazzi di Di Maio sull’impeachment a Mattarella nel maggio del 2018, schiamazzi per i quali recentemente il Ministro degli Esteri ha peraltro chiesto scusa, e, nello stesso periodo, le minacce dei leghisti e del M5S di uscire dall’euro?) all’interno delle due forze populiste stanno emergendo tendenze e potenziali leadership ragionevoli e moderate.
Salvini e Conte che nella confusione generale, non si sa quanto volontariamente, hanno rischiato di far saltare tutto compreso il Governo Draghi, escono fortemente indeboliti dalla vicenda del Quirinale; Di Maio e Giorgetti, invece, ne escono con un prestigio e una credibilità crescenti che aiuteranno l’Italia nei prossimi anni.
Tutto bene quello che finisce bene, dunque, e un grande grazie a Mattarella che con umiltà e sobrietà ha accettato per senso del dovere verso l’Italia il nuovo mandato, così come a Mario Draghi che, potenzialmente quirinabile, ha anteposto gli interessi del Paese alle pur giuste e comprensibili ambizioni personali, ed ha aiutato molto nei momenti topici a trovare la strada di Mattarella.
Mattarella e Draghi: una coppia da sogno, capace di garantire stabilità istituzionale e continuità all’azione di Governo e grande prestigio e peso internazionale all’Italia.
Oggi, smarcata la questione del Quirinale, il Governo Draghi può ritornare, sia pure in un difficilissimo anno elettorale, a lavorare sulle riforme e sull’ammodernamento del Paese di cui l’Italia ha grande bisogno, e lo dovrà fare con forza e determinazione.
Se i cittadini italiani, popolo di naviganti come ben sappiamo, avessero potuto votare, questa sarebbe stata la scelta di gran lunga maggioritaria. Ah, la saggezza marinara…