di DANILO SANGUINETI
La classe arbitrale è un’invenzione. Esistono semmai le classi, sarebbe forse più giusto dire le caste, gerarchicamente strutturate e non sempre è l’abilità a fungere da criterio selettivo.
Tra i tanti che restano a lavorare con i più puri, ci sono veri appassionati, dilettanti assoluti che vanno a dirigere ovunque, comunque e a dispetto di ogni convenienza le partite di ogni tipo di categoria agonistica. Non bisogna scordarlo mai che si porta a termine una partita ufficiale anche con otto calciatori in meno sul terreno, senza l’arbitro mai.
Il direttore di gara – una volta rigorosamente di genere maschile e di funebre monocolore, oggi fortunatamente variopinto e ‘fluido’ – che si accontenta di un rimborso spese che spesso non copre le reali spese, è un appassionato che pur di partecipare al più bel gioco del mondo, sopporta qualsiasi sacrificio. Andrebbe tenuta nella giusta considerazione questa seconda categoria di fischietti, quelli che si inerpicano e discendono valli e montagne, che corrono su campi dove l’erba è un lontano ricordo e in località dove “è consigliabile non sbagliare la fischiata”.
Il prototipo dell’arbitro per tutte le stagioni e tutte le evenienze, sul quale puoi sempre fare affidamento è il chiavarese Lorenzo Massa che ha iniziato giovanissimo e che raggiunta l’età adulta prosegue imperterrito con uno score di 900 partite portate a termine (altra constatazione non banale, riflettendo su quali siano i motivi che costringono a interromperla…), uno dei motivi per i quali l’Associazione Italiana Arbitri gli ha conferito il ‘Premio Marengo’, che da quest’anno è assegnato all’associato che, a disposizione dell’Organo Tecnico Regionale, si è maggiormente distinto dal punto di vista tecnico durante la precedente stagione sportiva.
Lorenzo, assistente arbitrale a disposizione del Comitato Regionale Arbitri Liguria, è arbitro effettivo dal 2002 e assistente regionale dal 2004. Vent’anni a fischiare e sventolare la bandierina. Ed avere conservato l’entusiasmo. “L’arbitraggio per me è sempre stata una passione. Una volta capito che con il pallone tra i piedi avrei fatto poca strada, ho provato a fare il corso per rimanere nel calcio, l’ho superato e dalla prima volta che ho indossato la divisa ad oggi non me ne sono mai pentito. Il calcio è tuttora ‘il grande amore’. Ho partecipato a oltre 950 gare, eppure non mi considero arrivato. Penso sempre di poter migliorare. Inoltre sono felice di dare una mano a far funzionare la macchina football. Sì, so che per sottolineare la nostra importanza dicono che senza gli arbitri non si può giocare una partita, ma a me piace pensarla anche in senso contrario. Se non ci fossero i calciatori noi saremmo dei ‘disoccupati’. Mi piace a ricordarlo di tanto in tanto a qualche collega. Tra noi e gli atleti ci dev’essere un rapporto franco, niente autoritarismo, niente sudditanza, l’autorevolezza te la guadagni con un comportamento equilibrato, il rispetto dei ruoli, e un pizzico di ragionevolezza”.
La sapienza che proviene da un’esperienza lunga e variegata. “Ho girato tutti i campi della Liguria, conosco i pregi e i difetti di ognuno. Ci sono stadi molto belli, posti dove è stimolante dirigere e altri campi un po’ meno accoglienti”.
La curiosità di conoscere il posto ‘peggiore’ è troppo forte. “Beh gli stadi ‘difficili’ sono tanti, ma attenzione non è detto che siano sempre gli stessi, cambiano negli anni, con il variare delle situazioni ambientali e le vicissitudini del club ospitante. Se proprio devo fare un nome, direi il campo di Fezzano, in provincia di Spezia. Lo stadio è situato in un posto particolare, fuori mano, dove è difficile arrivare e a volte difficile… uscire”.
E ci sono un paio di aneddoti significativi. “Non farò i nomi ma esistono paesi e tifoserie che non sono facili da trattare. Insulti e minacce sono da mettere in conto ovunque, ma spesso restano fatti isolati. E in ogni caso arrivano dopo una decisione, magari giusta ma che non è piaciuta, magari sbagliata e giustamente contestata. Solo in pochissime piazze ho visto e sentito – le prime volte con grandissimo stupore – brutali contestazioni ancor prima che fischiassero l’inizio della gara”.
Una specie di avvertimento, pressione preventiva, un condizionamento psicologico primitivo e brutale. Che si affronta e si combatte con l’esperienza. “Come in tutte le cose alla fine ci si abitua e si va avanti. Ma sono episodi tutto sommato marginali, prevalgono i ricordi belli, le partite ben arbitrate in stadi e davanti a folle importanti”. Tra i quali c’è… “Beh quando sono al Comunale di Chiavari è sempre un’emozione. Poi gli stadi delle città grandi. Ma non vorrei fare categorie di merito, molto dipende dal tipo di gara. L’essere concentrato su cosa devo fare non mi impedisce di gustare la bellezza di certi gol, di certe parate. A volte mi verrebbe da applaudire, lo faccio mentalmente, attento a non farmi condizionare e a restare imparziale”.
Un dovere che Massa persegue senza concessioni. “A parte ogni altra considerazione è vantaggioso. I calciatori e la maggior parte degli spettatori riconoscono e rispettano il nostro impegno, sanno che se sbagliamo lo facciamo in buona fede. È un aspetto essenziale del gioco”.
Ogni fine settimana Lorenzo Massa partecipa almeno a una partita gestita dall’Organo Tecnico Regionale, spesso a due se non tre. Il traguardo storico delle mille gare è in vista. E poi? “Qualche collega passato tra i ruoli dei commissari di gara mi ha chiesto se, avendo raggiunto l’età per farlo, non abbia deciso di unirmi a loro. Rispondo che per adesso sto bene così. Non mi pesa sobbarcarmi trasferte, alzatacce, ritorni a ore impossibili, perché la bellezza e le emozioni dei 90 minuti sul campo non si possono scambiare con niente altro”. E questo fa intuire quale sarà la risposta all’ultimo quesito. La gara migliore arbitrata? “La prossima”.