di GIORGIO ‘GETTO’ VIARENGO *
Sabato scorso si è tenuto il venticinquesimo raduno delle Confraternite del Priorato Diocesano, un importante incontro organizzato presso l’Auditorium di San Francesco.
Il Priorato raccoglie e organizza l’attività del movimento confraternale del territorio della Diocesi chiavarese, un’esperienza ancora viva e presente in tutto l’ambito territoriale e capace di narrare secoli di storia associativa laicale nel solco millenario della chiesa locale. Vorrei qui tracciare alcune esperienze di ricerca effettuate per ricostruire le ragioni della loro diffusione e come siano sopravvissute nel tempo le loro attività, sempre evidenziate da una caratteristica unica: la religiosità popolare.
Quest’ultima è forse una delle particolarità più preziose dell’evoluzione del cristianesimo, in grado di dar vita e di permettere il mantenimento di un insieme di credenze non ufficiali, nel cui ambito il popolo praticava la sua fede in forme concrete, spesso materiali, sempre al servizio di una religiosità assolutamente pratica e a misura d’uomo. Qui entrava in campo la tolleranza del potere ecclesiastico, che doveva incorporare senza cancellare queste forme partecipative, cioè un movimento laicale all’interno della comunità cristiana.
L’incontro nell’ex Chiesa di San Francesco ha permesso di rammentare come questa esperienza si sia attivata in Chiavari ed espansa nell’intero Tigullio. Siamo alla fine del XII secolo, e la città voluta dai Consoli genovesi era chiusa e protetta nel cerchio murario: alla sommità il castello, all’interno il borgo, con una comunità nuova ed in espansione. Nei primi anni del XIII secolo si replica con un rinnovato lodo la costruzione di una nuova porzione di città, compresa tra la Porta di Capo Borgo e il corso dell’Entella. A promuovere la nuova chiesa e l’arrivo dei Disciplinati sono i feudatari locali, i Fieschi. Con il nuovo culto e con la regola francescana si realizzano non solo la chiesa e il convento ma nella parte retrostante prende forma un grandioso oratorio che accoglierà i primi laici desiderosi di vivere questa nuova esperienza. La formula partecipativa sarà quella Confraternale.
Grazie agli studi di un grande analista locale, Arturo Ferretto, oggi possiamo rileggere il primo e innovativo linguaggio dei confratelli: le sacre rappresentazioni. Furono queste grandi azioni collettive a portare le parole dei disciplinati nelle piazze e nelle strade, partecipate processioni con macchine e grandi statue trainate su carri, mentre nelle strade passavano i monumentali Cristi portati a braccia.
Gli studiosi della materia affermano (vedi gli scritti di Paolo Toschi) che queste rappresentazioni apportavano la teatralità del ludus spettacolare, da sempre capace di scandire il calendario della vita collettiva con danze, processioni, canti corali, azioni sceniche. In questa prospettiva acquistano un assoluto rilievo le testimonianze dell’etnografia in cui campeggia il teatro profano, da cui trasse voce e futuro la cultura della religiosità popolare cristiana.
Rileggendo l’antico Statuto della Comunità di Chiavari, un manoscritto datato 24 marzo 1469, vi troviamo una importante testimonianza che ci rende un’immagine chiarissima. Il Capitolo Quarto richiama all’antico scontro tra Carnevale e Quaresima e la regola dettava il comportamento da tenersi: “circa le cose inhoneste, fu statuito e ordinato che non sia licito al tempo di carlevaro stare alchuno segnore per balare ho fare altri iochi vani, ni che alchuno presuma ni olse trare petre ho fare alhcuna iniuria contra le case de alchuno che, per tempo alchuno, havesse menato mogliere sto pena de un fiorino per cischuno e per cischuna fiata, e così a li sonatori como a li ballatori”.
L’articolo successivo richiama una delle più diffuse pratiche delle Confraternite: le cantegore, canti di questua per le anime purganti. “Non sia licito ad alchuna dona, de che età sia, fare canteigore, nì demandare in alcun tempo de lano denari ho altra cosa”.
I pochi denari raccolti con la questua delle “cantegore” erano utilizzati per dire messe in suffragio delle anime purganti e sostenere l’attività dei confratelli. Affianco alla chiesa di San Francesco era invece attiva la “Confraternita Mortis et Orationis”, che per prima si occupò della pratica del funerale e della sepoltura; nei primi anni del Seicento altre comunità del Tigullio si occuperanno di questa funzione.
Elencare le Confraternite del territorio richiederebbe un notevole spazio, credo che basti rammentarne il ruolo nel preservare attività secolari che hanno costruito parte della nostra identità culturale odierna. Il fatto di portare in processione monumentali Cristi è azione davvero unica, non solo di fede e penitenza e di conservazione di beni culturali, ma anche segno indelebile che il patrimonio culturale può esistere se esiste una comunità capace di riconoscerlo e tenerlo in vita.
Resto assolutamente certo, dalla mia formazione laica, di poter dichiarare che le Confraternite del Tigullio siano protagoniste di una pagina di storia irrinunciabile.
(* storico e studioso delle tradizioni locali)