di GIORGIO ‘GETTO’ VIARENGO *
Con San Martino si rinnovavano i contratti agrari e di conduzione delle terre, un Santo molto radicato sul nostro territorio, diffuso dalla cristianizzazione dei Monaci di San Colombano scesi da Bobbio. Il calendario contadino spillava il primo vino proprio in questa occasione, il ‘manente’, termine longobardo per indicare il conduttore dei fondi, lo offriva al proprietario della terra con l’augurio del rinnovo del contratto. Sin da fine settembre si scandiva un adagio popolare, capace di divenire presagio per l’intera stagione autunnale: ‘A San Micchê, a castagna pe u sentè’ (per San Michele la castagna è nel sentiero).
Le figure dei due Santi richiamano il calendario di questi giorni e il prezioso frutto della castagna. Qui il primo aspetto: il castagno è un albero di grande diffusione in Liguria, la sua chioma è presente in gran parte della regione e ne rende unico il paesaggio. Il grande albero è stato capace di caratterizzare il territorio, realizzando una cultura che si è manifestata attraverso una secolare pratica, con particolarità di messa a dimora, tecniche di razionalizzazione del terreno e avviando un vero ‘ciclo’ del castagno. Qui una prima constatazione culturale: dal seme al raccolto l’attesa è di diversi anni, ma i nostri contadini conoscevano la necessità d’essere pazienti e il tempo diveniva elemento indispensabile, l’attesa interminabile era così ripagata dal raccolto, garantendo il ‘pane quotidiano’ per la vita di quei tempi.
Queste preliminari considerazioni ci permettono d’affermare che il castagno diventerà uno degli elementi capaci di caratterizzare la cultura contadina dell’intera regione per secoli, poi il lento e inesorabile declino. Provate a ripercorrere le immediate balze del nostro Appennino, nelle vallate che risalgono verso i versanti più profondi, questo era il territorio del castagno, con i lunghi ciglioni, gli specifici terrazzamenti che garantivano le coltivazioni.
Ripercorrendo i relitti dei boschi ritroveremo i tanti casolari per custodire gli attrezzi per le diverse lavorazioni, i seccatoi (secaèsi) e le tante ‘grè’ (graticcio per l’essicazione realizzato in ontano). Il tempo e la pazienza erano sempre presenti e conclusa l’essicazione, che durava circa quindici giorni, si potevano ripulire e portare al mulino per continuare la trasformazione. La farina ottenuta aveva una propria unità di misura, ‘u rùbu’, corrispondeva a otto chilogrammi, era conservata per l’alimentazione famigliare e venduta sul mercato locale.
Rileggendo i dati custoditi presso la Società Economica, in particolare i censimenti del ‘Comizio Agrario’, possiamo ricostruire la portata economica della coltivazione del castagno nel circondario di Chiavari. I castagni occupavano una superficie di circa venticinquemila ettari, le coltivazioni più estese erano nel territorio di Borzonasca e Varese Ligure, seguivano San Colombano, Ne, Mezzanego e Favale.
In un’annata di buona produzione si potevano raccogliere circa quarantaseimila quintali di castagne, i comuni sopra citati primeggiano nelle statistiche: Borzonasca pesava circa ottomila quintali; seimila Varese Ligure; tremilacinquecento San Colombano; tra i mille cinquecento e i duemila erano i quintali raccolti dagli altri coltivi.
Leggendo con attenzione i censimenti, siamo negli anni Settanta dell’Ottocento, possiamo ricavare quanto l’indotto fosse economicamente legato alle coltivazioni del nostro territorio; i mugnai, presenti in gran parte dei comuni del circondario, occupavano duecento sessantaquattro addetti. San Colombano poteva contare ventitré mulini, Santo Stefano ne aveva ventitré, Carasco ventidue. Numeri che oggi ci appaiono incomprensibili e richiamano ad una gestione del territorio totale, complessiva, dove il mondo contadino e rurale utilizzava tutte le risorse possibili in modo compatibile ambientalmente. In questa ricostruzione non abbiamo ancora valutato l’intero ciclo del castagno, ci siamo solamente incentrati sul frutto, la castagna, e la sua trasformazione, non possiamo dimenticare il legname e le foglie.
Il commercio del legno era inserito nei prodotti di derivazione boschiva, con legni definiti da costruzione, da mobilio e da carbone. In questa economia primeggiava Santo Stefano, seguivano Borzonasca e Varese Ligure. Il legno di castagno era utilizzato nell’edilizia per l’intelaiatura dei tetti e nei pavimenti, nelle campagne si utilizzavano le ‘carasse’ per sostenere i filari delle vigne. Durante la manutenzione e la pulitura dei coltivi che precedeva la raccolta, si rastrellavano le voglie per raccoglierle, trasportarle nelle stalle per essere utilizzate come lettiere. A sua volta, nelle operazioni di lavoro nelle stalle, ricollocate nei boschi e negli orti come concime. Cicli e stagioni che trascorrevano, col pieno rispetto di un ambiente dove la natura ne era centralità, quel mondo spesso resta rinchiuso in un proverbio o nelle rievocazioni folkloristiche, ma le castagne non sappiamo più da dove provengano.
(* storico e cultore di tradizioni locali)