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Giovedì 4 settembre 2025 - Numero 390

La politica estera e la collocazione internazionale dell’Italia saranno il discrimine delle coalizioni di governo?

I pacifisti della resa rifiutano sempre e comunque l’uso della forza e invocano genericamente e retoricamente iniziative diplomatiche dell’Europa e di un’Europa possibilmente sganciata dagli Usa
Palazzo Chigi, sede del Governo italiano
Palazzo Chigi, sede del Governo italiano
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di ANTONIO GOZZI

In questo mondo in rapido cambiamento penso che il futuro delle coalizioni di Governo in Italia sarà sempre di più determinato dalle scelte in politica estera.

Tutti siamo per la pace, questo è fuori discussione. La maggioranza dei cittadini italiani lo è.

Ma la domanda che bisogna porsi è: quale deve essere l’atteggiamento dell’Italia e quindi delle sue forze politiche rispetto al configurarsi di un mondo in cui l’Occidente e gli amici dell’Occidente (compreso Israele) rappresentano gli unici Paesi al mondo in cui c’è la libertà (di esprimersi, di manifestare, di dissentire, di votare, di essere gay) e gli unici Paesi in cui bene o male funzionano istituzioni democratiche? A fronte di una altra parte di mondo che è priva delle più basilari libertà ed è retta da autocrazie e dittature che manifestano fini neo-imperiali (vedi RussiaIranCorea del Nord solo per citare alcuni casi) e in un modo o nell’altro parlano di una nuova alleanza per sconfiggere l’Occidente?

Il Mediterraneo e la collocazione geografica dell’Italia ci pongono al centro di uno dei teatri più difficili e complessi per gli equilibri mondiali.

Sempre di più ci confronteremo con una situazione del genere come ben dimostrano tanto la vicenda ucraina, in cui  la Russia sembra irriducibilmente protesa a conquiste territoriali irreversibili e di fatto alla neutralizzazione politica, economica e demografica di un Paese che per Putin e per il neoimperialismo russo non deve esistere, quanto la questione mediorientale, dove l’Iran e le sue proxy (Hezbollah, Hamas, Houthi) contestano l’esistenza di Israele ‘dal fiume al mare’ e aiutano la Russia fornendo armi di diverso tipo da usare contro l’Ucraina.

I pacifisti della resa, che se avessero prevalso al tempo del nazismo avremmo gli eredi di Hitler ancora in auge, sono incapaci di confrontarsi con questa dura realtà. Rifiutano sempre e comunque l’uso della forza e invocano genericamente e retoricamente iniziative diplomatiche dell’Europa e di un’Europa possibilmente sganciata dagli Usa.

E fanno finta di non vedere quello che è successo in Svezia e in Finlandia, dove i Governi di Paesi tradizionalmente neutrali, sostenuti dalla stragrande maggioranza dei loro cittadini, dopo l’invasione russa dell’Ucraina si sono affrettati a chiedere e ad ottenere l’ingresso nella Nato.

Purtroppo la storia insegna che la pace è garantita da rapporti di forza e da sistemi di deterrenza. In fondo tutto il dibattito sulla difesa europea sta qui. Se la forza non serve, perché dotarsi di una difesa comune? Il tema è difficile.

Nessuno ha il coraggio di dire quanto hanno speso negli ultimi 30 anni gli Stati Uniti d’America per la difesa dell’Europa, ma vi sono stime che superano i 15mila miliardi di dollari (sic). I dati più recenti ci dicono che nel triennio 2019-2021 gli Usa hanno speso per la NATO 730 miliardi di dollari, il Regno Unito 60,7, la Germania 55, la Francia 51 e l’Italia solo 24,4 (ben lontano dal 2% del PIL a cui ci siamo impegnati).

Tutti sanno benissimo che senza l’aiuto degli Usa la difesa europea non sta in piedi, salvo gravissimi sacrifici degli Stati membri. Ma nessuno ha il coraggio di dirlo, anche se da parte di tutti si teme una vittoria di Trump che potrebbe mettere in discussione il livello di spesa militare statunitense in Europa, mettendoci in enormi difficoltà.

La diplomazia purtroppo di fronte alle follie neo-imperialiste è impotente, come dimostra il fatto che Putin fino ad ora si è rifiutato di trattare alcunché, perché il suo vero obiettivo era quello di conquistare Kiev in due giorni e insediarvi un governo fantoccio filo-russo, e come dimostra tutta la vicenda della trattativa con l’Iran per evitare che si dotasse della bomba atomica, trattativa  finita nel nulla: l’Iran ben presto avrà la sua bomba atomica, se non ce l’ha già.

Questo è il quadro e non ci sono motivi per pensare che cambierà in meglio.

L’Italia sulla vicenda Ucraina ha tenuto la barra dritta, prima con il Governo Draghi e poi con il Governo Meloni, che da subito ha assunto una corretta postura filo atlantica e filo occidentale.

È vero però che sia all’interno della coalizione di centro destra che nel cosiddetto campo largo della sinistra vi sono posizioni differenziate. Vannacci e settori della Lega sono dichiaratamente filo-Putin e tutto il mondo del M5S, la sinistra di Bonelli e Fratoianni e settori minoritari del PD si schierano, di fatto, con i pacifisti della resa.

Queste posizioni, se espresse con coerenza e non come semplici dichiarazioni dettate da tatticismo elettorale, sono incompatibili con la collocazione del Paese nel quadro delle sue alleanze occidentali, atlantiche ed europee, e quindi incompatibili con la presenza di quelle forze politiche in una coalizione di Governo della Repubblica.

Presto i nodi verranno al pettine.

Bisognerà vedere se Giorgia Meloni reggerà coerentemente la posizione filoatlantica del suo Governo o se dovrà fare i conti con chi, nel centro destra, la pensa diversamente. Sarebbe per lei un’occasione formidabile per chiudere davvero i conti con le origini e rispondere a tutti coloro che la accusano di postfascismo.

Ma anche a sinistra le posizioni sono variegate. Qualche tempo fa ho scritto da queste pagine “Elly, con la politica estera non si scherza”.

Anche la Schlein non potrà continuare nel suo silenzio un po’ ambiguo, dettato soprattutto dalla necessità di non mettere in pericolo la costruzione di un campo largo che, in queste condizioni, farà veramente poca strada. Non si può tenere insieme Pagliarulo, Conte, Frantoianni, Renzi e Calenda sulla politica estera. Chi di questi è favorevole ad aumentare il budget della nostra spesa militare in coerenza con gli impegni assunti in sede Nato? Chi di questi è convinto che contro i neo-imperialismi sorgenti e le coalizioni antioccidentali non ci possono essere ambiguità?

Anche in questo caso la storia di Bettino Craxi e dei socialisti italiani è esemplare.

Nonostante una visione internazionalista e di cooperazione con i Paesi del Terzo Mondo, Craxi, Presidente del Consiglio nella prima metà degli anni ’80 del secolo scorso, autorizzò l’installazione dei missili di teatro a Comiso contro lo schieramento degli SS20 sovietici contro le capitali europee. Non fu una scelta facile. Dentro il PSI ci fu una grande discussione, anche perché in opposizione alle scelte del governo il Partito Comunista Italiano appoggiava manifestazioni pacifiste che si scoprì più tardi, erano in parte finanziate dal KGB. Nonostante ciò alla fine la decisione venne presa e aiutò non poco il cancelliere socialdemocratico Helmut Schmidt a fare la stessa cosa in Germania. Quella scelta, secondo molti storici, fu determinante per il crollo dell’URSS.

Oggi invece che discutere di contenuti si fanno le ammucchiate per vincere le elezioni, salvo poi non riuscire a governare. Questa è la sciagurata conseguenza di un sistema maggioritario che premia la propaganda e i populismi.

Se è la politica estera che detterà sempre di più le alleanze di Governo, in prospettiva esiste o potrà esistere una maggioranza fatta da tutti coloro che credono che Italia, pur giocando una sua partita di cooperazione e di pace nel Mediterraneo, debba rimanere saldamente e senza ambiguità ancorata ai principi dell’atlantismo e della politica estera europea, che è poi la posizione dei  dei grandi Stati europei Germania, Francia, Spagna, Gran Bretagna? 

Potrebbe essere una maggioranza inedita ma resa necessaria e coerente dal rapido cambiamento del mondo.

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