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Giovedì, 25 maggio 2023 - Numero 271

La crisi è difficile, pensate all’Italia

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Stiamo attraversando una delle più complesse e difficili crisi politiche della storia della Repubblica. È questa la sensazione che deriva dallo svolgersi degli avvenimenti a partire dall’annuncio di Matteo Salvini di fine del governo penta-leghista.

Mentre scriviamo non sono ancora chiarissimi i passaggi della parlamentarizzazione della crisi ed in particolare di come e quando avverrà in Senato la sfiducia al governo Conte, ma soprattutto non sono chiari gli sbocchi della crisi. Elezioni subito come chiede la Lega? Un governo cosiddetto ‘istituzionale’, con maggioranza da trovarsi, che faccia la finanziaria, eviti l’esercizio provvisorio e porti il paese ad elezioni in primavera? Un governo di legislatura appoggiato da PD e M5S e soprattutto da tutti quei parlamentari disperati che non vogliono andare a casa perché sono certi che non saranno più rieletti (e ce ne sono tanti nelle fila dei renziani, del M5S e di Forza Italia)? 

Lo sgomento che si prova dipende dall’evidente distanza, quasi una frattura, tra la grave crisi economica e finanziaria del Paese, aggravata da un anno di governo populista che poco o nulla ha fatto per la crescita e lo sviluppo, e gli obiettivi delle forze politiche, o di gruppi al loro interno, volti a capitalizzare consenso elettorale o a garantire una sopravvivenza costi quel che costi, fottendosene degli interessi dell’Italia. 

La situazione è grave perché la congiuntura economica anche internazionale sta rallentando vistosamente, e l’Italia, che da vent’anni cresce meno del resto d’Europa e anche per questo ha un debito pubblico gigantesco e un rapporto deficit/PIL altissimo (135%) non può permettersi crisi al buio e un ritardo negli sbocchi istituzionali e politici volti a ridare rapidamente un governo al Paese. 

Ciò che più atterrisce è la noncuranza con cui si ipotizzano alleanze a prescindere dai programmi e dalla natura di fondo delle forze politiche coinvolte. 

È questa in fondo la vera origine del fallimento del governo penta-leghista. Il populismo non basta a tenere insieme impostazioni e interessi di riferimento diametralmente opposti, e le contraddizioni alla fine esplodono, come questa crisi ha dimostrato. 

Ipotizzare nuovamente alleanze innaturali, come sembra fare Renzi, tra forze e persone che fino a ieri si sono insultate senza pietà, e che sono le perdenti delle ultime elezioni (Renzi e il PD delle politiche 2018, il M5S delle europee del 2019) non serve a nulla, e anzi dà la sensazione a vastissime fasce dell’elettorato che tutto ciò nasconda l’unico e solo vero obiettivo di questa manovra avventurista che è quello di mantenere le poltrone e la sopravvivenza politica. 

La democrazia va rispettata anche quando le scelte del popolo sovrano non ci piacciono. Rinviare sine die l’espressione del voto non fa che portare acqua (e consensi) al mulino leghista, che forse non sarebbe neanche così scontento di far fare a qualcun altro (da maledire poi in campagna elettorale) una finanziaria ‘lacrime e sangue’. 

Le conclusioni provvisorie di questa situazione sono: 

  1. La crisi politica italiana ha raggiunto il suo apice con il governo penta-leghista, sganciato da qualsivoglia idea e cultura programmatica e basato esclusivamente su un contratto poi stracciato come carta da cesso. 
  2. Il grande equivoco dei Cinque Stelle volge al termine. Un movimento incardinato in un mistero politico, dichiaratamente ‘né di destra né di sinistra’ ma in realtà condotto nella maniera più autoritaria e meno democratica di sempre, quella di una piattaforma di proprietà  privata (la Casaleggio Associati) che tutto controlla e tutto dispone.
    Alla prova dei fatti, alla prova del governo, il fallimento è stato totale, perché non si può guidare un grande Paese come l’Italia sulla base di pregiudizi ideologici antisviluppo e anti-impresa, di una sovrana incompetenza, di un giustizialismo demagogico che vorrebbe travolgere anche le più elementari garanzie dello stato di diritto. Davvero il PD vuole governare con questi ?
  3. Bisogna andare a votare al più presto, e il Presidente della Repubblica, a cui guardano con rispetto e stima tutti gli italiani, deve trovare il sentiero stretto per arrivare al voto in condizioni di equilibrio e garanzie per tutti. Il ministro degli Interni che soprattutto in fase elettorale deve essere terzo e appunto garantire per tutti non può essere il leader di una forza politica in campo che corre con la legittima aspirazione di vincere le elezioni ed essere premier.
  4. Matteo Salvini e la Lega, che potrebbero essere i vincitori delle prossime elezioni, devono in campagna elettorale chiarire definitivamente agli italiani la loro posizione sull’Europa, sull’euro e sulla collocazione internazionale del Paese.
    La grande maggioranza dei cittadini italiani, ci dicono i sondaggi, è pro Europa e pro euro, e non è disponibile a mettere in discussione l’appartenenza all’Unione Europea e il nostro sistema di alleanze internazionali per le scorribande sovraniste dei leghisti che credevano di vincere in Europa e invece hanno perso e rischiano di lasciare l’Italia in un isolamento pericolosissimo.
  5. La sinistra non deve ripetere con Salvini l’errore di demonizzazione che ha fatto per vent’anni con Berlusconi. Non serve a niente se non a portare maggiori consensi all’avversario. Si prepari invece ad una lunga battaglia politica e programmatica. Sappia produrre nuove idee e nuovi leader capaci di affrontare gli straordinari cambiamenti della nostra epoca, e impari a comunicare meglio.

La cultura liberal-riformista e cattolica, la teoria dei meriti e dei bisogni, la difesa dei colpiti dai processi di globalizzazione oggi e di robotizzazione domani, un’incessante attenzione alla formazione dei giovani e del capitale umano in generale devono diventare i riferimenti culturali di un lavoro di lunga lena che però va imposto fin da oggi. 

La crisi è profonda ma la democrazia italiana è forte e c’è spazio per preparare un grande schieramento liberale e riformista capace prima o poi di vincere. 

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