di DANILO SANGUINETI
Panem et circenses. Quante volte abbiamo sentito dire che il calcio è l’oppio dei popoli. Qualcosa delle antiche ubbie nei confronti del football, mezzo di distrazione di massa, è filtrato nell’apparato ideologico che fu inculcato nei pentastellati, uno dei quali, tra i più anodini, per caso sfortunato, si è trovato ad essere ministro dello Sport nell’era in cui lo Sport affronta la più grave crisi della sua storia moderna.
Che il calcio professionistico, serie A, serie B e Lega Pro – vertice di una piramide lontanissima da una base fatta di milioni di atleti, non solo faticatori della pelota, ma praticanti delle decine di discipline olimpiche e no – abbia pochi simpatizzanti tra i pauperisti di ritorno è cosa nota, stupisce che a questi sfugga come il calcio al top sia anche la ruota che mette in moto gli altri ingranaggi e che senza la pioggia di milioni garantita al Coni dal sempre bistrattato vertice le tasche di ogni società a ogni latitudine di purismo sportivo saranno molto ma molto più vuote.
Insopportabile la pantomima messa in atto nelle settimane scorse dal ministro dello Sport Spadafora che faceva due passi avanti e uno indietro sulla strada della ripartenza dei campionati, almeno di quelli (serie A e B) che tengono in piedi il settore calcio, per fatturato il terzo in ordine di grandezza nel panorama industriale nostrano.
Tra un “pensiamo prima allo sport di base” e un “non cederò ai ricatti del potentati calcistici” ha mancato di dare risposta agli uni come agli altri. Mentre Spagna, Inghilterra e Germania, colpite dalla tempesta Covid-19 dopo di noi, hanno già risolto e deciso di ripartire, qui siamo ancora alla concessione dell’allenamento di gruppo, condizionata da tanti di quei se, ma, forse, comma e sotto-comma che un Governatore spagnolo del Seicento, stampatore compulsivo di Grida inascoltate, andrebbe in sollucchero. Il ministro che si occupa dello Sport (amarlo sarebbe parola grossa) non ha trovato un’opposizione seria nel ministro della Salute, il ligure Mammolo Speranza e invece scovato un appiglio impagabile nel CTS: il comitato tecnico-scientifico (un’abbinata che qualche dubbio solleva negli epistemologi scrupolosi) scelto dal Governo che spara sentenze, trancia giudizi e pianta paletti a tutto vapore, nell’ebbrezza dell’imprevisto e quasi incondizionato potere attribuitogli.
Le condizioni imposte alla serie A per tornare ad allenarsi in gruppo sono un percorso minato che solo una dose di fortuna e di pazienza superiore alle aspettative potrà far terminare incolumi ai club. Blindati all’interno dei loro centri sportivi dovranno passare in rigorosa segregazione i 15 giorni di prova. Solo 8 su 20 in serie A sono in condizione di ospitare la truppa – atleti, tecnici, addetti alle salmerie, minimo 70 persone – gli altri dovranno occupare gli hotel nelle vicinanze. Occupare e non prenotare, perché le strutture non dovranno avere altri ospiti. I forzati degli allenamenti saranno sottoposti a tamponi ogni 4 giorni, procurandoseli senza incidere sul Ssn della loro regione, quindi comprandoli a caro prezzo altrove. Nel caso uno solo dei penitenti obbligati alla clausura stretta venisse trovato positivo, l’intero gruppo verrebbe messo in quarantena senza eccezione alcuna.
Il confronto con quanto stabilito in Germania (si manda in quarantena chi è positivo, gli altri vengono riesaminati e se sono negativi proseguono) e verrà adottato anche in Inghilterra e Spagna chiarisce che il rigore nostrano rende l’intera operazione una corsa – oltretutto costosissima – verso l’ignoto. Un protocollo simile sembra fatto apposta per creare l’incidente e dire: “Visto? Non siamo noi che vi stiamo tirando il pugno, siete voi che avete lanciato la faccia contro la nostra mano!”.
E se per la serie A è fantascienza, per la serie B applicare simili norme sarebbe delirio. Lo fa notare con pacatezza ma con fermezza il presidente Gozzi intervistato dall’Ansa: “Per la Serie B il protocollo indicato per la A è insostenibile. Se c’è un positivo che succede? Tutti vanno in quarantena: ci chiediamo se questo rende possibile la ripresa del campionato”.
La Lega di B ha approvato all’unanimità una linea comune sulla ripartenza, riprenderebbe ad allenarsi subito dopo la A e partirebbe un po’ dopo la sorella maggiore, non avendo l’obbligo (causa impegni delle coppe europee) di terminare nella prima settimana di agosto.
“Siamo in una situazione di incertezza totale, che è la condizione peggiore di tutte – ha aggiunto il patron dell’Entella – Io per indole preferisco risposte anche negative ma certe. Le società di B hanno bisogno di regole chiare che garantiscano la salute non solo dei giocatori ma di tutti i lavoratori coinvolti della squadra. Ci sarebbe piaciuto ricominciare con una chiarezza di visione su quanto succederà dopo”. Questo, caro presidente, è chiedere troppo a chi per decidere più che il rasoio di Occam adopera il trinciapollo.
“Stimiamo – e qui esce l’anima dell’imprenditore Gozzi – che il Protocollo A costerebbe 500 mila euro a società, con un extra per tutto il sistema B tra gli 8 e 10 milioni. Bisogna trovare un percorso meno costoso altrimenti non si andrà avanti. Io parlo da decimo, quindi in posizione di classifica neutra. Ma non si possono assegnare titoli e condanne in questo modo. La squadra va in quarantena e non gioca: si rischiano di perdere le partite a tavolino, un danno enorme e ingiusto”.
Il discorso del presidente Gozzi vale per la categoria superiore e vale due volte. Ci si gioca tantissimo nelle 124 partite che mancano e se non si scenderà in campo almeno la metà delle società fileranno spedite verso il patatrac.
Un’occhiata ai vicini: Enrico Preziosi, presidente del Genoa, uno che i conti ha dimostrato di saperli fare, ha calcolato che finirla qua costerebbe al Grifone dai 20 ai 30 milioni. Cioè iniziare la prossima stagione con il masso della retrocessione al collo, sempre che non intervengano prima cataclismi finanziari.
Vedi la Sampdoria, che soffre le vicissitudini del suo proprietario Massimo Ferrero. Volete un’ultima prova che a Roma, gli ‘spadaforiani’ sanno già come andrà a finire? Guarda caso nel decreto Rilancio è stato inserito un comma ‘apparentemente’ slegato dal contesto che prevede “disposizioni processuali eccezionali per i provvedimenti relativi all’annullamento, alla prosecuzione e alla conclusione dei campionati”.
Alle Federazioni viene concesso il potere di annullare i tornei senza essere sommerse da una marea di ricorsi ai vari tribunali. Ammessa una sola istanza al Collegio di Garanzia del Coni e stop. Vi ricorda qualcosa? Chi ha detto le sentenze ‘a orologeria’ per lasciare l’Entella in Lega Pro?
Nel 1942-43 fioccavano le bombe sulle città eppure i campionati maggiori andarono avanti e vennero portati a termine. Dove non riuscirono il tritolo e la cordite trionferà un invisibile virus? Scommetterci sopra sembra troppo facile. E così coloro che ce l’hanno con il calcio moderno, ricco e viziato, strapagato e straconsiderato avranno la loro rivincita. Non capendo che senza il carrozzone sia pure fragoroso ed eccessivo delle serie professionistiche non ci sarà trippa per i gatti dilettanti, che siano calciatori, nuotatori, ginnasti, schermidori o cultori del curling. Perché nell’odierno spettacolo globalizzato non si deve dire panem et circenses ma panis circensibus cioè il pane te lo procurano i giochi, soprattutto quelli che prevedono una sfera che rotola e i ragazzi in mutandoni che la inseguono.
Il ministro Spadafora è sereno, gli espertoni del Cts sono convinti di essere nel giusto e il partito della decrescita felice gongola. C’è poco da ridere. Si accorgeranno presto girando con la mascherina sul volto – questo sì giusto e doveroso per tutti – che rischiano di tramutarsi nell’homme qui rit, il tragico personaggio di Victor Hugo costretto a portarla per celare l’orrido incancellabile ghigno che da bambino gli fu inciso con il coltello dai suoi rapitori.