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Giovedì 4 settembre 2025 - Numero 390

Il freddo, la neve, il ghiaccio: quando al posto del frigorifero c’erano le neviere

Ancora negli anni Cinquanta era comune vedere il carretto del ghiaccio per le vie della città: si fermava in opportune tappe e forniva ai tanti acquirenti il pezzo di ghiaccio
Una neviera che si trovava negli Appennini
Una neviera che si trovava negli Appennini
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di GIORGIO ‘GETTO’ VIARENGO *

Uno dei dati più discussi della mutazione climatica in corso sono le temperature medie stagionali, di cui anche quest’anno è stato confermato l’ennesimo preoccupante aumento. Eppure, non molti anni or sono, il clima dispensava inverni alquanto rigidi e precipitazioni nevose copiose, ed uno spesso manto bianco poteva raggiungere le quote collinari con danni talvolta irreparabili alle colture. 

Le ricerche d’archivio sul nostro territorio ci permettono di ricostruire gli effetti del freddo intenso nei secoli scorsi, in particolare sulle produzioni olearie e sulla coltivazione dell’ulivo. Le colline e gli uliveti furono letteralmente annientati durante il calo termico del 1709 in occasione della grande gelata. Le cronache del tempo riportano di danni drammatici difficili da immaginare. I cronisti del tempo scrivono dell’impraticabilità dei porti mediterranei di Marsiglia, di Genova e di Livorno per via del ghiaccio. I secolari ulivi del nostro territorio subirono, in quell’inverno del 1709, un danno di dimensioni straordinarie. Vi fu un calo di temperatura mai raggiunto né verificato in precedenza negli studi storici di climatologia: gli archivi accademici parlano di ‘piccola glaciazione’.

La prima ondata arrivò in Italia nei giorni dell’Epifania. L’aria siberiana fece precipitare le temperature sino a quaranta gradi sotto lo zero, gelarono tutti i fiumi e le acque nel porto di Genova e il mare lungo le coste liguri sino a tutto il Tigullio. In Liguria gelarono interamente gli uliveti e i lavori di bonifica richiesero circa dieci anni per tornare alla produzione. La carestia che ne derivò durò mesi e uccise migliaia di persone. 

Rileggendo i dati del Comizio Agrario del Circondario di Chiavari è possibile avere un quadro del danno subito. A Rapallo, uno dei massimi centri di produzione olearia, “per dieci anni i leudi imbarcarono legna da bruciare. La gelata priva la comunità, per alcuni decenni, della sua risorsa più importante e dunque impone una riconversione delle attività interne ed esterne, l’attivazione di nuovi circuiti di scambio, l’elaborazione di nuove strategie individuali e collettive”.

La produzione d’olio nell’intero Tigullio subì una flessione totale. Rapallo, che poteva contare su 3.500 barili nel 1699, si ridusse a zero; la crisi durò per anni, con impianti di “novelle” rimesse a dimora e nuovamente distrutte da una seconda gelata nel 1713.Il percorso di ristrutturazione di tutto il sistema produttivo fu durissimo, e passarono anni prima che si tornasse ad avere uliveti reimpiantati e produttivi.

Se nella congiuntura climatica le condizioni degli olivicoltori erano drammatiche, si riscontravano invece dati economici confortanti per i produttori di ghiaccio, ricavato dalle tante neviere attive. I guadagni volavano nel commercio e nella distribuzione delle “liste” nelle maggiori città della costa.

Il prezioso ghiaccio aveva diversi usi, in particolare nelle cure cliniche. Durante l’epidemia del 1823 ritroviamo diverse fatture per fornitura di ghiaccio presso i lazzaretti, dove si tentava la cura dei colerosi.

Grazie a rudimentali gelatiere a mano, e con l’uso delle prime miscele frigorigene a base di cloruro di sodio, si poteva poi raggiungere la temperatura di circa meno ventiquattro gradi e preparare i primi gelati.

Tutto ciò era reso possibile dall’esistenza delle neviere, costruite in località dove la neve cadeva copiosa. Si trattava di recinti in pietra a secco, o di anfratti naturali rettificati con apposite costruzioni; talvolta erano edifici con tetti a forma di inghiottitoi in cui falde del tetto erano rovesciate a comporre una sorta d’imbuto. La neve che vi cadeva, quale che fosse la forma della neviera, veniva poi compressa con pali e appositi congegni, gelava, ed era infine tagliata a liste a partire dalla parte più in basso, dove si trovava un luogo di accesso specifico atto al prelievo, e poi trasportata per la vendita. Ancora ai nostri giorni sono visibili alcuni impianti sopravvissuti all’abbandono. La neviera più grande ancora in essere è a Bardi, all’interno del perimetro del castello. 

Durante il periodo della Repubblica di Genova il commercio del ghiaccio proveniente dalle neviere era regolato da severe norme legislative, in particolare per il controllo delle tariffe di vendita. La “Gabella della Neve” fu applicata tra il 1640 e il primo Ottocento, dopo di che si iniziò ad avere disponibilità d’impianti per la creazione artificiale del ghiaccio. A Chiavari il primo a vendere “ghiaccio bianco purissimo” fu Priario, il locale all’interno del Palazzo Rocca; seguirono gli impianti della Cooperativa di Via Rivarola, e ancora successivamente lo stabilimento Merello, un vero opificio sul lungomare cittadino. Ancora negli anni Cinquanta era comune vedere il carretto del ghiaccio per le vie della città: si fermava in opportune tappe e forniva ai tanti acquirenti il pezzo di ghiaccio, una forma tagliata a misura da sistemare nella ghiacciaia. Solo con la reindustrializzazione dei primi anni Sessanta si resero disponibili i primi frigoriferi e la conquista del freddo rappresentò l’inizio di una vera nuova era: dopo secoli di neviere e venditori ambulanti era giunto il nuovo e rivoluzionario elettrodomestico. Ora le cucine divenivano candidamente bianche, il frigorifero costituiva una vera conquista per conservare e raffreddare, ed il tempo delle liste di ghiaccio era solo un lontano (e freddo) ricordo.

(* storico e studioso delle tradizioni locali)

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