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Giovedì 4 settembre 2025 - Numero 390

I presagi per l’anno nuovo: tra vecchie e nuove pratiche, l’ansia di conoscere il futuro è rimasta la stessa

Nelle nostre campagne era assai diffuso l’uso dell’almanacco, poteva capitare che passasse qualcuno a venderlo porta a porta. Talvolta invece si acquistava
I semi si facevano cadere in sequenza su un ‘testo’ ben riscaldato e si interpretava la reazione
I semi si facevano cadere in sequenza su un ‘testo’ ben riscaldato e si interpretava la reazione
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di GIORGIO ‘GETTO’ VIARENGO *

In questo periodo viviamo affogati negli auguri. Una situazione certo positiva, dettata da importanti festività coincidenti e dall’ennesima conclusione di un anno solare.

Nell’arco di dodici mesi in più occasioni ci siamo reciprocamente augurati bontà e felicità in occasione di compleanni, onomastici ed in feste calendariali che scandiscono il trascorrere del tempo; ma il 31 dicembre rappresenta un rito di passaggio unico e irrinunciabile. Addirittura, in modo corale e all’unisono, ne scandiamo gli ultimi dieci secondi, un conto alla rovescia degno del più importante lancio missilistico extraterrestre. Terminata questa ritualità inizia lo scoppiettio di mille bottiglie con i successivi brindisi. 

Una delle più belle operette morali di Giacomo Leopardi ci porta a riflettere su tale augurio e ne sottolinea con arguta intelligenza la banale retorica. Il “viaggiatore” polemizza col “venditore di almanacchi” e gli chiede da quanti anni augura che il nuovo anno sia migliore dei precedenti; la risposta non giunge, prevale la ritualità di un nuovo e potenzialmente felice anno da consacrare con l’almanacco in vendita. 

Il piccolo capolavoro del poeta di Recanati rappresenta in modo efficace cosa si intenda per presagio di fine anno, quello strano assillo superstizioso che mina la bellezza della tranquillità quotidiana, quell’ansia frenetica di volere sapere il destino del dopo, l’incubo del futuro concepito come ignoto assolutamente da indagare e prevedere. 

L’etnografia e lo studio delle tante tradizioni del nostro territorio offrono molto materiale su questo tema, e le pratiche e le procedure per trarre i presagi ne costituiscono un solido capitolo. In queste procedure i dodici giorni compresi tra Natale e l’Epifania sono di fatto la sintesi-laboratorio del prossimo anno, un mezzo per farsi un’idea, mese dopo mese, di cosa potrà accadere nel corso dell’anno nuovo. 

Nelle nostre campagne era assai diffuso l’uso dell’almanacco, poteva capitare che passasse qualcuno a venderlo porta a porta. Talvolta invece si acquistava, in una fiera o mercato, il Barba Nera, oppure il Pescatore di Chiaravalle. L’utilizzo prevalente di queste pubblicazioni era la verifica del posizionamento della luna piena nei diversi mesi: un punto di riferimento determinante, come la ricorrenza in calendario di alcuni santi cui erano intitolate pratiche diverse nelle attività agricole.

In ogni caso non si poteva fare a meno della diffusa pratica “du ziguà” o dei “cain”. Il vecchio saggio di famiglia, a partire da Natale e sino all’Epifania, indicava il comportamento dei singoli mesi. Le due pratiche permettevano di rilevare modi talvolta diversi, procedure con gesti distinti, ma tutti volti a ricercare il presagio sull’andamento dell’anno nuovo.

“U ziguà” richiedeva l’uso di dodici semi di grano, uno per mese. I semi si facevano cadere in sequenza su un ‘testo’ ben riscaldato e si interpretava la reazione che si poteva rilevare: lo scoppiettio del seme o come questo schizzava al contatto della superficie rovente, indicavano presagi sul corso di quel mese. 

Il metodo successivo, “i cain”, costituiscono una sorta d’evoluzione. Qui i semi potevano essere di mais e diventavano ventiquattro: cioè permettevano un presagio a cadenza quindicinale, più minuto e preciso, sempre legato all’attività agricola. 

Approfondendo le ricerche in materia si sono riscontrati altri metodi per intercettare un presagio sull’andamento dei diversi mesi dell’anno. “Fa i cain” era chiamata l’osservazione dei primi dodici giorni da Capodanno in poi. In questa metodologia lo stato meteorologico dei primi dodici giorni dell’anno costituiva rappresentazione dei dodici mesi corrispondenti.

Nello stesso filone di interpretazione del presagio stava la magia rituale del ceppo incendiato. Si cercava un buon pezzo di legno, talvolta nella zona radicale della pianta, con una pezzatura tale da poter bruciare per ben dodici giorni, e l’andamento di questa combustione forniva indizi sull’andamento dei singoli mesi. 

Queste ritualità erano arricchite, ad ogni pranzo e cena di questi giorni, da gesti specifici. Si poteva buttare nelle braci un boccone, un pezzo di pane, un bicchiere di vino, nell’intento di intercettare, nella presenza rassicurante del pane e del vino, il destino del nuovo anno.

Nell’ambito di queste ritualità magiche inserite nei comportamenti quotidiani poteva rientrare l’assoluto divieto a scendere durante la notte nella stalla. Il divieto era rigido, ed era dovuto al fatto che in questo periodo gli animali, incaricati di custodire il significato della natività, prendevano la parola e lo commentavano, ma non dovevano essere disturbati dalla presenza umana. 

La ritualità dell’uso del fuoco e dei presagi finì per accedere a dignità istituzionale: il rito del “confuoco” a Genova era un atto ufficiale, in cui il popolo e i suoi rappresentanti incontravano le più alte cariche del governo, e l’alloro che bruciava diveniva mezzo simbolico per interpretare il domani della collettività. Purtroppo la banalizzazione neo folkloristica ha cancellato il significato storico di queste pratiche, oggi ridotte ad evento capace di consolidare una presunta tradizione ben lontana dalla reale cultura popolare. 

Sotto la sottile superficie della modernità, comunque, presagi e pratiche sono sempre ai primi posti delle attenzioni più diffuse, e i canali delle massime reti televisive non rinunciano ad oroscopi e indagini zodiacali, sempre gradite dal pubblico. L’ansia di conoscere il futuro è rimasta la stessa.

(* storico e cultore di tradizioni locali)

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