di DANILO SANGUINETI
In principio era una ragazzina di otto anni, vestitino lacero e scarpe consumate, che si aggirava per Chiavari con un borsino a tracolla dove teneva lane e filati, bottoni ed asole da vendere ai passanti. Si chiamava Gilda e veniva da Pontremoli. Un secolo e dieci anni più tardi il nipote di quella ragazzina continua a commerciare in lane e filati, bottoni ed asole.
Il fil rouge è che il negozio, non una ma ‘la’ merceria, per chiunque sia a Chiavari da più di venti anni, si chiama Gilda come quella ragazzina che nella città del Tigullio aveva avuto un’occasione per crescere, sposarsi, farsi una famiglia e avere un lavoro.
Quando si entra nel nuovo locale che ospita la storica insegna, si respira tradizione anche senza volerlo, basta dare un’occhiata ai ritratti fotografici di inizio secolo, un bianconero virato al grigio dalla patina del tempo, che ci fanno conoscere Gilda e il consorte, i fondatori della ditta. Poi si scorrono gli scaffali, le mensole, le cassettiere, alcuni mobili, che traboccano di oggetti per cucito, fili, aghi, fettucce, bottoni. Qui haute couture, trendy, fit non hanno asilo. Viene da sorridere accostando i termini che i talebani delle griffe ci propinano ogni due sfilate per tre pagliacciate ad un negozio che da 104 anni fa ancora quello per cui è stato aperto. Dà alla gente di che coprirsi, indumenti, pezzi di ricambio per vestiti che siano comodi, pratici, duraturi, a prezzi onesti.
Gilda era pret à porter prima che la definizione diventasse una copertura per propinare alle masse bizzarrie assortite. Oggi il negozio è situato in via Jacopo Rocca e ha dietro i banconi la terza generazione. Ha dovuto traslocare per due volte negli ultimi sei anni, cosa insolita, dato che la ditta aveva subìto nei 98 anni precedenti solo due spostamenti. A sottolineare l’attaccamento di questa famiglia di commercianti non solo a Chiavari ma addirittura al quartiere dove hanno iniziato c’è la portata minima dei tre traslochi: spostamenti di poche decine di metri.
L’Emporio Merceria Gilda venne aperto nel 1915 sotto i portici di via Veneto, nel lato sud della strada che collega piazza Matteotti a piazza Roma. Nel 1965 la necessità non più prorogabile di trovare spazi più ampi per gli articoli in vendita, dato che si era passati a offrire vestiti confezionati oltre che il necessario per confezionarli, comportò lo spostamento in due ampi vani al piano terra di uno dei palazzoni ottocenteschi che si affacciano su piazza Roma. Quei locali fecero epoca. Il negozio era uno di centri gravitazionali della grande piazza che caratterizza la zona a levante città. Le vetrine aperte al centro del lato ovest – uno dei due lunghi nello spazio rettangolare tanto vasto da poter ospitare un campo di calcio, quello dove l’Entella emise i suoi primi vagiti – erano sottolineate da due enormi insegne che fungevano da finta architrave per i primi due archi del porticato. Insegne storiche tanto da restare al loro posto anche dopo il secondo trasloco.
Nel 2013 la decisione di lasciare la piazza e fare un passo indietro tocca alla nuova coppia responsabile dell’esercizio commerciale, Mario Moggia e la moglie Maria Assunta Casella. Il signor Mario è il nipote di Gilda.
“La gente ha sempre visto dietro il bancone in prevalenza delle signore, ma ci sono sempre stati anche i signori, i consorti delle ‘regine di Gilda’ che hanno fatto e, spero, ancora faranno la loro parte. Mia nonna Gilda Maucci veniva da un paesino vicino a Pontremoli, qui trovò tra le altre cose marito. Nel dopoguerra prima affiancò e poi consegnò l’incarico a mia madre, Clementina Calleri. Ora tocca a me e mia moglie. Altra epoca, altre problematiche, ma la nostra politica non cambia. E il nostro modo di fare le cose pure”.
È stato Mario Moggia a decidere per lo spostamento di sei anni fa: i costi per l’affitto dei due locali non erano più sostenibili. Quindi si è andati prima in traversa Bontà, poi, pochi mesi fa, in via Jacopo Rocca. “Un ultimo piccolo passo, un assestamento per trovare dei vani che fossero abbastanza ampi”.
Rispetto alla ‘gran sede’ di piazza Roma siamo in linea d’aria a 100 metri. Un posto un po’ più defilato ma non tanto da preoccupare il commerciante. “Oramai il nostro ‘marchio’ è una tale garanzia che i nostri clienti sono così fidelizzati che ci trovano ovunque andiamo a finire. Scherzo ma non troppo, ci siamo fatti un punto d’onore nel poter fornire molto, anzi moltissimo a chi si rivolge a noi. Se non riusciamo a soddisfare una richiesta, ci rimaniamo male”.
Uno spirito raro quello del signor Mario, non ha paura di andare controcorrente. “Ho preparato dei cartelli e li ho piazzati negli angoli delle vie perché da piazza Roma o da via Veneto possano trovarci con facilità. E li ho compilati in varie lingue, naturalmente in genovese ma anche in albanese, perché ritengo che tutti i nostri concittadini, anche quelli che arrivano da lontano possano trovarci utili”.
La fama di merceria che ti fornisce ‘l’impossibile’ è intatta. Da decenni rappresenta la soluzione ultima per le signore della città e dei dintorni che vogliono (o debbono, anche se si tende a ignorarlo) cimentarsi nel fai da te per sistemare vestiti, coperture, stoffe varie.
Gilda era e rimane fuori del tempo. Il signor Mario elenca le specialità della casa: “Filati, abbigliamento intimo ed esterno, pigiameria, biancheria per la casa. Siamo specializzati nella riparazione di cerniere. E usiamo solo materie e prodotti italiani. Non è questione di autarchia, proponiamo solo gli articoli dei quali ci fidiamo ciecamente. Inoltre ci vantiamo di riuscire a tenere bassi i prezzi. Lo si può fare anche oggi, non è magia, basta cercare attentamente i fornitori, farsi due conti, calcolare il giusto guadagno che ti permetta di stare sul mercato senza depredare il cliente. Sin qui ci siamo riusciti e contiamo di continuare”.
Ce n’è a sufficienza, è comprovato che ‘Gilda’ non è una merceria come tante altre. Lo si era capito sin dall’inizio. La ragazzina toscana di cognome faceva Maucci. La sua, come tantissime altre famiglie del Pontremolese, a inizio Novecento era stata costretta dalla grave crisi agricola che aveva colpito le zone meno industrializzate del Nord, a partire in cerca di posti dove poter lavorare e vivere. Chiavari e il Tigullio erano solo una tappa di un viaggio che doveva portarle in Francia, il capolinea. Una destinazione non facile da raggiungere perché i cugini transalpini aveva chiuso le frontiere. In quegli anni era ancora fresco il ricordo del massacro di Aiques Mortes dove i lavoratori italiani delle locali saline nel 1893 erano stati vittima di un vero pogrom. La famiglia Maucci si fermò oltre il previsto a Chiavari, la piccola Gilda che si dava tanto da fare per aiutare i suoi venne notata da una delle famiglie nobili, quella dei Levaggi, che la presero in casa, la aiutarono con frequenti e generose donazioni.
Gilda non sprecò neppure un soldino di quanto le veniva dato, e con la somma accumulata, appena raggiunta la maggiore età, nel 1915, si comprò la licenza e aprì il suo negozio.
Emigrazione, accoglienza, lungimiranza. Una storia di tanto tempo fa. O forse no?