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Giovedì, 1 giugno 2023 - Numero 272

L’Europa non può permettersi di farsi coinvolgere in una politica di ripicche con gli Stati Uniti d’America, perché gli Usa sono il nostro partner strategico

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di ANTONIO GOZZI

Le ultime settimane hanno visto crescere in Europa la preoccupazione per l’emanazione da parte del governo degli Stati Uniti del cosiddetto Inflation Reduction Act (IRA), un piano da centinaia di miliardi di dollari di sostegni statali all’industria statunitense per trasformare l’economia americana in una economia green.

Se da un lato questo piano manda un segnale molto forte di impegno e azione anche statunitense contro il climate change – e ciò è senz’altro un bene – dall’altro l’enorme mole di sussidi previsti a favore dell’industria americana rischia di creare uno svantaggio competitivo in danno dell’industria europea, specie quella di base, nel suo percorso di decarbonizzazione e di transizione energetica ed ecologica perché meno assistita.

Al riguardo vi sono state reazioni in diversi Paesi europei per dare una risposta immediata all’iniziativa americana. In particolare da parte francese, ma anche tedesca, si è chiesto di allargare ulteriormente le maglie delle regole comunitarie degli aiuti di Stato, già molto allentate a causa del Covid e della guerra, in modo da consentire agli Stati membri dell’Unione di poter sostenere con i propri bilanci le industrie nazionali.

Questa risposta è sbagliata ed è destinata a favorire soltanto gli Stati grandi e con bilanci forti: appunto Germania e Francia che, come abbiamo dimostrato nell’editoriale di ‘Piazza Levante’ della scorsa settimana, nel 2021 e 2022 hanno di gran lunga sopravanzato tutte le altre nazioni europee negli aiuti di stato alle loro industrie, potendoselo permettere grazie alla forza dei loro bilanci.

Abbiamo spiegato come tali atteggiamenti creino terribili asimmetrie competitive all’interno dei sistemi industriali dell’Unione e rischino di disintegrare il mercato unico europeo che, insieme alla moneta unica, è la più grande conquista della costruzione comunitaria.

Inoltre non servono ripicche scoordinate nei confronti degli Stati Uniti.

Gli Stati Uniti d’America sono il partner fondamentale dell’Europa. Lo sono dal punto di vista strategico, della sicurezza e della difesa, come dimostra ancora una volta l’impegno a sostegno dell’Ucraina contro l’invasione russa, ma lo sono anche dal punto di vista economico, commerciale, tecnologico e dell’innovazione, e lo saranno sempre di più in un mondo in cui i cluster dello scambio e del commercio saranno sempre di più quelli dei Paesi amici.

Il tema posto dall’IRA richiede da parte dell’Europa due tipi di risposta.

Una riguarda le politiche interne dell’Unione, che devono essere appunto comunitarie e simmetriche, mettendo tutti i Paesi europei sullo stesso piano. L’altra riguarda il nostro modello di relazioni con gli Stati Uniti d’America, all’interno del quale deve valere un principio di simmetria e cooperazione e non possono essere accettati aspetti discriminatori, che pure esistono in quel piano, specie là dove in esso si sancisce e ribadisce il principio tipico della tradizione protezionistica statunitense del buy American.

Con riferimento al primo aspetto, per rendere l’Europa la patria dell’innovazione industriale per la transizione energetica e climatica c’è bisogno di un’azione comune e di un grande piano comunitario, che non discrimini i vari Paesi a seconda della loro forza di bilancio ma che, come avvenuto per il Recovery Plan in occasione del Covid, lanci un grande piano europeo per l’innovazione, la digitalizzazione e la decarbonizzazione del sistema industriale continentale, specie l’industria di base, spesso energivora e con forti emissioni di CO2.

Questo piano deve partire dall’assunto che l’Europa, come tutte le aree economiche del mondo, non può fare a meno della sua industria di base, e che essa va aiutata con opportuni strumenti a sopravvivere e ad affrontare lo sforzo titanico della decarbonizzazione.

Fino ad oggi troppo spesso si è avuto la sensazione che l’Europa e le sue burocrazie abbiano considerato settori come l’acciaio, la chimica, il vetro, la carta, la ceramica come settori obsoleti e privi di avvenire: ciò non risponde al vero. Questi settori stanno lavorando da anni, senza nessun sostegno pubblico, per decarbonizzare i propri processi e prodotti e lo fanno con livelli di impegno finanziario e di innovazione di assoluto rilievo.

L’impegno di questi settori mostra un altro principio che un grande piano europeo di decarbonizzazione dell’industria deve assolutamente contemplare: il principio della neutralità tecnologica. Non si deve privilegiare in maniera quasi ideologica un solo strumento di questo percorso e cioè l’elettrificazione da fonti rinnovabili.

Le rinnovabili sono importanti ma non bastano. Occorre utilizzare altre tecnologie per decarbonizzare completamente l’apparato industriale europeo: le tecnologie di cattura e utilizzo della CO2, i biocombustibili, il nucleare di quarta generazione e i microreattori. Come diceva Deng Xiaoping: non è importante che il gatto sia bianco o nero, l’importante è che catturi il topo, che in questo caso è per l’appunto la CO2.

Con riferimento al modello di relazione con gli Stati Uniti, invece, occorre eliminare i rischi contenuti nell’IRA attraverso il dialogo e la dimostrazione che le maggiori conseguenze negative della guerra sono ricadute sull’Europa.

Bisogna chiedere agli americani di aiutare l’Europa non solo dal punto di vista della sicurezza e della difesa, cosa che in verità hanno sempre fatto e continuano a fare.

Il sostegno energetico attraverso forniture di gas liquefatto (LNG) a prezzi non speculativi, e la creazione di un grande mercato euro-atlantico in cui si ritrovino a competere e a cooperare ad armi pari investitori europei e americani sono gli obiettivi a cui tendere.

Il fondamento di tale modello non può essere la chiusura protezionistica dei mercati occidentali, ma al contrario un sistema di interscambio aperto in cui anche l’Europa assurga al rango di nazione più favorita, come per gli Usa sono già il Canada e il Messico.

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