di ANTONIO GOZZI
Dopo una brevissima tregua per il ponte dell’Immacolata, durante il quale è stata rimossa la più parte dei cantieri sulle autostrade liguri, a partire da lunedì 13 dicembre e così a quanto pare fino al 20 di dicembre, i cantieri sono ripresi con un’estensione addirittura superiore a quella precedente. Ed è stato subito caos.
Per quanto ci riguarda, la tratta più sofferente è proprio quella che collega il Tigullio con il capoluogo. Si tratta in pratica di una corsia unica da Lavagna a Genova Sampierdarena, con molti pericolosissimi salti di careggiata e con tempi di percorrenza ormai fuori controllo. La giornata di martedì 14 sulla A12 è stata davvero drammatica. Si è giunti a code fino a 10 km tra Nervi e Chiavari in direzione La Spezia, a code fino a 7 km tra Lavagna e Chiavari e di oltre 5 km tra Rapallo e Recco in direzione Genova. Un’ora e mezza per andare a Genova, un’ora e mezza per tornare. Si tratta di non più di 40 km!
Naturalmente i più colpiti sono i pendolari, a cui è sconvolta la vita lavorativa, e i traffici merci, che ormai vedono la Liguria come un’area da evitare se possibile o per la quale chiedere extra di tariffa che distruggono la competitività del nostro porto e della nostra logistica.
Niente di nuovo sotto il sole. E allora perché ce ne occupiamo?
Perché vogliamo contestare in radice il modello che sta sotto queste chiusure per lavori, dimostrando con la logica che non funziona e che tradisce pesantemente l’obiettivo dichiarato, che sarebbe quello della sicurezza.
Chiamerei questo modello praticato dall’ASPI e discusso con la Regione Liguria e il capoluogo il modello ‘delle mutande di ghisa con contentini’.
Cosa voglio dire? Voglio dire che la società concessionaria e i suoi dirigenti, dopo decenni di colpevole negligenza e ritardi sui lavori di manutenzione della rete che sono culminati nella tragedia del Morandi, hanno deciso di applicare un rigido protocollo di autotutela facendo tutti contemporaneamente interventi che avevano ritardati per anni. Come a voler dimostrare a tutti, comprese le Procure della Repubblica, che trattandosi di sicurezza delle persone non può intravedersi ora alcuna mancanza o negligenza. Queste sono le ‘mutande di ghisa’: comportamenti tipici di autotutela assoluta praticati in molte parti della Pubblica Amministrazione, che portano alla totale deresponsabilizzazione e alla paralisi decisionale.
Nessuno potrà dire che non si è fatto abbastanza: tutti protestano? Siamo arrivati in pratica al quasi blocco delle autostrade liguri? Questa è la prova migliore che stiamo facendo sul serio e che nessuna responsabilità ci può essere addebitata.
Poi ci sono i ‘contentini’. La Regione e gli Enti locali, messi sotto pressione dalla cittadinanza e dagli operatori economici, fanno discussioni senza fine con ASPI e alla fine ottengono qualche raro momento di tregua: un po’ di giorni per le vacanze estive, qualche giorno per le vacanze natalizie.
Questo modello con tutta evidenza non ha senso. E ciò per varie ragioni.
Si ha l’impressione che i contentini peggiorino la situazione prima e dopo provocando un’intensificazione dei cantieri dopo le fugaci tregue. Inoltre: ha senso eliminare i cantieri nei periodi festivi che sono notoriamente i meno trafficati? È chiaro che questo modello privilegia i flussi turistici piuttosto che quelli commerciali e dei pendolari.
C’è poi il tema della sicurezza, che rischia di diventare sempre di più ‘il falso mantra della sicurezza’. Ma se c’è realmente un esteso, generalizzato problema di sicurezza su tutti i viadotti e in tutte le gallerie non si può dare alcun contentino anzi forse interi tratti autostradali andrebbero chiusi. Forse che nelle vacanze estive e nelle festività natalizie non esistono problemi di sicurezza? La sicurezza può essere un concetto applicabile a giorni alterni? E sempre in materia di sicurezza e di danni morali e materiali, perché nessuno comunica la statistica di quanti morti e feriti reali, veri, e non ipotetici, hanno causato questi cantieri? E quanti danni economici ha provocato questa dissennata gestione della crisi?
In pratica abbiamo da una parte i morti e feriti ipotetici, che obbligano, per la sicurezza che manca sui viadotti e nelle gallerie, a fare i lavori tutti insieme contemporaneamente; dall’altra abbiamo i morti e feriti reali provocati dai cantieri, dai restringimenti, dalle riduzioni e dai salti di carreggiata.
Quello che si vuol dire è che nel momento in cui si danno i ‘contentini’ con transitorie rimozioni dei cantieri si sta praticando una strada di compromesso tra esigenze diverse. Ma se è così è legittimo, anzi necessario, discutere dei criteri di questo compromesso.
È evidente che pur non conoscendo le statistiche (e chi ce l’ha, queste statistiche? ASPI, la Regione, la Prefettura?) c’è una correlazione diretta tra frequenza e numerosità dei cantieri e incidenti con morti e feriti.
È evidente che ci sono carichi di cantieri su singola tratta che diventano insostenibili per pendolari e categorie economiche.
È evidente che su una tratta di 50 km in prossimità del porto più importante d’Italia non si possono mettere contemporaneamente dieci cantieri con corsia unica e salti di carreggiata.
Sempre partendo dalla realistica constatazione e ricerca del miglior compromesso possibile si dovrebbe stabilire un massimo di cantieri sostenibili su una tratta ad esempio di 50 km: due cantieri, tre cantieri massimo?
Abbiamo messo a lavorare una squadra di legali per analizzare se il comportamento di ASPI e la sua gestione dei cantieri rispondono ai canoni della concessione e se ci sono profili di incoerenza e di eventuale illegalità. Noi pensiamo di sì.