di ANTONIO GOZZI
Sono stato molto criticato per l’editoriale della settimana scorsa che, a detta di molti, peccava di un eccesso di pessimismo in ordine all’analisi della situazione economica globale attuale, che ho descritto come completamente nuova e diversa rispetto ai decenni passati e per diversi aspetti preoccupante.
C’è un generale consenso tra economisti e osservatori nell’individuare come i maggiori elementi di criticità oggi siano: da un lato il ricomparire dell’inflazione che da decenni non conoscevamo più a questi livelli; e dall’altro l’affievolirsi dei processi di globalizzazione che hanno sorretto per molto tempo la crescita dell’economia mondiale, in particolare nell’area asiatica, e che oggi sembrano messi in crisi da turbolenze varie, dalle conseguenze della pandemia, da protezionismi risorgenti.
Taluni arrivano a parlare di un vero e proprio cambiamento di paradigma, gravido di conseguenze negative per la congiuntura attuale e per la prospettiva.
Provando a dare conto di questo cambiamento ricordavo la settimana scorsa che i maggiori errori gli economisti li hanno fatti quando non sono stati capaci di cogliere e riconoscere i segni del nuovo cullandosi nell’illusione che le cose continuassero a svolgersi come sempre.
È stato così ad esempio per la grave crisi finanziaria del 2008-2010. È rimasta famosa la frase rivolta agli economisti dalla compianta Regina Elisabetta: “Ma non si poteva prevedere tutto ciò?”.
Cercare di definire i problemi non è segno di pessimismo, anzi. Gli americani dicono che la definizione di un problema è una mezza soluzione, e che lo sforzo che dobbiamo fare per essere positivi è impegnarci a comprendere cosa sta succedendo per individuarne le cause e quindi i rimedi. Governare il cambiamento significa questo.
Cerchiamo allora di riprendere con spirito positivo alcune delle grandi questioni, degli interrogativi che ci stanno dinanzi.
Prima questione: se il ritorno di una forte inflazione è il principale problema di oggi, quale è la natura di questa inflazione? Essa è la conseguenza di scelte monetarie e fiscali sbagliate degli Stati e delle Banche Centrali o piuttosto è provocata da un cumulo di strozzature e di elementi negativi sul lato dell’offerta?
Seconda questione: si tratta di un problema intenso ma transitorio oppure di un fenomeno molto severo e persistente nel tempo?
Le risposte prevalenti che vengono date a questi due interrogativi sono talvolta contraddittorie.
Infatti vi è tra gli economisti una prevalenza di chi ritiene le cause dell’inflazione attuale piuttosto legate a strozzature dell’offerta e all’inefficienza della stessa a reagire al rimbalzo post-Covid della domanda mondiale (il cosidetto ‘effetto molla’), piuttosto che a un eccesso di moneta provocato dalle politiche di sostegno praticate nella fase della pandemia dalle Banche centrali.
Ma contemporaneamente vi è una prevalenza di economisti che ritiene che il fenomeno inflazionistico non sarà passeggero e transitorio ma duraturo.
Come si diceva i due atteggiamenti sono contraddittori.
Infatti, se si ritiene che l’inflazione sia legata a inefficienze dell’offerta, tali inefficienze tipicamente saranno transitorie perché l’offerta stessa nelle società capitalistiche e di mercato, sia pure con un’isteresi temporale, tende ad adeguarsi spontaneamente alla domanda.
Ciò vale anche per la questione energetica in Europa. Oggi a causa della decisione russa di tagliare le forniture di gas all’Europa per le ragioni note c’è in effetti una contrazione dell’offerta, appena mitigata in questo momento dalla caduta della domanda industriale, dalle temperature elevate e dalla grande disponibilità di gas che arriva via nave da varie parti del mondo.
I Paesi europei più dipendenti dal gas russo, Austria, Germania e Italia, hanno però posto in essere importanti strategie di diversificazione dell’approvvigionamento energetico, che nel giro di un anno o due daranno risultati riequilibrando domanda e offerta.
Non c’è un problema di mancanza strutturale di gas nel mondo e, per ciò che ci riguarda più da vicino, nel bacino del Mediterraneo. Al contrario le riserve sono elevate e l’affermarsi delle tecnologie della carbon capture consentiranno in futuro di continuare a usare gas per produrre energia elettrica almeno per l’energia piatta di base (base load) da complementare alle rinnovabili. E per questo il costo sia del gas che dell’energia elettrica è destinato a ridursi di molto rispetto ad oggi nel medio termine.
Terza questione: si teme, a causa dell’inflazione generalizzata, un generalizzato rallentamento delle economie che potrebbe sfociare in una vera e propria recessione mondiale.
In questo caso si materializzerebbe lo spettro della stagflazione, l’incubo di tutti gli economisti e di tutti i Governi, che consiste in una situazione drammatica in cui sono compresenti sia l’inflazione a due cifre che una forte caduta recessiva delle economie.
Ma è veramente così?
Certamente siamo in presenza di un rallentamento dell’economia mondiale dovuto soprattutto a due cause: da un lato il forte rallentamento dell’economia cinese causato dall’incapacità del governo di Xi di dominare la pandemia, con le derivanti conseguenze sul sistema produttivo; dall’altro la crisi delle economie europee provocata dall’aggressione della Russia all’Ucraina e dalle sue conseguenze in particolare sul costo dell’energia.
Però parlare di recessione grave sembra eccessivo. Ci sono molte economie, e tra queste quella italiana, che nonostante tutto resistono mantenendo decenti livelli di crescita che fino ad ora hanno consentito di non avere forti cali dell’occupazione.
Finora interventi dei singoli Paesi europei, in assenza di una politica energetica comune dell’Unione, hanno mitigato gli effetti della crisi su famiglie e imprese. I mesi che ci stanno dinanzi sono un’incognita per tutti perché non si sa se i singoli Stati avranno ancora le risorse per intervenire a sostegno di famiglie e imprese e quanto gli interventi degli stati più ‘ricchi’ creeranno asimmetrie competitive all’interno dell’Unione mettendo in pericolo il mercato unico europeo.
Bisogna indurre comportamenti virtuosi di risparmio energetico e di contenimento della domanda sia delle famiglie che delle imprese, almeno fino a quando le misure di diversificazione delle fonti e di annullamento della dipendenza dalla Russia non daranno i loro frutti. Questo dovrebbe essere il vero obiettivo europeo del momento contribuendo con un fondo comune capace di intervenire per incentivare i risparmi e non per arricchire ancora di più i fornitori di energia che della situazione attuale stanno approfittando per fare profitti straordinari, Russia in testa.
Più in generale sono convinto che se si arrivasse in tempi ragionevoli alla pace o almeno ad un cessate il fuoco tra Russia e Ucraina l’economia mondiale in generale e quella europea in particolare riprenderebbero la loro crescita.
Inoltre bisogna ragionare sul debito degli Stati e delle imprese.
È chiaro che in presenza di inflazione elevata e di rialzo generalizzato e importante dei tassi di interesse servire il debito diventerà sempre più difficile e impegnativo specie per chi di debito ne ha tanto. Sarà sempre più difficile fare altro debito specie per chi è già molto indebitato.
I previdenti si sono coperti là dove è stato possibile fissando a lungo termine i tassi di interesse a livelli molto bassi come sono stati fino ad un anno fa. I meno previdenti, coloro che non si sono voluti coprire e sono rimasti su tassi variabili, oggi soffrono.
La riduzione del debito per chi se lo può permettere è la strada maestra. Ma per chi non lo può fare l’allungamento del rimborso del debito stesso, garantito dagli Stati, va perseguita ad ogni costo.
È ciò che in Europa è stato fatto al tempo del Covid e che ha salvato l’economia e le imprese nella prova di una terribile caduta dell’attività.
Bisogna costruire le condizioni tecniche e politiche affinché ciò sia nuovamente possibile.
Una grande sfida per tutti ma in particolare per l’Italia e il suo nuovo governo.