di DANILO SANGUINETI
Ecco un’esperienza che i vegani di stretta osservanza ignoreranno. E che creerebbe qualche leggero contrattempo se fosse estesa a chi ama banchettare nei ristoranti di carne. Semmai può essere paragonata ai più sospettosi tra gli avventori che, quando leggono sul menu ‘ingredienti a chilometro zero’, pretendono di andare nell’orto o nel frutteto e cogliere loro stessi quanto poi sarà messo nei loro piatti.
Qui si passa al ‘miglio (nautico) zero’ e al fai da te con lenza e rete. Abbattuto persino il concetto del ‘fresco di paranza’. I menù da ‘Il Cuoco Pescatore’, bed&breakfast che sorge nel centro di Recco, pensato e gestito da Gian e Anna, te lo costrusci tu, meglio, te lo peschi tu.
Hanno trasformato casa loro in un moderno centro per l’Ittiturismo, branca del Pescaturismo, turismo ‘esperienziale’, che non vuole un visitatore passivo ma attivo, che fa vivere al fruitore un’esperienza legata al mare e ai corsi d’acqua. Il Pescaturismo ha preso campo da una decina di anni a questa parte, pensato per valorizzare il patrimonio marino e costiero e dare il meritato rilievo al mestiere della pesca, vedere cosa c’è dietro una professione che non è per tutti, che costringe a una vita dura ma che regala sensazioni indimenticabili.
Lo sprint è dato dall’inserirsi senza sforzo nel filone in grande espansione, anzi imprescindibile della green economy perché esercitato in perfetta sintonia con l’ambiente. Niente dinamitardi dei fondali, mattanze indiscriminate ecc. L’ittiturismo è la fase due di questo movimento, perché dà spazio alle attività complementari: ti insegna e ti ricrea, ti accoglie in una casa allestita alla bisogna, insomma fai pescaturismo quando accogli a bordo della barca adibita alla pesca dei passeggeri che non fanno parte dell’equipaggio, fai ittiturismo quando li accogli in casa, li rifocilli e li balocchi. Ed è pure un movimento filosofico. Perché rimanda a un’equivalenza cara a Pitagora: ‘Siamo quello che mangiamo’. Qui sei quello che catturi, in un’avvolgente escursione in mezzo al mare, in pochi, non più di due oltre al capobarca, ossia Gian, pronti a fare i conti con il mestiere così affascinante – nei libri – e così massacrante – nella realtà – del pescatore. Chi immagina di entrare nel mondo della pur magnifica canzone di De André va disilluso subito. Qui non si usa ‘l’uomo che pesca’ per dire altro (sull’anarchia), qui c’è il salino che brucia il volto e la rete che sega le mani. Siamo semmai più dalle parti dei Malavoglia.
La proposta è accattivante, il proponente merita un discorso a prescindere. Gian Traversa ha solcato diversi mari, in senso non figurato. Nato a Camogli, il suo corredo genetico è di per sé stesso una miscela esplosiva composta per il 50 per cento da sangue piemontese, il 25 per cento da ascendenze camogline (una delle famiglie nobili del borgo, i Razeto) e il restante quarto proviene da Cento, provincia di Ferrara. Influenze che sono confluite in un’indole errabonda quanto pugnace.
Il percorso che porta alla Casa del Pescatore-Lecardonaie du Pescou (le leccornie del pescatore ndr) è stato lungo anche se non tortuoso: “Il fil rouge è l’amore sconfinato per il mare. Sono uno spirito libero, dall’animo ribelle e avventuroso. Fin da bambino marinavo la scuola, per andare al mare e in mare, manco a dirlo. Volevo stare all’aria aperta, a contatto con la natura. Ero l’alunno di ‘Dria’, un anziano pescatore di Camogli che mi ha tramandato il suo prezioso sapere”.
Neppure questo gli bastò per pacificare ‘quello spirto guerrier ch’entro mi rugge’. “Decisi di prendere il brevetto da sommozzatore. Ho fatto il sub per oltre 30 anni, lavorando per diverse ditte, negli Oceani e nel Mare del Nord. Poi mi sono stancato di girare e sono tornato in Liguria. Ho aperto uno stabilimento balneare nel Golfo Paradiso, poi un altro”.
Arrivato all’età in cui i ‘regolari’ sognano la pensione, ha deciso di fare altro ancora. “Volevo la patente nautica. Ho lavorato per altri, in seguito ho conseguito il titolo di capo-barca, con il permesso per portare lo scafo e la licenza di pesca”. Sei anni fa l’ultimo guizzo. “Allo scoccare del settantesimo compleanno ho cominciato a guardarmi in giro. Volevo mostrare quello che avevo imparato, ci tenevo a far conoscere questi posti, questo tipo di vita. L’Ittiturismo ‘Lecardónaie du Pescòù’ nasce così: condividere esperienze e sapere con gli amici, vecchi e nuovi”.
L’esperimento ha un successo superiore alle attese, piace la full immersion (letterale). Gian e la consorte si dicono ‘proviamo’ a proporlo anche ai foresti, italiani e stranieri. La casa nel centro di Recco viene adeguata: niente di eclatante, due camere, dieci persone, al massimo, alla volta, da portare a coppie sulla barca, 9 metri, che Gian porta ogni giorno sui banchi di pesca, zone che per lui non hanno segreti. Il marinaio più che esperto, 76 anni suonati, non si ferma mai. “Per forza, perché i nostri ospiti (per me non sono clienti, detesto questa parola) hanno diritto a degustare un’ottima cena ed è un punto di onore offrir loro un menù sempre diverso proposto in base alla generosità del mare e della terra, utilizzando il pesce pescato in proprio e facendo particolare attenzione alla qualità dei prodotti, sempre freschi e genuini, cercando di valorizzare al meglio le materie prime, trasformando antiche ricette in ‘lecardónaie’, golosità, per creare un legame con la storia e le nostre tradizioni”.
‘L’ospite’ ha l’opportunità di condividere l’intera giornata con Gian, guarda il mare e la costa ligure da una prospettiva diversa, diventa parte integrante delle attività che svolge il pescatore, imparando da chi il mare lo vive davvero, anima e cuore. Un souvenir da portare a casa.
Per realizzare il progetto Gian Traversa si è dovuto armare di pazienza. “Mesi per ottenere le licenze, le autorizzazioni, sapendo che lo facevi per divertimento. Perché ci tengo a dirlo: una volta fatti i conti, più che guadagno parlo di pareggio, quando va bene”.
Il che importa poco a uno che guarda ad altro. “Navigo, pesco, cucino, conosco gente. Quando uno vive e lavora sul mare, non c’è niente di più bello di navigare. Significa entrare nella natura. Io vado in mare per vedere, sentire con tutti i miei sensi, c’è pace, profonda, immensa bellezza”.
Non ci sono limiti. Dal più piccolo granello di sabbia all’immensa distesa dell’oceano, il mare non è un posto da visitare, è casa sua. “Questo gennaio ero in mare con due ospiti, c’era onda, un errore da parte mia, ho perso il timone, mi sono sporto e sono finito in acqua. Capita. Sono tornato a bordo, i compagni erano preoccupati, io mi sono messo a ridere: quando sei stato immerso per ore nel mare del Nord, un tuffo nel Mar Ligure è un bagnetto caldo”.
La conferma che siamo in presenza di un tipo eccezionale. Lo capirono tre anni fa anche i responsabili di Alice Tv che imbastirono su di lui ‘Il Cuoco Pescatore’, una food comedy dedicata alla cucina di mare. Co-protagonista della serie come nella vita la signora Anna. “Indispensabile -taglia corto Gian – Mia moglie è nata a Parma. L’ho scelta perché avevo bisogno di una scorta di formaggi eccelsi. Scherzo, naturalmente. Ci siamo conosciuti e sposati a 30 anni. Lei è venuta a vivere a Genova. Io sono il bianco, lei il nero o viceversa, io il mare, lei la terra ma non siamo opposti, siamo complementari. Anche se io sono fisicamente il doppio di lei, è metà della mia vita, metà dei miei sogni, ci completiamo”.
La signora Anna cura la parte organizzativa, tiene i rapporti con Booking.com che ha portato la fama della casa-albergo-cucina ai quattro angoli del globo. “La percentuale di non italiani è in crescita esponenziale. E la pandemia non ha rallentato, anche perché visti i limiti di capienza della nostra ‘struttura’, casa, tavola, barca, il distanziamento è nei fatti”.
Non resta che armarsi di rete, canna, retino e coltello. Naturalmente gli animalisti integralisti non saranno d’accordo. Ai talebani verdi si potrebbe replicare come fa Rick Gervais, ecologista convinto. “Io non sono contrario in senso assoluto alle signore con le pellicce. A patto che vadano dentro la gabbia a guadagnarsela. Se la tigre si arrende, perché no?”. Qui si gioca ad armi quasi pari, è fair play, una battaglia tra chi insegue e chi scappa che fa scattare il collegamento con l’immortale Santiago di Hemingway.
Un tipo di pesca ultra regolamentato, che non consente esagerazioni e impedisce stravolgimenti dell’ecosistema. No ai massacri o all’aratura dei fondali.
Sudore e forza, fatica e sacrificio. Una giornata nel pelago ligure assieme a Gian il Pescatore: aneli alla riva, pregusti un pagello degno degli dei e scopri che hai varcato un’altra linea d’ombra, hai scoperto che esiste un altro orizzonte, oltre quello ottico.