di ANTONIO GOZZI
La nascita del governo Draghi dovrebbe garantire al Paese una gestione più efficace della crisi pandemica e del piano vaccinale, fondamentali per la ripresa delle attività economiche, e la certezza di poter accedere agli enormi fondi del Recovery Plan che l’immobilismo e l’insipienza del governo Conte-bis rischiavano di far perdere all’Italia.
Draghi garantirà anche un prestigio e una collocazione internazionale di rilievo dell’Italia grazie alle sua reputazione e alle sue relazioni internazionali, che vedremo messe a beneficio del Paese nelle relazioni con l’UE (non a caso avocate dal nuovo premier a se stesso) e nell’occasione del G20 in Italia nel prossimo ottobre, quando sarà lui a presiedere.
Una maggioranza di governo così composita e larga certamente creerà qualche problema a Draghi, e ciò soprattutto per la voglia di tutte le forze politiche che la sostengono di marcare le loro posizioni in vista delle elezioni che verranno. Ma Draghi ha l’esperienza e la forza di gestire queste turbolenze e di condurre il Paese fino all’elezione del nuovo Presidente della Repubblica, che avverrà nel febbraio 2022.
È probabile che dopo l’elezione del nuovo Presidente della Repubblica (sarà lo stesso Draghi?) e finita l’emergenza pandemica e quindi l’eccezionalità di un governo di unità nazionale si ritorni alle urne per dare al popolo sovrano la possibilità di scegliere il nuovo Governo.
Come al solito il sistema politico e il suo funzionamento saranno in larga misura determinati dalla legge elettorale. Si parla con insistenza di una maggioranza in Parlamento a favore di un ritorno al proporzionale, appena corretto da una soglia di sbarramento. Altri continuano a parlare di sistema maggioritario. Vedremo.
È evidente che un sistema proporzionale favorirebbe l’affermarsi dell’identità delle singole forze politiche mentre un sistema maggioritario spingerebbe verso aggregazioni almeno elettorali.
A me sembra che in ogni caso vi sia una fortissima esigenza di costruire un’area politica riformista per dare rappresentanza a tutti coloro che credono nella collocazione europea e atlantica del Paese, che in questi anni hanno sofferto per l’affermarsi di tendenze populiste e sovraniste, che non si arrendono alla fesseria dell’uno vale uno e che pensano che le competenze e la cultura siano fondamentali per gestire sistemi complessi quali quelli in cui viviamo; a tutti coloro che ritengono che meriti e bisogni siano entrambi fondamentali per far avanzare società di mercato capaci di essere inclusive e di occuparsi anche dei più deboli.
Oggi quest’area politica è debole e frammentata in termini di rappresentanza (Italia Viva di Renzi, Azione di Calenda, Più Europa di Emma Bonino). Tra i leader non corrono buoni rapporti, e non si riesce a varare una piattaforma comune che pure vasti strati di opinione pubblica appoggerebbero.
Eppure per una forza sinceramente riformista potrebbero aprirsi prospettive molto interessanti per il futuro. Vediamo perché.
La cultura e la visione riformista non possono essere evidentemente rappresentate da un PD che, per le scelte del suo gruppo dirigente, è sembrato appiattito su Conte in tutta la gestione della crisi; che lo individua ancora come punto di equilibrio dell’alleanza con il M5S, riproposta come strutturale e strategica, fino a tentare in Parlamento un intergruppo Pd-M5S-Leu il cui fine è quello di “valorizzare l’esperienza positiva del Governo uscente… e di promuovere iniziative comuni sulle grandi sfide del Paese…”.
È proprio lo schema dell’alleanza strategica giallo-rossa nel nome di Conte a stare stretta alla minoranza riformista del Pd, che ha visto male l’iniziativa dell’intergruppo e che andrà sempre più in sofferenza all’avanzare dell’intesa strutturale con i grillini. Molti di quest’area si chiedono: “Siamo la maggioranza di Draghi o le vedove di Conte?”, e “Cosa succederà tra un anno se il M5S rifiutasse Draghi come futuro Presidente della Repubblica?”.
Temi importanti, legati all’identità del partito sempre più messa alla prova dalla gestione della linea fatta dal gruppo proveniente dal vecchio PCI (Zingaretti, Orlando, Bettini) e da una divisione in correnti molto rigida nella distribuzione del potere. I tre posti di ministro disponibili nel nuovo governo sono rigorosamente andati ai leader delle tre correnti: Orlando per la vecchia ‘ditta’, Franceschini per l’area Dem, e Guerini per Base riformista. E pazienza per le donne…
Ma anche sul lato di Forza Italia ci si interroga sul futuro di questa forza politica nel dopo Berlusconi, pur augurando tutti lunghissima vita al suo Presidente. Moltissimi in Forza Italia non sono disposti ad accasarsi nella Lega, sia pure più moderata dall’esperienza del Governo Draghi e dalla influenza crescente di Giorgetti e Zaia.
In realtà le culture cattolico riformiste, socialiste riformiste e liberali riformiste sono alla ricerca di una casa che oggi non c’è e che va costruita.
Per farlo occorre un serio lavoro programmatico e di costruzione di un’identità che nasca dalla collaborazione di questi tre filoni politico-culturali, e un importante lavoro organizzativo di presenza sul territorio e di dialogo con le giovani generazioni, per spiegare la modernità e l’efficacia di una simile visione nel governo di società complesse e per rilanciare la crescita e il ruolo dell’Italia in Europa e nell’area mediterranea.
Era questo, in fondo, il sogno del PD, che però è fallito nell’abbraccio mortale con il M5S. Bisogna fare una cosa nuova.