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Giovedì 4 dicembre 2025 - Numero 403

Chiavari e il commercio, “bisogna non scendere mai di qualità per mantenere i marchi che danno prestigio”

Il parere di Pietro Lucchetti: “Le scelte collettive sono importanti, ma ancor prima contano quelle individuali. Riprendiamo in mano i patti d’area”
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di ALBERTO BRUZZONE

Come si difende il commercio tradizionale, a Chiavari ma non solo a Chiavari? Quali sono le strategie, quali sono le strade da prendere, quali sono le scelte migliori da fare? Nel dibattito partito su ‘Piazza Levante’ con l’articolo del nostro editore, Antonio Gozzi, la posizione di uno dei nostri principali contributori, Giorgio ‘Getto’ Viarengo, la preziosa riflessione da parte della presidente di Federmoda, Manuela Carena, oggi s’inserisce uno storico commerciante del caruggio, Pietro Lucchetti, titolare della Gioielleria Lucchetti che esiste dal 1873 e che negli anni recenti ha allargato i suoi spazi, andando anche ad aprire un secondo punto a Rapallo.

Dici Lucchetti e a Chiavari, ma non solo, dici tradizione, serietà, professionalità e cortesia. Tutti gli elementi che servono oggi a un negozio al dettaglio per poter sopravvivere, nella giungla della grande distribuzione e delle insegne in franchising.

Pietro Lucchetti è la quinta generazione a respirare l’essenza di questi arredi che non sono mai cambiati, sin da quando la gioielleria fu aperta più di centocinquant’anni fa da Filippo Bancalari. “Siamo una delle più antiche attività della Liguria e la storicità va assolutamente bene. Ma, anzitutto, qualsiasi impresa al dettaglio, oggi come oggi, deve porsi le proprie domande: ha senso andare avanti? Ho le basi per poterlo fare? Sto in piedi economicamente? Io credo che portare avanti il commercio al dettaglio oggi significhi esattamente questo: fare ciascuno il proprio ragionamento individuale, ancor prima di far quello collettivo. Un discorso molto interessante mi sembra quello del marketing rigenerativo. Un negozio di tradizione, o un’attività familiare che dir si voglia, funziona se ha grande capacità di penetrazione, se ha rapporti di lunga data sia con i clienti che con i fornitori, se riesce a tenere prodotti particolari. Al contrario, un’attività entra in crisi se ha una bassa capacità di sviluppo tecnologico, se ha una bassa penetrazione extra territoriale, se incontra difficoltà nei passaggi generazionali”.

Secondo Lucchetti, “questi sono fattori fondamentali nella scelta da parte delle aziende di investire su un punto vendita o su un altro. Prendiamo un marchio del lusso come può essere Rolex, per quello che ci riguarda. L’azienda investe di tutto e di più per realizzare prodotti di assoluta eccellenza. Quindi pretende che i venditori, cioè il tramite diretto con la clientela, siano altrettanto eccellenti. Laddove non è possibile, per un marchio del lusso, aprire un proprio flagship store, si investe moltissimo nella formazione dei venditori, ma veramente moltissimo. Solitamente i grandi marchi del lusso sono concentrati nei grossi spazi e nei centri urbani principali. Se però scelgono negozi più piccoli o nei centri meno abitati, è perché quei negozi rispettano le condizioni di cui sopra: rapporti con i clienti, grande capacità di penetrazione”.

Ecco come può sopravvivere un’impresa tradizionale. Tutto questo per quanto riguarda la parte individuale. Poi c’è il discorso collettivo, quello legato al tessuto commerciale della città. Pietro Lucchetti ha pure qui le idee chiare: “La qualità è un concetto che vale per il singolo negozio come per la città nel suo complesso. Se una città scende di qualità perché il livello dei suoi negozi si abbassa, poi i grandi marchi se ne vanno e tutto è destinato al ribasso. Il lusso si sposta: chi compra il lusso, non ha problemi a spostarsi. Bisogna quindi avere la capacità di saperlo conservare, il lusso. Per questo dico che chi determinerà il futuro dei commercianti, sono i commercianti stessi con le loro scelte”.

Poi, chiaramente, una parte importante la fanno anche i luoghi, oltre che le scelte politiche. “Noi qui viviamo in una zona turistica, il Tigullio intero ha enormi potenzialità: ci troviamo tra Portofino e le Cinque Terre, siamo nei radar mondiali del turismo. Un tempo la clientela di Lucchetti era in prevalenza locale, ora è al 30 per cento locale e al 70 per cento esterna. Significa che il turismo c’è, è una risorsa per noi e va conservato e incrementato”.

Ecco allora la necessità delle scelte politiche. Lucchetti non è di quelle persone che ama mugugnare né piangersi addosso: “Lo stato del commercio lo conosciamo, e anche come ci siamo arrivati. C’è tutto il tema degli affitti troppo alti, delle licenze liberalizzate. Lo sappiamo. Bisogna chiedersi: che cosa possiamo fare per migliorare? Iniziamo, proprio insieme alla politica, a rimettere mano ai patti d’area, iniziamo a pensare a un sistema di regole che, senza infrangere normative superiori, possa però creare delle linee guida. Possiamo ad esempio definire dei perimetri e, dentro questi, fissare dei paletti e pensare a opere urbane di abbellimento. Se una città è più bella, ci guadagniamo tutti”. Quindi analisi individuale, analisi collettiva, soluzioni concrete. “Il commercio tradizionale – conclude Lucchetti – ce la può assolutamente fare, ma deve essere attivo, propositivo e mostrare tutta la sua energia”. 

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