di DANILO SANGUINETI
Quando si è avvolti nel glucosio il gusto di appigliarsi a qualcosa di robusto e appagante è più di uno sfizio. Nel mare di melassa in cui provano ad immergerci si avverte la necessità di un antidoto per essere in grado di confrontarsi con il quotidiano. Cosa meglio di un Amaro per ‘destarsi’ e svicolare dalle avversità di una vita inzaccherata oltre che zuccherata?
Al di là dei discorsi dietetico-estetici c’è l’orgoglio di poter sorseggiare una bevanda autoctona e autentica. L’Amaro Camatti è una eccellenza del Levante che riscuote universale apprezzamento. A certificarlo i tre premi ottenuti alla Mixology Experience di Milano. Un ulteriore motivo di orgoglio per un liquore che dal laboratorio-distilleria di Recco ha compiuto un lungo giro nel Levante e dopo quasi un secolo di strada, premio dopo premio, vendita dopo vendita, si afferma ogni giorno di più come marchio di valore assoluto. L’Amaro Camatti sta preparandosi a un 2024 che lascerà il segno: oltre a un ulteriore incremento nella produzione imposto dalla costante crescita nelle richieste c’è da festeggiare lo storico traguardo dei primi cento anni.
Stefano Bergamino, proprietario del marchio e amministratore, racconta una storia che non è solo commerciale, che si interseca con quella ‘alta’. “La ricetta originale dell’Amaro Camatti, ancora oggi usata nella produzione del nostro prodotto, venne creata nei primi anni venti del secolo scorso a Recco dal chimico livornese Umberto Briganti. Insieme al fratello Cesare nel 1924 diede il via alla produzione del liquore. ‘Camatti’ fu scelto in onore del cognome da nubile della moglie di Umberto, Camatti per l’appunto. Il primo stabilimento sorse nella cittadina del Golfo Paradiso. Nei ricordi di coloro che vi lavorarono riaffiorano gli odori intensi delle erbe provenienti da un’antica erboristeria e dello zucchero caramellato. La miscela che ancora oggi lo rende amato e speciale – erbe, infusi, zucchero e la vicinanza del mare, era già tutta lì”.
Camatti si fa gustare, si fa conoscere, viene apprezzato anche nelle altissime sfere. “Nel 1935 la ditta produttrice venne autorizzata a fregiarsi del titolo di ‘Fornitore della casa di Sua Altezza Reale, il Principe di Piemonte’ e di collocare sull’insegna dello stabilimento lo stemma principesco”. Dagli illusori fasti del ‘Bell’Umberto (poi Re di Maggio)’ alla catastrofe il passo fu breve.
“Negli anni di guerra si entra in una fase difficile per tutta la vita civile ed economica. Nel 1943 lo stabilimento di Recco viene requisito dagli alpini della divisione Monterosa che si sistemano al secondo piano, mentre al piano terra vanno i soldati della Wehrmacht di stanza nel Golfo Paradiso. La ripartenza dopo la tragedia non è semplice, lo zucchero era razionato, eppure la produzione ricomincia”. Il boom coglie quelli del Camatti preparati: “Gli affari vanno a gonfie vele, il fondatore scompare nel 1964, ne prendono il posto il figlio (Cesare anche egli) e il nipote. Nel 1989 decidono di vendere a Giovanni Bergamino: è un matrimonio che penso fosse scritto negli astri dato che negli stessi anni in cui Briganti iniziava la produzione del suo amaro Bergamino iniziava a lavorare nell’Opificio Ballerini di Lavagna dove si producevano liquori artigianali. Fu proprio la sua ditta, la Sangallo, ad acquisire la Camatti”.
E siamo arrivati all’oggi: “Continuiamo la produzione con la stessa passione e cura. Ce ne occupiamo io e Marco De Marchi”. Il 48enne Bergamino è attento custode della tradizione. “È parte integrante del nostro successo. In un’epoca nella quale tutto si svilisce e molto si mischia, un prodotto doc, che preserva con attenzione direi maniacale la ricetta che era e deve rimanere ‘segreta’, ha un suo valore non trattabile. Se esportiamo in Europa, America e ultimamente persino in Oceania una ragione ci sarà”. Se è impossibile ricreare la misteriosa mistura così come risulta irriproducibile l’esatta armonia della struttura di uno Stradivari, almeno si può tentare di ricapitolare a grandi linee le componenti. “Prima di tutto il procedimento di produzione del Camatti resta, per quanto ci è possibile, artigianale: dopo un’accurata selezione delle materie prime si passa al procedimento di infusione e macerazione che è stato studiato in base alle caratteristiche delle erbe, dei vegetali, del prodotto che desideriamo ottenere. L’infuso ottenuto viene messo a decantare in botti o fusti d’acciaio inox e poi filtrato per eliminare le eventuali impurità. Si aggiunge quindi uno sciroppo di acqua e zucchero al prodotto. A quel punto è pronto per il consumatore finale, non resta che imbottigliarlo”.

Forse più che le quantità delle componenti è la qualità delle stesse a fare la differenza? “La selezione degli ingredienti – erbe e vegetali – ricopre una grande importanza. Per questo ci accertiamo personalmente della loro qualità, provenienza e conservazione. Tutto il processo di produzione viene supervisionato in monitorato passo dopo passo per garantire che il prodotto finale rispecchia le caratteristiche di gusto e sapore peculiari del Camatti”. Come una ‘O’ di Giotto, perfetto a mano libera, c’è poco da aggiungere. “Al massimo qualche ritocco nelle forme dei contenitori. Per esempio da due anni abbiamo apportato un piccolo cambiamento all’involucro, alla bottiglia: vi abbiamo aggiunto un riferimento alla città di Genova e messo in mostra l’anno di creazione della ricetta, il 1924”.
Se si hanno i quarti di nobiltà, sia pure alcolica, perché non esibirli? Altre modifiche riguardano la catena di produzione. “Abbiamo mantenuto la sede legale a San Salvatore di Cogorno, ma necessitando di più spazio abbiamo portato lo stabilimento a San Colombano Certenoli. Dove c’è la Sangallo Distilleria delle Cinque Terre che a sua volta produce liquori, distillati liguri e piemontesi seguendo le loro antiche ricette. Dalla liquirizia al basilico, passando per il liquore alle creme e quello alla frutta, abbiamo sapori per ogni gusto”. Il pezzo forte resta comunque il Camatti. “Sì, mio padre ne acquistò i diritti perché sapeva che era un prodotto amato dal pubblico. Era nato come rimedio per il mal di mare”.
E lo è ancora. Provatelo se vi trovate a soffrire in mezzo alle onde, non ve ne pentirete. “Oggi della sua antica origine marinara conserva traccia nella etichetta e anche negli spot promozionali che abbiamo realizzato. Sono imperniati sul racconto del trasporto dalle Cinque Terre dei barili di vino tramite barca. Abbiamo mantenuto questo collegamento anche se oggi il Camatti viene utilizzato in mille altri modi diversi, servito puro come mixato in decine di cocktail e altre misture raffinatissime”. E vende sempre. “Stiamo crescendo di anno in anno. Il lavoro per noi sei che operiamo nello stabilimento di San Colombano non manca di certo. Mio papà è mancato nel 2018, ogni tanto passa mia mamma, ma adesso sono io a portare avanti la fabbrica”.
Le idee di Bergamino junior sono al passo con i tempi. Per esempio il progetto di far pubblicità al Camatti mediante gli Ambassador, un’operazione lanciata da un anno e poco più: “Dopo le chiusure e l’isolamento volevamo tornare fra le strade di Genova e della Liguria per fare un po’ di scorta, di amicizia, divertimento e calore umano. Lo potremo fare grazie ai nostri Ambassador, sei barman liguri selezionati per presentare l’amaro. Sono tra i protagonisti principali delle nostre campagne di comunicazioni. Inoltre sono coinvolti in tutti gli eventi e le iniziative organizzate dal brand. Infine partecipano alla ‘Challenge’: i cocktail a base di Camatti promossi dai nostri ambassador e votati sui social”.
Esperimenti non fini a se stessi. A inizio maggio si è tenuta a Milano la Mixology Experience e l’Amaro Camatti è stato incoronato ‘miglior amaro del mondo’ dalla giuria del World Liqueur Awards 2023, una competizione di riferimento per i professionisti del settore ‘spirits and mixology’ a livello mondiale. Ha sbaragliato la concorrenza agli assaggi, arrivando primo nelle categorie degli herbal italiani. Premiato come il miglior liquore alle erbe d’Italia, miglior amaro italiano del mondo e medaglia d’oro tra gli amari italiani.
Quindi anche versatile, pronto per una nuova serie di spot da girare tra Levanto e Recco. Si vede che il signor Bergamino si è messo in mano ad advertising manager con i contro-cavoli. Fate salto sul sito e vedrete che i ragazzi si sono studiati le folgorati campagne che nei Settanta e Ottanta fecero la fortuna di miti del settore come Petrus o Jagermeister. Ed hanno pure trovato la catch phrase: “Camatti, l’amaro che unisce”. Dite voi se non è azzeccata per questi tempi divisivi.
