di ANTONIO GOZZI
Per mesi le turbolenze dei mercati finanziari hanno segnalato con crescente evidenza lo stress dell’economia mondiale.
Si potrebbe pensare che questi siano i segni, già tante volte visti, di un rallentamento del ciclo economico, di mercati al ribasso e forse di un’incipiente recessione.
Ma a giudizio di molti ciò che stiamo vedendo e vivendo non è una delle normali crisi cicliche alle quali l’economia globalizzata ci ha abituato.
Da più parti viene segnalato un difficile e profondo cambiamento, quasi paradigmatico, dello stato e dell’ordine dell’economia mondiale.
Un cambio radicale, dopo gli anni dell’era keynesiana affermatasi immediatamente dopo la Seconda guerra mondiale, e dopo gli anni dei mercati aperti e della globalizzazione che sono quelli più recenti da cui veniamo.
Gli ottimisti hanno sperato e sperano che il mondo ricco e sviluppato riesca a sfuggire alla trappola della bassa crescita dell’ultimo decennio, e che sia capace di fronteggiare gli enormi problemi posti dal progressivo invecchiamento della popolazione occidentale.
Ma gli avvenimenti che si sono succeduti negli ultimi tre anni, in particolare la pandemia del Covid e la guerra dovuta all’invasione russa dell’Ucraina, con le loro drammatiche conseguenze, rischiano di travolgere anche gli spiriti più positivi.
Ciò che sta accadendo nelle economie mondiali ha una magnitudo sconosciuta da generazioni. L’inflazione globale è ormai a doppia cifra per la prima volta negli ultimi quaranta anni. Avrà effetti devastanti sulle famiglie, sui risparmi, sulla spesa e sui deficit pubblici.
Le cause di questo fenomeno sono molteplici: l’enorme liquidità gettata nel sistema dalle banche centrali per sostenere l’economia durante la crisi del Covid, il forte rimbalzo della domanda mondiale di beni e servizi post pandemia (il cosiddetto ‘effetto molla’), le strozzature che si sono create nelle supply chain e in generale nell’offerta, che non è riuscita a star dietro all’impetuoso rimbalzo della domanda, la crisi energetica, causata da un forte squilibrio tra domanda e offerta dovuta ai ridotti investimenti negli ultimi anni nel gas e nel petrolio e alla crisi Russia-Ucraina.
La Banca Centrale statunitense, avendo ritardato la reazione nel periodo pandemico per non deprimere ulteriormente l’economia, si è ritrovata in pochi mesi a spingere violentemente sul rialzo dei tassi di interesse passando dallo 0,25% al 3,25%. Si dice che nel giro di poco si arriverà al 4,5%. Si tratta di un rialzo dei tassi che non avveniva in questa misura dagli anni ’80 e che ha provocato un estremo rafforzamento del dollaro (ormai 1 euro vale meno di 1 dollaro) che getta il caos fuori dagli Usa.
Avevamo vissuto un periodo di economia relativamente tranquilla.
Dopo la crisi finanziaria del 2007-2009 la performance delle economie ricche non è stata strabiliante anzi è stata relativamente debole.
Gli investimenti delle imprese private sono stati a livelli più bassi rispetto ai decenni precedenti e i Governi non sono riusciti in quel periodo a stimolare più di tanto la crescita.
Le economie non crescevano molto, ma l’inflazione era bassissima, e ciò ha consentito agli stati indebitati di reggere l’indebitamento senza troppi problemi (vedi il caso italiano) e alle famiglie di non perdere il potere reale d’acquisto dei loro redditi.
Quel periodo è finito e siamo entrati in un’era di fortissima turbolenza.
Per chi ha un piccolo portafoglio di risparmi investiti o una pensione l’anno che volge al termine è stato terribile. Perdite generalizzate su tutti gli impieghi: azioni, obbligazioni, bond di Stato.
Si calcola che le perdite complessive cumulate dai possessori di patrimoni mobiliari ammontino a più di 40 trilioni di dollari, una cifra capace di far tremare l’ordine economico mondiale e di interrompere gran parte dei processi di globalizzazione economica già sconvolti dalla crisi energetica provocata dall’uscita di fatto dalle forniture all’occidente di uno dei principali player energetici del mondo come la Russia. Anche i Fondi di investimento o molti di essi sono in difficoltà per le ingenti perdite cumulate nei loro portafogli.
Cosa succederà adesso?
Sarà sempre più difficile finanziarsi, sia per le famiglie che per le imprese. La cultura del debito a bassissimo costo ha sorretto i comportamenti degli operatori economici negli ultimi venti anni ed è stato certamente un elemento che ha favorito le politiche di investimento. Oggi investire è diventato molto più difficile perché il debito è diventato molto più caro.
Ma investire di meno significa, come ci insegna la teoria economica, meno reddito e meno occupazione.
L’occupazione sarà inoltre nei prossimi decenni ulteriormente messa in crisi dalla sempre più estesa applicazione di macchine, di robot, di intelligenza artificiale.
Le imprese energetiche che hanno visto esplodere il prezzo dei beni comprati e venduti stanno affrontando giganteschi problemi finanziari provocati dall’esplosione del loro capitale circolante che non sanno più come finanziare. Ben presto i problemi finanziari si trasformeranno anche in problemi economici per il grande aumento degli oneri finanziari e perché molti clienti non pagheranno più le bollette.
Molte imprese del settore energetico falliranno e scompariranno come già avviene in tutta Europa.
Le imprese industriali, specie quelle energivore, rischiano di chiudere perché con questi costi dell’energia elettrica e del gas producono in perdita strutturale. Ma nella stessa situazione si trovano decine di migliaia di aziende alberghiere, delle ristorazioni, bar, panetterie, tintorie, pizzerie che con queste bollette non ce la fanno più.
La chiusura di così tante aziende creerà grossissimi problemi e tensioni sociali. Nel momento in cui i lavoratori a reddito fisso devono fronteggiare il rincaro delle bollette di 7, 8, 10 volte rischiano di ritrovarsi senza lavoro o in cassa integrazione.
Di fronte a tutto ciò l’Europa che aveva reagito bene e solidalmente alla pandemia sul tema dell’energia è paralizzata da egoismi e conflitti di interesse tra i vari Stati membri ed è stata incapace di assumere una politica energetica comune necessaria a evitare traumi e asimmetrie competitive all’interno del mercato unico.
Sembra un pugile suonato, che ripete la sua litania su un’astratta transizione energetica ed ecologica che non sarà né giusta, né equa, né solidale.
I più grandi errori che si possono fare in economia dipendono dalla debolezza di visione prospettica e dall’incapacità di riconoscere il cambiamento. Pensare che tutto continui come prima e che nulla cambi è un tragico errore.
In realtà il cambiamento è incominciato e bisogna essere pronti ad affrontarlo.