di ALBERTO BRUZZONE
Nel film ‘Sorelle Mai’ di Marco Bellocchio, ambientato nella sua città natale (di cui è ancora uno dei frequentatori più illustri), la piccola Elena vive con le sue anziane prozie nella casa di famiglia a Bobbio. La madre Sara è sempre assente, perché a Milano sta tentando la carriera di attrice e, quando non lavora, fa visita alla figlia. Giorgio, il fratello di Sara, pensa che lei debba essere più presente nella vita della figlia, e intanto anche lui tenta di avviare una nuova attività come gioielliere. Quando Sara ottiene una parte come protagonista, vorrebbe portare la figlia ad abitare con lei. Vende quindi il suo appartamento di Bobbio per prenderne uno più grande a Milano.
Il film, scritto, sceneggiato e diretto da uno dei più grandi cineasti italiani, ben approfondisce due temi: quello delle radici e quello, a esso collegato, del distacco.
La buona notizia è che, nella realtà quotidiana, sta andando esattamente all’opposto, rispetto a ‘Sorelle Mai’. Non solo da Bobbio non si va più via, ma negli ultimi anni c’è stato un incremento della popolazione del 3%, con una media nettamente superiore rispetto a quella di gran parte dei comuni montani di tutta Italia.
In questo suggestivo paese esattamente a metà tra Genova e Piacenza, lungo la celeberrima statale 45 – luogo prediletto di tanti amanti dei rally e delle motociclette – e famoso per il bellissimo Castello Malaspina-Dal Verme, oltre che per i film di Bellocchio (un altro girato qui è ‘Sangue del mio sangue’), nel 2018 sono nati venticinque bambini e, nel 2019, contando quelli già venuti al mondo e quelli in arrivo entro la fine di dicembre, ne arriveranno altri trenta. Se non è un record, poco ci manca. Per tanto entroterra che si spopola, tanti borghi che diventano fantasma, tanti sindaci che fanno ripetuti appelli affinché gli abitanti dei loro centri non si estinguano, ecco una storia esattamente opposta. Con il finale più lieto che ci sia. Quello di un fiocco azzurro o rosa.
Significa tanto. Significa tutto. Significa che Bobbio, un comune di circa tremila e cinquecento anime (per paragonarlo alla città, sarebbe un quartiere piccolo di Genova, tipo Multedo di Pegli), già capoluogo della Val Trebbia, dove ci si sente emiliani ma anche un po’ ancora liguri, potrà continuare a esistere, pure negli anni a venire.
Cinquantacinque bambini sono tanti, la popolazione è giovane. E spunta la necessità di servizi che da tempo non venivano più erogati. In particolare, un asilo. La storia è stata raccontata nei giorni scorsi, sulle colonne del ‘Corriere della Sera’, dal collega Claudio Del Frate, sicuramente stimolato da Giangiacomo Schiavi, frequentatore di Bobbio di lunga data e storica firma del quotidiano di via Solferino.
C’è notizia, per dirla in gergo, eccome se c’è. Per tanti comuni che sono costretti a chiusure e tagli (e ne raccontiamo spesso, anche tristemente, sulle pagine di ‘Piazza Levante’), ecco un magnifico episodio di apertura, e fa ancora più piacere perché avviene in un piccolo centro.
Non lo chiamano tecnicamente ‘asilo nido’, ma ‘gruppo educativo’, però non fa grossa differenza. Vuol dire che i bambini appena nati avranno un posto dove potranno essere seguiti e cresciuti, mentre i genitori potranno continuare a lavorare, senza per forza doversi servire delle strutture di altri comuni.
Come si è arrivati a tutto questo è l’altra notizia: la Diocesi di Piacenza Bobbio, il parroco di Santa Maria Assunta, il sindaco e un illuminato imprenditore del posto si sono messi d’accordo e sono giunti in fondo a questo straordinario progetto. La Diocesi ha fornito i locali, don Paolo Cignatta ha fatto da prezioso trait-d’union, il sindaco Roberto Pasquali ha dato l’input politico e amministrativo, oltre alla convenzione con la comunità montana locale, e l’industriale Marco Labirio ha ristrutturato i locali e coronato uno dei suoi sogni.
Potere spirituale, temporale ed economico vanno a braccetto, verso un obiettivo condiviso. Labirio, 82 anni e non sentirli, è il personaggio chiave della vicenda. Un imprenditore illuminato: come i tanti ‘irredentisti’ a favore del proprio territorio, Labirio potrebbe essere, a tutti gli effetti, un ‘irredentista di Bobbio’. Stessa filosofia, stessa cultura d’impresa di tanti suoi colleghi: i luoghi d’origine devono restare attrattivi, e devono dare condizioni di lavoro e di benessere, collegate di conseguenza a servizi. Solo così si può evitare lo spopolamento.
Labirio, che si definisce “un montanaro ma anche un sognatore”, guida la sua azienda Gamma Spa: con sede a Bobbio, in via dell’Artigianato, è stata fondata nel 1972 ed è leader mondiale nei settori resistenze e materiali isolanti. L’imprenditore sognatore: ce ne fossero, non ne bastano proprio mai.
Oggi la Gamma dà lavoro in quel di Bobbio a circa duecento dipendenti, molti dei quali sono proprio quei ragazzi e ragazze che hanno messo su famiglia negli ultimi due anni. Ecco la vita del paese che si mantiene e si propaga: “L’idea dell’asilo – racconta Marco Labirio – è stata di don Paolo. La Diocesi l’ha subito accolta. Quindi, siamo andati a parlare con la cittadinanza e con il sindaco. Non c’è stato nessuno che abbia detto di no. E siamo andati avanti. Io sono nato a Bobbio, e ho sempre avuto grande attenzione alla mia valle. Avrei anche potuto delocalizzare, risparmiare qualcosa nei costi di gestione. Ma non se ne parla neppure. La mia azienda doveva rimanere qui, nella mia città. Quando ho visto questo netto incremento delle nascite, mi sono detto: da buon montanaro, bisogna far qualcosa. Dare dei servizi, perché qui se non facciamo niente, perderemo case, scuole e tutto il resto. La Curia ha dato i locali, la politica si è mossa. Per dare un’accelerata, abbiamo fatto questo accordo tra pubblico e privato. E, ovviamente, sono felicissimo di aver dato il mio contributo”.
Labirio ha l’entusiasmo e l’energia di un ragazzo: “Non sono in ferie – dice rispondendo al cellulare – anche se l’azienda è in pausa estiva, io continuo a lavorare. Andiamo avanti”. Tra i cittadini più illustri di Bobbio, non se n’è mai andato. A parlare con i cittadini del progetto dell’asilo è andato lui in persona. Tanto ci teneva. “In quest’operazione c’è anche il concetto di salvataggio della città. Se non ci sono i servizi, le famiglie vanno a vivere altrove. Questa è la fine che hanno fatto tanti posti montani. Bobbio, che vive questa straordinaria congiuntura, non doveva finire così. Abbiamo la fortuna di vivere in una valle bellissima e non deturpata. Ma servono progetti di valle, Genova e Piacenza si devono parlare di più. Si potrebbero fare tante cose: senza arroganza e senza pensare che bisogna per forza fare delle palanche. I nostri nonni ci hanno lasciato tra le mani un posto bellissimo, dobbiamo portare avanti la loro eredità, non certo delocalizzare. Sono contento perché i miei figli la pensano allo stesso modo”.
Il senso civico prevale, anche sullo spirito imprenditoriale: “Questa terra mi ha dato tanto, a questa terra bisogna restituire, entro i limiti delle mie possibilità. La prima cosa che non deve mancare sono appunto i servizi. Poi penso a una scuola di tipo ‘verticale’: ovvero che parta dall’asilo nido e arrivi sino alle superiori. Ma siamo noi valligiani che dobbiamo lavorare e dialogare con chi è più grande. Potranno anche venire idee migliori. Bisogna andare avanti, noi lo faremo”.
Andare avanti, è il mantra del dottor Labirio. Un concetto decisamente americano, declinato sugli appennini della Val Trebbia. E alla domanda sulla sede della ‘sua’ Gamma, replica senza indugi: “No, non la sposterei mai per soldi. La statale 45 è migliorata molto, in questi anni, specie nella parte di competenza di Genova. Piacenza può e deve fare molto di più. Quanto a noi, sei anni fa abbiamo chiesto e ottenuto la banda larga. In Gamma abbiamo creato tre sale di videoconferenza di ultima generazione. Le distanze, ai tempi di oggi, si annullano”.
Sembra di sentire la storia di Wylab e Wyscout. Identiche esperienze. Quella di Gamma nasce da un triste avvenimento: “Quando ero ragazzo – ricorda Labirio – chiuse a Bobbio il caseificio. Vi lavoravano centoventi persone e veniva creato un indotto per ottocentoquaranta stalle. Chiuso il caseificio, crollò la valle. Ecco, questo non deve più accadere. A Bobbio vivono circa cinquecento ragazzi. Dobbiamo fare di tutto per metterli nelle condizioni di restare qui. Hanno la casa, devono avere il lavoro e i servizi. Se vanno altrove, li costringeremo – tra le altre cose – a pagare il mutuo per tutta la vita”. E chiude con le sue tre parole chiave: “Rispetto, umiltà e disciplina. Con umiltà dobbiamo imparare a lavorare insieme ai comuni più grandi. Solo così la valle tornerà a essere ripopolata, solo così potrà andare avanti questo percorso virtuoso”.
A volte un ‘giovane’ di 82 anni è più giovane di uno di 30. Deve aver pensato così, il sindaco di Bobbio, Roberto Pasquali. Un altro che, a parlare di questo progetto, si entusiasma e non poco. Evidentemente, è un loro fiore all’occhiello. Qualcosa di cui andare – a ragion veduta – fieri. “È nato tutto – ricorda il primo cittadino – da una proposta di Gamma, che al suo interno ha molte coppie con bambini piccoli. Siamo partiti provando a comporre un gruppo educativo con sette bimbi. Ma la richiesta è stata subito talmente alta che abbiamo messo già insieme un secondo gruppo educativo. Abbiamo lavorato con la Diocesi, con don Paolo e con la Fondazione San Benedetto di Piacenza, che cura l’aspetto educativo. Il loro intervento, si capisce, è stato basilare. In due anni, sul territorio, sono nati quasi sessanta bambini. Andiamo contro a tutte le statistiche dell’Istat. Il ringraziamento da parte dell’amministrazione va ovviamente a tutti. Come sindaco poi, essendo anche presidente dell’Unione Montana delle Valli Trebbia e Luretta, mi sono occupato delle convenzioni e di cercare agevolazioni sulle rette pure grazie al ricorso a finanziamenti regionali”.
Anche Pasquali ha parole d’amore per la sua città: “Bobbio è un luogo incantato. Le famiglie qui si fermano perché si vive bene. Dobbiamo dar loro quello di cui hanno bisogno. Come le scuole. Siamo tremila e cinquecento residenti ma, in estate, arriviamo anche a diecimila”.
Don Paolo Cignatta guarda all’aspetto umano, ma pure a quello della fede: “Siamo riusciti a invertire la tendenza e questo pone le basi per tenere in vita una serie di servizi, come le scuole superiori e gli ambulatori, ma soprattutto è la dimostrazione pratica che se si creano le condizioni, le comunità non muoiono e le famiglie tornano a fare figli”.
Ieri mattina su Raiuno, a ‘Unomattina’, questa bellissima storia è stata raccontata in diretta tv. Chissà se il bobbiese più illustre nel mondo, Marco Bellocchio, ci farà un domani un film. Forse Sara, oggi, anno del Signore 2019, non dovrebbe portare la propria figlia a vivere a Milano.
A proposito, anche in ‘Miracolo a Milano’ di Vittorio De Sica iniziava tutto con un bambino. È tempo di scrivere ‘Miracolo a Bobbio’…