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Giovedì 16 ottobre 2025 - Numero 396

Amt sull’orlo del fallimento. Nel baratro anche i bus extraurbani. E i trasporti del Levante ora tremano

Al 31 agosto, lo stock di debito verso i fornitori di Amt ammontava a 101 milioni di euro, a cui si aggiungevano 57 milioni di euro di debito verso intermediari finanziari. Complessivamente, oggi lo stock debitorio è pari a 158 milioni di euro
Un autobus delle vecchie linee di Atp, quando si era autonomi rispetto a Genova
Un autobus delle vecchie linee di Atp, quando si era autonomi rispetto a Genova
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di ALBERTO BRUZZONE

C’è stato un periodo in cui la sigla Atp, ovvero l’Azienda Trasporti Provinciali, ancora non esisteva, ma le linee extraurbane, invece, esistevano eccome ed erano gestite, per quanto riguarda il Levante genovese, dalla società per azioni Tigullio Pubblici Trasporti.

Poi, dal 1° gennaio 2021, siamo entrati in un periodo in cui Atp nuovamente non esiste più, in quanto è confluita in Amt, ovvero l’Azienda Mobilità e Trasporti che si occupa storicamente della gestione dei mezzi pubblici all’interno del Comune di Genova.

I TEMPI FELICI DI TIGULLIO TRASPORTI
In mezzo, c’è tutto un lungo e travagliato percorso che parte da una società ‘sana’, qual era Tigullio Trasporti, a diverse peripezie amministrative e finanziarie, la bancarotta più volte sfiorata di Atp, alcune trattative con i privati non andate mai in porto e, da ultimo, l’accorpamento con la società genovese, più grande, più numerosa per quanto riguarda il personale e i mezzi, decisamente più attrezzata ma altrettanto non florida, dal punto di vista dei conti. Il tutto a fronte di gestioni manageriali non sempre positive e di influenze da parte della politica e dei sindacati che quasi mai hanno fatto il bene delle rispettive aziende.

Per quanto riguarda gli autobus blu, ovvero le linee extraurbane, sotto l’egida di Atp sino al 31 dicembre 2020, i problemi non sono mai mancati ma negli ultimi anni, anche grazie a notevolissime iniezioni di denaro pubblico, le cose parevano esser migliorate.

IL PROCESSO DI FUSIONE DA PARTE DELLA GENOVA ‘MATRIGNA’
Contestualmente, però, il processo di assorbimento tra Atp e Amt era ormai innescato, fortemente voluto dalla Città Metropolitana. Più volte, con ‘Piazza Levante’, ci siamo soffermati sul rischio che il Tigullio e il Golfo Paradiso, con i loro relativi entroterra, venissero progressivamente depotenziati in termini di competenze ma soprattutto di servizi, in favore di una gestione accentrata da parte di Genova.

È accaduto con i trasporti, con il tribunale, rischia quotidianamente di accadere con la sanità. Spiace dire che, per quanto riguarda il trasporto pubblico locale, avevamo ragione, perché l’allarme che lanciammo a inizio 2021 è esattamente quanto si è concretizzato oggi. Non solo Amt non sta più in piedi e con circa 150 milioni di debiti, come illustrato ieri a Genova durante una Commissione Comunale, è una società tecnicamente fallita, ma c’è anche il serio rischio, anzi la quasi certezza, che ci sarà un progressivo e spietato taglio delle corse e a farne le spese saranno anzitutto i percorsi meno produttivi e redditizi, a cominciare da quelli dell’entroterra del Levante. 

Il presidente della Regione Liguria, Marco Bucci, ha sempre difeso l’operazione di fusione tra Amt e Atp, a cominciare dal fatto che ha consentito di equiparare gli stipendi degli autisti ma, di fatto, si è portata una società sana dentro una società che poi si è rivelata in decozione, sino alla situazione drammatica di oggi, con l’incertezza degli stipendi, il taglio delle corse, i debiti verso i fornitori che arrivano a cento milioni di euro. 

IL QUADRO FINANZIARIO DI AMT ILLUSTRATO IERI DAL PRESIDENTE BERRUTI
Il quadro, davvero pessimo, è stato descritto ieri, a cominciare dal presidente di Amt, Federico Berruti. Nel suo intervento, Berruti non ha lasciato spazio a interpretazioni e ha spiegato che la società di trasporto pubblico si trova in una situazione debitoria pregressa massiccia, un deficit di cassa immediato e un patrimonio netto stimato in 90 milioni di euro negativi. Per far fronte all’emergenza, l’azienda ha attivato la procedura di composizione negoziata della crisi.

Il presidente ha respinto con forza l’idea che la crisi sia stata innescata dal cambio del Consiglio di Amministrazione avvenuto il 29 agosto 2025. “La mia risposta è no”, ha affermato Berruti, citando estratti conto bancari che documentano l’immediata difficoltà finanziaria. Già il 9 settembre 2025, l’azienda disponeva di soli 600 mila euro sul conto corrente, insufficienti per pagare gli stipendi e versare gli F24.

La situazione finanziaria ereditata è drammatica: al 31 agosto, lo stock di debito verso i fornitori ammontava a 101 milioni di euro, a cui si aggiungevano 57 milioni di euro di debito verso intermediari finanziari. Complessivamente, lo stock debitorio è pari a 158 milioni di euro.

Nell’istanza per la composizione negoziata, depositata ieri, si evidenzia un deficit di cassa aggiuntivo di 42 milioni di euro necessario solo per coprire gli stipendi e dilazionare i debiti scaduti con i fornitori da qui al 31 marzo 2026.

La crisi, secondo Berruti, non era sconosciuta, ma era già documentata negli atti ufficiali del Comune. Già a marzo 2025, una relazione programmatica era stata definita “irricevibile”.

Il nodo centrale della controversia contabile riguarda le stime di ricavo pregresse. La relazione “irricevibile” includeva la capitalizzazione di 25 milioni di euro di costi (Modello Genova), pratica ritenuta non conforme alle norme del codice civile e  l’inserimento di 29 milioni di euro di ricavi da sanzioni basati su un tasso di incasso ipotizzato del 37,5%.

“Io non firmerò mai un documento che preveda il 37,5% di ricavi da sanzioni scritti neanche sotto tortura”, ha dichiarato il Presidente. Ha sottolineato come il tasso medio storico di incasso di tali sanzioni sia circa il 3,5%. Berruti ha insistito sulla trasparenza: “Se questo pare brutto, me ne vado”.

La gravità della situazione è acuita dal fatto che la società risulta avere un patrimonio netto negativo da almeno un anno, violando il primo obbligo degli amministratori di preservare il patrimonio. Di fronte all’obbligo di agire “senza indugio”, il CDA aveva come alternative l’aumento di capitale (stimato in circa 100 milioni di euro, ma ritenuto impraticabile) o la liquidazione della società.

Si è optato per l’attivazione della composizione negoziata della crisi, procedura che per legge sospende gli obblighi di ricapitalizzazione per 6 mesi (prorogabili). Questa mossa è considerata cruciale per la sopravvivenza aziendale. Una volta nominato l’esperto, sarà inoltre possibile richiedere misure protettive per bloccare azioni individuali dei singoli creditori. Il piano di risanamento, in fase di finalizzazione, si concentrerà su due questioni principali: la sottocompensazione e le politiche tariffarie.

La prima leva mira ad aumentare le compensazioni da contratto di servizio di circa 50 milioni di euro all’anno. Questo incremento non serve a coprire inefficienze aziendali, ma a compensare fattori esogeni come l’inflazione, che ha portato a una sottocompensazione accumulata di circa 80 milioni di euro dopo il Covid.

La seconda leva prevede una revisione delle tariffe che comporterà circa 10 milioni di euro in più di ricavi. Per mitigare l’impatto sull’utenza, l’aumento sarà attuato con criteri selettivi, come l’ISEE o fasce sociali agevolate, cercando di bilanciare le esigenze finanziarie e la strategia di lungo termine della città.

Il Presidente ha garantito che il piano non prevedrà alcuna azione che metta in discussione i diritti dei lavoratori. Il documento di piano sarà adottato e reso disponibile agli stakeholder nel giro di pochi giorni, prima della convocazione dell’assemblea dei soci.

Il Levante sta alla finestra e rischia di rimetterci per primo. Qualcuno venga ancora a dire che la fusione è stata una scelta indovinata.

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