di GIORGIO ‘GETTO’ VIARENGO *
Ho controllato in tre diversi supermercati per darvi un dato preciso: tre su tre espongono grandi cesti di zucche per la festa di Halloween! Puntualmente gli eventi si sintonizzano con tale scadenza, gruppi di giovani si trasformano nell’immaginario della famiglia Addams e tutta la città è attraversata da questi segni.
Da giorni le vetrine di diversi negozi presentano prodotti realizzati per la festività di Halloween, i centri commerciali propongono travestimenti e gadget per animare i tanti appuntamenti previsti. Un’intera pagina di un quotidiano nazionale propone, ed è un’ottima cosa, “di essere tutti vampiri e donare il sangue”.
La zucca traforata è diventata una delle scadenze più attese, ma è bene domandarsi quale sia l’origine di questa ricorrenza e di come sia rientrata nella nostra cultura attraversando diversi continenti. Le ritualità culturali sono ancora visibilmente presenti e caratterizzano non poco la nostra quotidianità: il nascere e il morire, ne segnano i punti diametralmente opposti.
La festa di Halloween è proprio legata al giorno in cui i defunti ritornano a farci visita, a proporre segni della loro presenza, quasi a ricambiare il nostro cordoglio per la loro scomparsa. Le origini di queste funzioni si perdono nella notte dei tempi, sin dalla venuta dell’uomo e con le conquiste evolutive, le testimonianze del momento della morte si confermano in tutte le culture. Un momento drammatico, un passaggio segnato da ritualità complesse, da liturgie che vedevano la presenza organizzata delle collettività per portare l’estremo saluto. La conservazione e il trattamento del corpo, passaggi rituali ancora presenti in ogni cultura dell’intera umanità, le funzioni successive prevedono diversi momenti di ‘ricongiunzione’, di riflessione e di possibili contatti tra il mondo dei vivi e l’aldilà.
Se ricerchiamo nel mondo popolare, nelle pagine dedicate allo studio etnografico e antropologico, avremo delle straordinarie sorprese e rivelazioni. Il trascorrere del tempo è sempre stato rappresentato in modo circolare, con dei punti fissi e dei nodi cardinali fondamentali. L’avvicendarsi delle stagioni, i cicli solari e le fasi della luna, hanno sempre suggerito scadenze, dettato tempi e periodi stagionali. In questa circolarità planetaria si dovevano chiudere delle fasi e prevedere l’inizio di nuovi tempi, riti di rinnovamento, quasi ad indicare che fossero presenti molteplici Capodanno. In una cultura solidamente legata ai riti agrari, la fertilità e la promessa di buoni raccolti era costante, sempre desiderata. Nei giorni in cui il buio si allunga e diventa preminente al tempo della luce diurna, s’individuano nell’oscurità le migliori condizioni per l’incontro col mondo dei morti. Quest’occasione diventava una necessità per confermare la cultura della ciclicità: i vivi hanno bisogno dei morti per ottenere buoni raccolti, i defunti trovano nell’attività agricola dei vivi la metafora del ritorno alla vita e la rigenerazione.
Si tratta perciò di un’attiva collaborazione, della certezza che i morti fossero gratificati e non avessero nessun motivo di astio nei confronti dei vivi. Questi tratti sono riconoscibili nei riti più arcaici delle culture Celtiche, i Samain, per transitare nel mondo pagano e nel lungo percorso della cristianizzazione. Rileggendo i diversi calendari e confrontandoli, possiamo verificare questa millenaria stratificazione culturale: con il mistero della morte e l’aldilà sempre costantemente presente. Ancora ai nostri giorni le credenze popolari segnano il momento del passaggio con la morte: si devono coprire gli specchi e un velo cela le superfici riflettenti perché l’anima non si possa rispecchiare. Questo rischio potrebbe generare un ‘non passaggio’ e far diventare quel luogo un posto ‘dove si vede e si sente’. In questi giorni si cucinavano le fave e si disponevano nella notte dei morti in cucina: i nostri cari sarebbero venuti a cibarsi, a riposarsi del lungo viaggio, trovando la riconferma del nostro cordoglio e una rinnovata accoglienza.
Gli Statuti Medievali di Chiavari, documenti del 1469, ci confermano la tradizione dei canti di questua delle Cantegore per le anime, tratti ancora riconoscibili in alcuni canti del maggio in Val di Vara. Nelle Confraternite si tiene il rituale della ‘chiamata’: un lento scandire di tutti i confratelli trapassati, un appello dei vivi in memoria dei morti. Il grande rito coreutico della ‘Menada’: un ballo rituale con fiaccole accese, una tradizione dell’estremo Levante ligure, quando le donne danzavano in cerchio agitando i loro fuochi purificatori. Il lento tremore della fiammella dell’öfizieû acceso, con la forma della torre, del libretto, con la cera multicolore, per salutare i nostri morti. Il canto dell’ufficio dei morti ci spiega il significato e l’origine di questo gioco rituale diffuso in tutta la Liguria. Queste poche riflessioni per ribadire che la festa di Halloween non è che il ripetersi di nostre tradizioni che non conosciamo più, che il moderno marketing ci impone come un’occasione commerciale, una delle tante, dove il significato storico e culturale appare definitivamente sconfitto.
(* storico e studioso di tradizioni locali)