(r.p.l.) Da piccola, quando aveva nove anni, sua mamma le prese i nastri colorati con cui si fasciava i capelli, li cucì insieme e ci fece la prima bandiera della pace. Fu con quell’esempio e con il continuo e quotidiano racconto delle Madri Costituenti, ovvero le ventuno donne che diedero il loro imprescindibile contributo per scrivere la nostra Costituzione, che Maria Grazia Daniele crebbe e maturò, a livello di persona e a livello di cittadina inserita nella vita politica.
È stata senatrice, presidente dell’Anpi di Chiavari e, per lungo tempo, anche presidente dell’Udi Genova, ovvero la sezione genovese dell’Unione Donne Italiane, una delle principali associazioni femminili del nostro paese che, lo scorso primo ottobre, ha compiuto ottant’anni dalla sua fondazione.
Oggi Maria Grazia Daniele conserva tutti quei ricordi e tutte quelle esperienze, come se fosse il primo giorno, come se il tempo non fosse mai trascorso: “Quelle bandiere della pace così improvvisate servirono alle donne per scendere in piazza a manifestare perché si mettesse fine alla guerra di Corea. Poi, nel tempo, seguirono tantissime altre manifestazioni e l’Udi fu sempre in primissima linea”.

Maria Grazia Daniele racconta: “Nel frattempo, ero cresciuta, ero diventata sindacalista della Cgil, mi ero iscritta al Partito Comunista, avevo iniziato la mia attività politica, senza mai perdere di vista il ruolo delle donne, la loro centralità nella vita pubblica. Le parole di mamma di quand’ero bambina, i suoi occhi luccicanti mentre parlava delle Madri Costituenti mi rimasero impressi per sempre: scendemmo in piazza per la pensione alle casalinghe, per il riconoscimento della maternità sul posto di lavoro, per il salario equo, per l’abolizione delle case chiuse, per la tutela sociale della maternità, per l’abolizione del delitto d’onore e del matrimonio riparatore”.
“A me – prosegue la senatrice – piace pensare che dietro a ventuno straordinarie donne, c’era quella fitta rete di associazioni al femminile che esiste ancora adesso: l’Udi, di cui sono stata presidente genovese, il Cif, tutte le consociate. Non avremmo visto e fatto nulla, senza questa unione, che è stata la nostra forza. Andiamo avanti in quel segno, perché il lavoro di quelle donne non sia mai e poi mai vano. Andiamo avanti a costruire un ponte e continuiamo a raccontare questa storia, anche alle nuove generazioni. Ogni tanto ripenso ai miei nastrini tutti colorati per i capelli, e ancora mi commuovo”.
Nella sua casa chiavarese, Maria Grazia Daniele lo dice con estrema chiarezza: “Noi donne vinciamo se siamo unite, ed è sempre stato così”. E ricorda “le battaglie per le lavoratrici e la maternità, il no al lavoro notturno per le donne incinte, il no ai bambini al lavoro. Il partito ci sosteneva, ma poi abbiamo avuto un ripensamento. Ci siamo dette: non abbiamo bisogno dei soldi dei partiti. Oggi, è importantissimo che le donne siano arrivate nei posti di vertice delle istituzioni. Ci sono riuscite anche grazie a noi che abbiamo aperto la strada”.
Secondo Maria Grazia Daniele, “finalmente la donna al giorno d’oggi è diventata una persona e non più uno strumento. Sono una delle artefici della legge contro la violenza sessuale, con un’intesa bipartisan. Ci abbiamo messo parecchi anni. Questo la dice lunga su come le forze politiche fossero contro”. E sui femminicidi, il parere è questo: “La soluzione non è aumentare il numero degli anni di galera: è entrare nelle scuole, a partire dall’infanzia, per far capire cose semplicissime. Ai bambini maschi le madri spesso dicono: non piangere, sembri una femminuccia. Questa cultura va sradicata con l’educazione. Oggi facciamo grandi dibattiti, iniziative per sensibilizzare, andiamo nelle scuole. La cosa bella è che ora le donne denunciano. Ma fino ad oggi non si è riusciti a far passare una legge sull’educazione alla sessualità nelle scuole. Bisogna insegnare ai ragazzi il comportamento tra maschio e femmina. Io vado a fare incontri nelle scuole e su questo trovo i ragazzi e le ragazze interessatissimi. Parlano di body shaming, è un problema molto sentito. Ma c’è tanto da fare ancora”.