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Giovedì 23 ottobre 2025 - Numero 397

La notte di San Giovanni Battista: una scadenza legata agli antichi riti agrari, che poi si è evoluta

Oggi si conservano diverse pratiche e usi dell’acqua di San Giovanni: tisane, infusi, acque per lavaggi rituali, formule e composizioni diverse
Il culto di San Giovanni è uno dei più antichi legati alla cristianità
Il culto di San Giovanni è uno dei più antichi legati alla cristianità
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di GIORGIO ‘GETTO’ VIARENGO *

Nello studio della moderna ricerca etnografica si tende a riordinare le diverse tradizioni all’interno di un cerchio del tempo virtuale, una cronologia circolare dov’è contenuto l’intero anno solare che comunemente chiamiamo calendario.

Questo termine era legato alle diverse scadenze del mese e cadenzato dalle notti di plenilunio; una luna piena al mese si trasformava in una precisa clessidra per le scadenze, dove le principali e ineludibili erano quelle della vita nei campi, i lavori dell’agricoltura e le incombenze contadine.

Nel mio lungo e interminabile lavoro di raccolta sul campo, sin dai primi anni Settanta, ho riscontrato una grande quantità di memorie e, come da metodo, le ho sistemate nel cerchio del tempo per dare loro un ordine cronologico preciso. 

In questa riflessione vorrei affrontare una delle scadenze più interessanti e legate a questa stagione dell’anno: la notte di San Giovanni Battista. La scadenza, legata agli antichi riti agrari, fu in seguito cristianizzata. 

Per dare un riferimento preciso potremmo individuare l’Ottavo secolo come momento certo di evangelizzazione della terra tigullina. Era il tempo della missione colombaniana che scendeva dal monastero di Bobbio e portava le prime ritualità. Il successo di tale operazione era legato all’immagine caratteristica degli stessi monaci: essi si presentavano infatti come portatori di una nuova parola e di una rinnovata agricoltura. Questo nesso, così bene evidenziato da Michele Tosi già direttore dell’Archivio di Bobbio, sarà il vero segno del successo dell’operazione, nella quale la cultura contadina trovava una voce a lei simile ed intelligibile, una voce d’ausilio e di mediazione culturale. Grazie a questa mediazione, le ritualità nel tempo sono andate traslate, hanno visto nuovi riferimenti di patronato, ma hanno conservato una tradizione secolare che giunge sino ai nostri giorni. 

In antico questa festività era contenuta nelle ritualità pagane del Sole e si era diffusa nei festeggiamenti della “Fors Fortuna” del 24 giugno, con un riferimento speculare al “Sol Invictus” del 25 dicembre: si riteneva cioè che le due date fossero corrispettive e legate da un comune sfondo di religiosità. Non è un caso che il 25 dicembre si rammenti la natività, come la si festeggia per San Giovanni, unico santo ad avere questo privilegio.

Lasciamo la complessità teologica e riflettiamo sulle molteplici funzioni di religiosità popolare, quelle liturgie così diffuse sul nostro territorio. La prima è senz’altro il falò di San Giovanni, l’antichissimo rituale della comunità che affastellava le ramaglie al centro del borgo, una sull’altra a comporre, per ore e giorni, l’alta ara; poi, all’imbrunire, il tutto si trasformava nel teatro del fuoco con le relative interpretazioni e i presagi.

Il falò conoscerà poi una grande trasformazione e un rinnovato linguaggio con la pirotecnia, il fuoco d’artificio che conferma l’uso rituale più antico delle fiamme purificatrici. Nella ricerca d’archivio troviamo diversi riferimenti alle cerimonie del falò nelle lontane colonie della Repubblica di Genova lungo le coste mediterranee. Nel vangelo si può leggere un vero complimento fatto da Cristo al Battista: “Egli era lume ardente e illuminante”; proprio come i notturni fuochi dei falò.

Vediamo ora un fantastico contrario del fuoco, rappresentato dalle ritualità dell’acqua, un elemento purificatore che acquista particolari caratteristiche prodigiose in questa notte di virtù. 

Chiavari era tradizione andare alla foce dell’Entella e procedere ad abluzioni nelle acque del fiume, un rito imitativo del battesimo di Cristo effettuato con questa metodologia da Giovanni ai primi cristiani battezzati. Il bagno rituale non era consentito in mare, anzi, un antico adagio indicava che  in quei giorni poteva risultare fatale.

La notte solstiziale acquistava un significato primario: in quelle ore venivano insegnate le tante pratiche e i mille rimedi, le figure portatrici delle formule insegnavano e tramandavano la tradizione. Il segreto non veniva divulgato, ma nel la notte di San Giovanni, e solo in quella, esso veniva tramandato nella comunità e nella famiglia. 

L’acqua era cercata e raccolta anche nella rugiada del mattino, si stendevano gli abitini dei neonati sull’erba bagnata e si aspettava che ne fossero intrisi, il tutto per assicurare che San Giovanni proteggesse i piccoli, una ritualità apotropaica contro tutti i malefizi. 

Per lo stesso principio si dovevano raccogliere le erbe per comporre l’acqua di San Giovanni, un composto magico rituale che raccoglie e condensa in questa notte tutto il mito del Santo. Per la raccolta vi erano regole precise, si utilizzava un panno per non toccarle, addirittura si coglievano senza guardarle; l’acqua veniva collocata in un luogo dove i raggi lunari non la inquinassero, e sempre veniva raccolta prima della luce dell’alba. In questa notte le erbe acquisiscono benefici unici, gli studiosi d’etnografia hanno raccolto informazioni e potuto contare più di duecento erbe di San Giovanni. Un mio amico e anziano veterinario mi suggeriva la pratica della raccolta dell’erba dragone. Questa essenza, naturalmente raccolta nella sola notte solstiziale di San Giovanni, poteva curare diverse malattie degli animali da stalla.

Superstizioni, credenze popolari che la Chiesa cercò in diversi modi di scongiurare, ma che infine ritenne non fosse opportuno contrastare, tanto che in diverse chiese di campagna si procede tutt’oggi alla benedizione delle erbe di San Giovanni.

Oggi si conservano diverse pratiche e usi dell’acqua di San Giovanni: tisane, infusi, acque per lavaggi rituali, formule e composizioni diverse. Potremmo ancora scrivere delle ritualità urbane, legate alla traslazione delle “Sacre Ceneri”, ma lo spazio richiesto sarebbe eccessivo. Ancora un cenno ad una memoria raccolta in diverse località del Tigullio: alla precisa domanda sull’utilità e i pregi dell’acqua di San Giovanni, si ottiene sempre la medesima risposta: Mâ a nu fa!… male non fa!

(* storico e studioso di tradizioni locali)

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