di DANILO SANGUINETI
Chiavari, inizio Settanta. Una cittadina sonnacchiosa, zeppa di benessere, priva di ostentazione, povera di slanci, avara di tensioni, appartata ma non distante dai grandi centri del “triangolo d’oro”, il “ge-mi-to” del Nord Ovest, il fulcro industriale dove la società progrediva più velocemente e altrettanto rapidamente si deteriorava. Un laboratorio piccolo ma attrezzato e tranquillo il giusto per sviluppare nella dovuta calma un brodo di coltura che dalla alternativa politica idealista sarebbe degenerato nel terrorismo più spietato.
È quanto racconta, rivelando particolari che ad occhi ed orecchie del terzo millennio suonano ai confini della realtà ma che tra fine anni Sessanta e inizio degli Anni di Piombo furono sinistramente concreti, il libro ‘Gappisti’. Edito da DeriveApprodi, scritto dallo storico Davide Serafino verrà presentato proprio a Chiavari sabato 12 maggio alle ore 21 nella libreria La Zafra in via Vittorio Veneto.
L’autore ne parlerà assieme a Massimo Cappitti, Giorgio Moroni e sarà presente anche quello che ne è il co-protagonista, Vittorio Battistoni, 86 anni, ingegnere meccanico, di Chiavari. Era uno dei “nodi” più fidati nella rete di terroristi imbastita da Giangiacomo Feltrinelli tra il 1969 e il 1972, che mutuò il nome da quello dei partigiani della Seconda Guerra Mondiale che agivano nei contesti urbani, i Gap (Gruppi Azione Patriottica) appunto. Fu lui, tra le altre cose, a rubare in una cava del Levante il tritolo che uccise Feltrinelli impegnato in un goffo tentativo di far detonare un traliccio.
Si proverà a gettare uno squarcio di luce su una Chiavari in stile Cabot Cove priva ahimè di una Jessica Fletcher che individua con aristotelica evidenza colpe e colpevoli. Oggi è fluito abbastanza tempo perché la memoria si faccia storia e si possa parlare dei sommersi (il pensiero corre a Annamaria Ludmann per esempio) e dei salvati, del perché alcuni furono travolti dal diluvio e altri galleggiarono sopravvivendo oltre i loro meriti e le loro colpe.
