‘Piazza Levante’ ha aperto nel numero scorso un interessante confronto sul ‘verde urbano’, un argomento strategico per le città del prossimo futuro, in particolar modo dopo il recente lockdown, dove il tema della qualità della vita nelle comunità urbane è divenuto centrale. Ospitiamo in questo numero un contributo da parte di Giorgio ‘Getto’ Viarengo, che ci presenta un excursus di tipo storico sul verde a Chiavari.
di GIORGIO ‘GETTO’ VIARENGO *
Per poter dare un contributo cercherò d’illustrare come storicamente si è creato il ‘verde pubblico’ nella città in cui viviamo. Il primo esempio che vorrei riportare è una lettera conservata nell’Archivio Storico del comune: si tratta di un documento redatto nell’ottobre del 1935; a scrivere sono gli alunni di una scuola elementare dell’Abruzzo. Nel leggibilissimo corsivo si può leggere: “Perché, illustrissimo signor Podestà, non ci manda delle piante di fiori? Il signor maestro ci ha detto che Chiavari è tutta un giardino”.
Un’immagine a cui non è difficile credere e le cui ragioni sono rintracciabili nella progettazione urbanistica del primissimo Ottocento, quando Chiavari si rinnova profondamente. Sino a quel momento la superficie comunale era caratterizzata dalla netta supremazia dei terreni coltivati, dagli orti che circondavano il nucleo fondativo della città medievale, una superficie che raggiungeva il mare, il fiume Entella, la collina delle Grazie e il retrostante contrafforte collinare sino a Leivi.
I censimenti del ‘Comizio Agrario del Circondario di Chiavari’ riportano con precisione la topografia del coltivato su una superficie comunale di 1200 ettari: 455 ettari uliveti, 7 ettari agrumeti, 360 ettari ortivi e seminativi, 155 ettari coltivati a castagno, 180 di boschi e pascoli naturali, i gerbidi solamente 6 ettari.
Questa era la situazione dell’uso del suolo in un tempo in cui l’agricoltura era la maggiore attività economica della nostra comunità: 1500 chiavaresi, su circa ottomila residenti, erano contadini. Perciò si tratta di un verde giustificato da esigenze economiche e storiche, leggibili negli atti notarili feudali sin dall’XI e XII secolo, quando si descrivevano le attività agricole nelle cessioni dei terreni.
Nel primo Ottocento si creano nuove condizioni politiche, sociali ed economiche, la Chiavari degli ortolani, contadini e artigiani vede giungere una nuova presenza: la borghesia; il prefetto francese e le autorità imperiali abitano in Palazzo Costaguta, occorre una nuova città per nuovi cittadini. Questo è il profilo della futura città, adesso è necessario progettarla.
A realizzare lo strumento di programmazione è un chiavarese: l’architetto Costa Zenoglio; conosce bene la città e altrettanto i canoni compositivi del nuovo contesto urbano, i moderni assetti dettati dalle autorità francesi, successivi alle esperienze piani ‘d’embellissement’ varati a Parigi sin dal 1798. Il lavoro dell’architetto s’avvia nel 1825, quando si compone ‘Il Piano d’abbellimento della città’. Il concetto di grande novità è rappresentato da una visione unitaria di tutta l’operazione, dalla necessità di realizzare il centro abitato-direzionale, l’allontanamento delle lavorazioni ambientalmente non compatibili, la revisione dell’assetto viario e la sua rettifica, la collocazione definitiva delle tre grandi piazze che sino a quel momento non erano presenti.
Il suo elaborato viene discusso in due sedute con rispettive riscritture e adeguamenti del progetto; i cinquantadue articoli subiscono un primo confronto e modifiche nel 1826 e nel 1827, e il 4 ottobre del 1827 il Consiglio Comunale lo approva definitivamente.
La rilettura delle disposizioni costituisce un prezioso documento, la possibilità di riconoscere la trasformazione in atto a Chiavari. Una delle più interessanti è contenuta nell’articolo 28 dove in poche righe è riassunto il tema fondativo del verde urbano di nuova concezione, non più dettato da esigenze economiche, ma da una nuova esigenza di vivibilità della città.
Rileggiamolo: “La piazza di N.S. dell’Orto che serve di passeggiata sarà regolarmente piantata e suddivisa (). Gli alberi da preferirsi sarebbero quelli a foglia verniciata che meglio può resistere agli aridi marini cioè l’elce, il pino, il corbezzolo, l’alloro, il bosso e l’arancio detto volgarmente selvatico”.
I termini strategici di questa visione sono ‘passeggiata’ e l’uso degli alberi come elemento di valorizzazione urbana. Da questo momento tutte le operazioni urbanistiche, le rettifiche degli spazi, le nuove viabilità, saranno sempre completate col ‘verde pubblico’.
Dopo cento anni dal varo del progetto di ‘abbellimento della città’ giunge la lettera degli scolari abruzzesi: così nasce la città giardino. Il primo piano regolatore progettato dall’architetto Timosci, nel maggio del 1869, disegna l’intero comparto tra ‘corso San Francesco e vico dei Grimaldi’, gli attuali corso Garibaldi e corso Millo: tutte le viabilità prevedono specifiche aiuole e piantumazione d’alberi.
In corso Millo, tramite un vero piano particolareggiato, è l’ingegner Riccardo Questa a indicare l’arretramento della linea di costruzione “per creare un giardino continuo tra le costruzioni previste”. Alla sommità del viale una piazza di raccordo: qui la Villa Ottone, col suo straordinario liberty e il giardino a cornice, indica e anticipa la nuova circonvallazione e il corrente in arenaria con l’impianto dei lecci.
Il Novecento si apre con un grande progetto: da anni le lamentele degli abitanti degli Scogli e l’intero ovest cittadino richiedono una nuova viabilità. Si avvia così il ‘Viale delle Palme’, un gioiello progettuale in cui il classico elemento del portico è richiamato dalle foglie delle palme che incorniciano la prospettiva del pronao di Nostra Signora dell’Orto finalmente terminato. Le palme erano già di moda in diversi impianti urbani; a Chiavari si acquistano “8 piante di canariensis dalla ditta Boero di Nervi. Novembre 1889”.
Sono i vivai Giorgi a vincere la gara indetta nel 1935 per le cento palme da piantumare in Viale Impero, toponimo mai attecchito presso i cittadini chiavaresi, che da sempre lo chiamano Viale delle Palme.
Poi giunge il piano regolatore di Gaetano Moretti, siamo nel 1936, in cui la visione razionalista della Chiavari del futuro è sempre caratterizzata da viali alberati, immense aiuole nel nuovo corso della Marina, sistemazione del lungo Entella per aree sportive. Resterà un sogno: la realtà ci porta nella Seconda Guerra Mondiale e non si riesce a farne nulla.
La ripresa post bellica non trascura il verde cittadino, ma le nuove insidie giungono nei primi anni Sessanta con la politica del costruire in fretta e senza una visione complessiva. In questi anni gli orti sono inghiottiti dal cemento, la conseguente diffusione di massa dell’uso dell’auto cancella non pochi viali alberati di Chiavari per realizzare posteggi.
Questo excursus può terminare, le ragioni della citazione di città giardino sono una realtà storica, ora dobbiamo essere capaci a conservare e a far crescere nuovamente il verde pubblico e privato.
Credo irrinunciabile la presenza di un vero Piano Regolatore del Verde, uno strumento capace di accatastare il patrimonio presente e progettarne il futuro incremento. Le città del futuro sono verdi di alberi e piante: iniziamo questo nuovo cammino che Chiavari conosce storicamente così bene.
(* studioso di storia e di tradizioni locali)