di FABRIZIO DE LONGIS
C’è un problema serpeggiante nella sanità pubblica ligure e che da tempo si sta facendo spazio nella politica, ma che per ora è ancora sottotraccia. Il suo nome è la degenza di media durata.
La degenza di media durata è quella condizione in cui un paziente deve rimanere in osservazione in un ospedale per qualche giorno. Quello che i cittadini comune chiamerebbero, “mi tengono qui per una notte”. E al netto che siano una, due o tre, il risultato non cambia.
Interessante però, è capire cosa questa degenza comporti, in termini di problemi e perché oggi registriamo questo fatto.
Il nodo principale è sempre uno: dati i tagli ai bilanci, gli accorpamenti delle strutture e le riduzioni di personale nella sanità, i posti disponibili per la degenza nel suo complesso sono troppo pochi rispetto alla richiesta. Se da un lato i posti destinati a una degenza di maggiore lunghezza non possono venire meno perché legati a situazioni più critiche, e quelli destinati ad una degenza più corta comportano una naturale circolarità, a creare un problema e quindi a richiedere una soluzione, per dire, fantasiosa, sono proprio i posti destinati al medio periodo.
E la soluzione su cui sembra indirizzata Regione Liguria è andare verso l’accreditamento di strutture private che forniscano posti letto. Infatti la degenza di media durata per le strutture pubbliche non sembra proprio essere la più facile delle situazioni da amministrare.
Si tratta, quindi, di quella terra di mezzo fra una degenza di lungo periodo, con fasi programmate in maniera più stabile, come la permanenza in ospedale a fronte di interventi molto invasivi, a quella che è la degenza di urgenza e veloce, come a seguito di un ingresso al pronto soccorso con codici verdi o bianchi.
La metodologia scelta sarebbe quella vuoto per pieno, ossia, traducendolo ai più, pagare posti letto stabilmente destinati alla degenza di medio periodo presso strutture private, che poi all’occorrenza verrebbero occupati da chi non trova spazio negli ospedali pubblici.
Non propriamente la migliore delle soluzioni in termini di efficienza ed efficacia. Questo perché, da un lato la sanità regionale, quindi i cittadini, si troverebbero a pagare dei posti letto che potenzialmente potrebbero essere occupati il cento per cento del tempo, come lo zero per cento. Quindi, facendo una media, possiamo presumere che circa la metà del costo andrebbe sprecato, con momenti di apice in cui si potrebbe comunque non essere in grado di soddisfare il fabbisogno, a cali improvvisi con posti letto prevalentemente inutilizzati. Dall’altro lato, una soluzione di questo modo, comporterebbe lo spostamento costante di pazienti, dai pronto soccorso, alle strutture identificate, che non sempre, per logica dei grandi numeri, si possono trovare negli immediati pressi dell’ospedale di riferimento. Di conseguenza si avrebbero esborsi di finanziamenti, personale impegnato e difficolta per i famigliari, in un continuo traffico di malati da un polo ad un altro.
Sembra, però, che tanta altra soluzione non vi sia nelle logiche liguri della gestione sanitaria. Creare posti letto, spiegano da Regione, non è cosa da poco. Richiede grossi investimenti e tempi lunghi. Osservazione veritiera, a cui con uguale solerzia si potrebbe controbattere perché non si è programmato con adeguato anticipo un inserimento di nuovi posti letto.
La risposta sembra risiedere proprio nel modello di gestione identificato da anni per la nostra regione. Ossia quello della progressiva privatizzazione dei servizi accessori a quello che può essere il core della attività sanitaria ospedaliera. Vedasi interventi chirurgici di grande complessità e strutture specialistiche avanzate.
In questa situazione oramai non è raro trovare gli ospedali intasati dai pazienti con esigenze di degenza di medio periodo. Questo perché proprio a loro non sono destinati un processo codificato e spazi appositi ben definiti. Chi deve passare la notte in osservazione, quindi, rappresenta oggi un problema non indifferente, con i pronto soccorso già saltati alla cronaca per barelle e letti incastrati come Tetris. Con stanze che improvvisamente moltiplicano la loro capienza di legge e corridoi costellati di pazienti in angoli e anfratti.
Il tutto in un rebus che gli operatori sanitari provano a districare in una rete di telefonate fra vari ospedali per trovare il posto libero all’occasione. Con tutto quel che ciò vuol dire.
A questa condizione giunge in aggravante un malcostume orami noto agli uffici di piazza De Ferrari: la scelta, spesso deliberata, di taluni parenti che, desiderosi di passare un fine settimana in maggiore libertà, conducono i propri genitori o nonni nei pronto soccorso liguri con casuale frequenza nel tardo pomeriggio di venerdì. Momento di apice dei ricoveri necessitanti la degenza di medio periodo. Questo perché, a fronte della caducità, sembra facile riscontrare nella popolazione anziana motivazioni valide a giustificare perlomeno la permanenza di una notte in osservazione.
Si aggiunga, inoltre, che spesso queste persone risultano non pienamente autosufficienti. Per questo si conviene che per il loro rilascio dall’ospedale, sia necessaria la presenza dei parenti che li conducano a casa e li assistano. Parenti che, con buona prassi, si rendono reperibili non prima della domenica sera.
Per essere chiari, c’è chi si libera il fine settimana scaricando il parente anziano negli ospedali e a carico dei contribuenti. Sarà una minoranza, evidenziano da Regione e pensiamo pure noi, ma sufficiente a creare un bel problema.
Tenuta in debita considerazione l’assenza di senso civico e valori. A contribuire a questo sistema, manca proprio quel modello di assistenza domiciliare, ramificazione territoriale e presenza di strutture di accoglienza che consentano un intermezzo fra la casa di riposo modello nosocomio, e la presenza residenziale a carico di figli e nipoti. Il tutto magari a costi supportabili dalle famiglie meno abbienti.
Se quindi c’è chi è costretto a tenere in casa i genitori anziani, si deve confrontare con la realtà. Realtà in cui troppo spesso non può usufruire di servizi di assistenza domiciliare adeguati, non ha una sanità territoriale vicina, e ha la sola scelta (carissima emotivamente e pure finanziariamente), di destinare il proprio genitori a una struttura che prevede allettamenti e un progressivo, e spesso rapido, deperimento.
Sembra qui il tassello mancante di partenza di questo Tetris. Mancanza di una visione per una sanità diversa dai grandi accentramenti e che tenga in considerazione le esigenze del territorio, con la copertura dei fabbisogni, partendo dal pubblico per quello che può, e usufruendo del privato dove necessita. Creando nuovi modelli di sanità strutturati secondo le esigenze, sempre più nuove, che si vengono a porre.