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di FRANCESCO DANIELI *
“Non abbiamo incoraggiato o permesso attacchi al di fuori dell’Ucraina, ma in ultima analisi l’Ucraina deve decidere da sola come condurre questa guerra”. Queste sono le parole pronunciate il 15 maggio dal Segretario di Stato americano Antony J. Blinken, nel corso di una conferenza stampa tenutasi durante la sua visita a Kyiv. Potrebbe sembrare un’affermazione priva di particolare significato, ma con questa frase Blinken ha ridato spinta a un dibattito che non sembra volersi fermare.
La questione riguarda l’uso da parte dell’Ucraina degli armamenti forniti dagli Stati Uniti. L’amministrazione Biden, fin dalle prime forniture, ne ha sempre vietato l’utilizzo oltre i confini ucraini. Il timore di Washington sarebbe che la Russia possa rispondere con un’ulteriore escalation, attraverso l’uso di armi nucleari o con un allargamento del conflitto alla NATO. Finora, la posizione sembrava condivisa in toto dal governo americano, oltre che dagli alleati europei della NATO.
A maggio di quest’anno, però, ci sono stati i primi cambiamenti. All’inizio del mese, durante una visita a Kyiv, il Segretario agli esteri britannico David Cameron ha detto di essere pronto ad autorizzare l’Ucraina a colpire il territorio russo con armi a lungo raggio fornite dal Regno unito (per esempio i missili Storm Shadow). Poi, il 10 maggio, è iniziata l’offensiva russa contro Kharkiv, la seconda città del paese per popolazione, posta a pochi chilometri dai confini russi. La sua vicinanza ha permesso ai Russi di sfruttare a proprio vantaggio i divieti occidentali per ammassare truppe e armamenti al sicuro dietro ai propri confini, prima di colpire l’Ucraina. La visita e le parole di Blinken arrivano a pochi giorni dall’inizio dell’offensiva, facendo pensare che siano state proprio le conseguenze di quest’ultima a fargli cambiare idea.
Nei giorni successivi, altri paesi europei si sono accodati. Il presidente della Lettonia, Edgars Rinkevics, ha affermato che sono stati i divieti occidentali a permettere le recenti avanzate russe nella regione di Kharkiv. La Svezia, invece, si è accodata al Regno Unito, dando il permesso alle truppe ucraine di usare le proprie armi anche oltre i confini, nel rispetto del diritto bellico. Anche Emmanuel Macron, presidente francese, si è unito al dibattito: dopo che in passato la Francia si era allineata alle decisioni americane, ora Macron si è detto favorevole all’utilizzo di armi occidentali contro le postazioni russe da cui partono i missili che colpiscono l’Ucraina. Lunedì anche l’assemblea parlamentare della NATO ha adottato una risoluzione che invita gli stati membri a togliere le proprie restrizioni.
Negli Stati Uniti, però, non si è ancora arrivati a nuove decisioni. Dopo Blinken, è stato il Segretario della Difesa Lloyd J. Austin a riaffermare che l’uso delle armi americane debba avvenire solo all’interno dei confini ucraini, ammettendo però che “la dinamica aerea è un po’ diversa”. È un riferimento agli attacchi a lungo raggio fatti dall’aviazione russa: poiché questa, utilizzando bombe plananti con un raggio di decine di chilometri, può rilasciare gli ordigni dal territorio russo e raggiungere comunque l’Ucraina, potrebbe essere legittimo per l’antiaerea ucraina colpire i velivoli russi nel loro territorio. Austin però non ha voluto dare ulteriori informazioni, segno di come questo argomento sia ancora discusso all’interno dell’amministrazione. Un altro indizio arriva dal portavoce del Consiglio di Sicurezza Nazionale della Casa Bianca John Kirby, che il 28 maggio ha affermato che non ci fossero cambiamenti nella politica degli Stati Uniti sull’uso delle proprie armi su obiettivi in Russia.
Ciò nonostante, la discussione non è ancora finita. Nei prossimi giorni potremo aspettarci ulteriori decisioni, anche in seguito alle proposte francesi di inviare truppe NATO in Ucraina, se quest’ultima dovesse richiederlo. Se si riuscirà a trovare un accordo a riguardo, bisognerà valutare come proteggere questi soldati dagli attacchi russi, ed eventualmente come reagire. Potrebbe attenderci qualche novità.
(* Laureato magistrale in Storia all’Università Ca’ Foscari di Venezia, si occupa di storia e di politica internazionale. Collabora con ‘Jefferson’ e lavora come tirocinante presso l’Institute for the Danube Region and Central Europe – IDM)