di ALBERTO BRUZZONE
Chi si sarebbe mai immaginato un mondo senza abbracci? Un mondo senza potersi toccare? Un mondo dove si è obbligati a rimanere a distanza, a meno che non si sia conviventi? Eppure, è quanto succede ormai da un anno a questa parte, ad eccezione di una breve parentesi estiva.
Come detto già altre volte, si parla moltissimo delle conseguenze economiche legate al Covid-19, mentre si parla molto meno delle conseguenze psicologiche. Che però ci sono e sono altrettanto gravi, per quanto non siano ancora emerse in tutta la loro drammaticità.
Nel mentre, però, anche in questo campo si susseguono studi e statistiche. E che cosa ha cambiato di più la nostra vita dallo scorso marzo? La mancanza di un contatto fisico. È un quadro che viene ben raccontato da un articolo pubblicato domenica scorsa, 24 gennaio, sul ‘The Guardian’, a firma di Eleanor Morgan (leggi qui).
Attraverso testimonianze di studiosi, esperti e di persone che vivono da sole, viene ricostruita e ridisegnata questa nostra ‘nuova società’, una società molto più fredda e obbligatoriamente distaccata, e ci si domanda quali conseguenze tutto ciò potrà avere a lungo termine e se tutto tornerà mai come prima.
L’immagine data da una delle intervistate è chiarissima: “La necessità del tatto esiste al di sotto dell’orizzonte della coscienza – spiega Katerina Fotopoulou, professoressa di Neuroscienze psicodinamiche all’University College di Londra – Prima della nascita, quando il liquido amniotico nell’utero vortica intorno a noi e il sistema nervoso fetale può distinguere il nostro corpo da quello di nostra madre, il nostro intero concetto di sé è radicato nel contatto. Il corpo umano ha costruito tutti i suoi modelli basati sul tocco. Dipendiamo completamente dal tocco, per soddisfare i bisogni fondamentali del corpo. Si può fare poco senza toccare”.
‘Piazza Levante’ ne parla in questo numero con Alessandra Lancellotti (nella foto a fianco), psicologa e psicoterapeuta genovese tra le più stimate, nonché autrice del libro ‘Cambiamente – Le proposte di una psicoanalista e life coach’ (Itaca Edizioni), dove si parla, attraverso l’esempio di numerosi casi clinici e aziendali, di come gestire e superare i sintomi di malessere di persone, famiglie e imprese.
“È una pubblicazione del 2017 – afferma – ma è utilissima anche in tempi di pandemia, perché contiene delle indicazioni comportamentali importanti, legate appunto anche alla mancanza forzata di contatti fisici”.
Secondo Alessandra Lancellotti, dati alla mano, “la mancanza di relazioni stabili e affettive, in questo ultimo anno, ha fatto aumentare i sintomi legati alla depressione del 77%. I primi segnali sono abulia, cioè mancanza di volontà di fare qualcosa, e i problemi di natura alimentare, come anoressia o bulimia. Più queste situazioni sfociano in depressione, più le difese mentali del nostro corpo ne risentono e, contestualmente, si abbassano anche le difese fisiche. Si comincia a manifestare tosse, raffreddore, così come artrosi e artrite, dovute anche e soprattutto alla prolungata inattività”.
Gli psicologi parlano inoltre di ‘claustrofilia’, ovvero di quella tendenza morbosa a vivere appartati o a chiudersi in se stessi, quella che comunemente viene definita anche ‘sindrome della capanna’: “Questi casi – prosegue Alessandra Lancellotti – sono aumentati nella popolazione del 45% rispetto all’anno precedente. Non si ha più voglia di uscire di casa, anche perché le occasioni di svago sono pochissime. La ‘claustrofilia’ riguarda soprattutto i bambini, i ragazzi e le persone con più di sessant’anni. I ragazzi, già costretti alla didattica a distanza, anche al pomeriggio tendono a rimanere a casa, in molti casi non vedono i compagni da parecchio tempo. Si rifugiano nelle loro camerette. Quanto agli over 60, la classica frase è ‘chi me lo fa fare di uscire?’, visto che si può andare praticamente solo a far la spesa. La mancanza di voglia di uscire è molto grave, perché coincide con la mancanza di voler fare qualcosa di bello che prima si faceva. E tutto questo può sfociare in depressione”.
La psicologa non ha dubbi: “Speriamo che con la campagna di vaccinazione possa succedere qualcosa di miracoloso, ma sarà molto difficile che tutto ritorni come prima in tempi brevi, a livello psicologico. Non è detto, infatti, che ragazzi e anziani abbiano voglia di ripartire subito. La loro mente ormai si è abituata così, si è creato un solco che sarà veramente difficile da superare”.
Il ‘The Guardian’ cita, al riguardo, il parere del professor Robin Dunbar, psicologo evolutivo presso l’Università di Oxford: “Sarà diverso tra le persone, probabilmente in base alla durata della permanenza da sole, e potrebbe esserci un periodo di goffaggine e rinegoziazione. Ma ci siamo evoluti per adattarci”.
In ogni caso, che cosa si può fare per gestire questa situazione, almeno sino a quando perdurerà l’emergenza sanitaria? Alessandra Lancellotti indica alcune soluzioni: “Anzitutto uscire. Anche senza motivo. Per esempio per andare a camminare. Camminare è il più grande antidepressivo naturale che ci sia, perché distende l’animo, perché aiuta a staccare la spina, perché consente la produzione di ormoni che ci fanno stare bene, anche soltanto nello stare di fronte a un panorama. Poi, cerchiamo di fare delle attività che prima non siamo mai riusciti a fare, magari perché presi dalla vita troppo frenetica. Qualche esempio? Mettere a posto le vecchie fotografie, mettere a posto gli armadi: cerchiamo di impiegare il nostro tempo, in piccole e grandi incombenze quotidiane, cerchiamo di non svegliarci mai la mattina e dire ‘e ora che cosa faccio?’. Se non facciamo così, diventeremo dei feti nelle nostre case e questo è un aspetto assai tragico”.
La psicologa e psicoterapeuta ammette che “sono arrivate parecchie richieste di aiuto in più, in questi ultimi mesi, sia dagli anziani che dai ragazzi. Solo che nel primo caso ci sono alcune difficoltà in più nel riuscire a collegarsi da remoto, e anche questo aspetto non è secondario nel far sentire le persone sempre più isolate: intendo la mancanza di dimestichezza con la tecnologia. In generale, in tanti riferiscono che si era usciti pieni di speranze, dopo il lockdown di marzo e aprile, ma poi queste nuove ondate autunnali e invernali sono state una vera batosta. E adesso si vive molto di più nella paura che queste difficoltà possano continuare, perché non se ne vede mai la fine”.
È un fatto acclarato come gli animali domestici possano rappresentare un fatto terapeutico. Anche Alessandra Lancellotti lo conferma: “È verissimo”. E lo conferma pure l’Enpa, ovvero l’Ente Nazionale per la Protezione degli Animali: l’associazione ha trovato casa in Italia, nel 2020, a 8100 cani e 9500 gatti, oltre il 15% in più rispetto al 2019, per un totale di 17.600 animali domestici.
“Questo forse – ha commentato Carla Rocchi, presidente nazionale di Enpa – è il piccolo miracolo di questa pandemia. Un miracolo che ha visto protagonisti gli animali presenti nelle nostre case, che con il loro affetto e amore incondizionato ci hanno aiutato in questo momento difficile. Ma va evidenziato anche l’insostituibile ruolo dei volontari, i quali in pieno lockdown hanno incrementato il loro impegno”.
L’aspetto importante, però, è che ci sia la stessa consapevolezza anche quando la pandemia sarà finita, verso gli animali e verso gli umani. Ripartiremo piano, si sente dire da più parti. Ma il messaggio resta improntato all’ottimismo: comunque vada, ripartiremo.