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di GIULIA FAIELLA *
Donald Trump continua a far parlare di sé, questa volta con una serie di iniziative volte a rilanciare la produzione nazionale di carbone. L’8 aprile ha infatti firmato quattro ordini esecutivi che mirano a rafforzare la cosiddetta “energy dominance”, un concetto nato proprio durante la sua amministrazione nel 2017. Tale espressione fu introdotta per la prima volta durante la Energy Week di giugno di quell’anno da Rick Perry, allora Segretario dell’Energia, e da altri funzionari di alto livello. In quell’occasione, il tycoon precisò che gli Stati Uniti non si sarebbero più accontentati della indipendenza energetica – intesa principalmente come riduzione dell’indipendenza dagli idrocarburi esteri – ma avrebbero puntato a dominare il mercato globale dell’energia con un approccio aggressivo e strategico, con l’obiettivo di assumere un ruolo di leader globali nel settore energetico.
A conferma di questa visione, il 14 febbraio scorso, Trump ha creato il National Energy Dominance Council, presieduto dal Segretario degli Interni Doug Burgum e dal Segretario dell’Energia Chris Wright. Il Consiglio, è nato con l’obiettivo di snellire i processi autorizzativi per i progetti energetici, coordinare le politiche tra agenzie federali e partner industriali ed elaborare una strategia nazionale di energy dominance.
Non sorprende, quindi, che già a gennaio 2025, al World Economic Forum di Davos, Trump avesse ribadito la sua intenzione di puntare sul carbone come fonte energetica affidabile, affermando “Nothing can destroy coal. Not the weather, not a bomb – nothing.”
Negli Stati Uniti, la chiusura delle centrali, derivava principalmente dalla perdita di quote di mercato del carbone a favore del gas naturale, a causa delle sue elevate emissioni di anidride carbonica. Secondo i dati dell’Energy Information Administration (Eia), nel 2023, solo il 16% della produzione di elettricità negli Stati Uniti proveniva dalla combustione di carbone, in netto calo rispetto al 51% registrato nel 2001. Lo stesso anno, il consumo totale di carbone negli Stati Uniti è sceso a 386 milioni di tonnellate, il livello più basso dal 1963.
A giustificazione degli ordini esecutivi, Trump cita la crescente domanda di elettricità legata all’uso dell’Intelligenza artificiale, delle auto elettriche e delle cripto valute. Questa strategia rappresenta un netto cambio di rotta rispetto alle politiche verdi dell’amministrazione Biden, che, con Inflation Reduction Act (IRA) del 2022, aveva promosso la transizione verde degli Stati Uniti, anche attirando ingenti investimenti privati nel settore delle rinnovabili.
Di fatto, Donald Trump pare ignorare totalmente l’evoluzione del mercato energetico degli ultimi decenni, sfruttando l’emergenza energetica nazionale da lui stesso evocata e ricorrendo ai poteri speciali previsti dal Defense Production Act del 1950.
Il piano di rilancio dell’industria carbonifera prevede: un blocco biennale delle chiusure di centrali a carbone, anche se obsolete o altamente inquinanti, e la revoca della moratoria sulle concessioni minerarie su terre federali, introdotta dall’ex presidente Barack Obama. Questa moratoria, era parte integrante del Clean Power Plan, una strategia più ampia volta a ridurre l’uso del carbone e a promuovere una transizione verso fonti più pulite. Le misure comprendono inoltre un iter accelerato per il rilascio di nuovi permessi di estrazione, la riclassificazione del carbone metallurgico come “minerale critico”, e modifiche ai criteri di valutazione ambientale previsti dalla NEPA (National Environmental Policy Act), che dovrebbero, in teoria, accelerare le autorizzazioni. Infine il piano prevede l’istituzione di un fondo su ampia scala per finanziare tecnologie legate al carbone, come la cattura e lo stoccaggio della CO₂ (CCS), e un mandato al Dipartimento della Giustizia per contrastare normative statali come quelle del Vermont e di New York, che impongono alle aziende di combustibili fossili di contribuire finanziariamente ai danni ambientali causati dalle emissioni di gas serra e che, secondo il governo federale, eccedono l’autorità costituzionale o statutaria. In particolare, l’ordine prende di mira le cosiddette leggi “climate superfund”
Ovviamente non sono mancate le reazioni da parte degli Stati federali: quelli a forte vocazione mineraria come la West Virginia hanno accolto con favore i nuovi ordini esecutivi. Al contrario, i governatori degli Stati a guida democratica, come Kathy Hochul (New York) e Michelle Lujan Grisham (New Mexico), hanno annunciato ricorsi legali.
Anche il mondo ambientalista ha manifestato il proprio disappunto. Kit Kennedy, direttrice del programma energetico presso il Natural Resources Defense Council, ha commentato sarcasticamente “Cosa c’è dopo, un mandato che gli americani devono fare i pendolari a cavallo e in calesse?”.
La battaglia legale è solo all’inizio. Non resta che vedere se Trump sarà disposto a fare un passo indietro oppure se continuerà sulla sua strada.
(* Studentessa in Scienze Internazionali e Diplomatiche presso l’Alma Mater Studiorum di Bologna, collaboratrice di Jefferson-Lettere sull’America, membro del team Hikma, associazione studentesca che cura un festival annuale di politica internazionale)