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di ANDREA MURATORE *
Tony Blinken for President? L’attivismo del segretario di Stato Usa nel contesto della crisi mediorientale ha riacceso da più parti l’idea che il Segretario di Stato Usa possa essere il vero ‘delfino’ di Joe Biden. Ma è giusto dare a Cesare quel che è di Cesare: Blinken è il volto visibile e di prima linea di una strategia fondata sul tentativo di coniugare la difesa della leadership Usa, passante per il sostegno agli alleati, con il rifiuto di qualsiasi fuga in avanti che possa voler segnalare un assenso Usa al tracollo dell’ordine internazionale.
In altre parole? Sì a puntellare Israele oggi come si è sostenuta l’Ucraina e si sosterrebbe Taiwan in caso di guerra. Ma no all’idea di guerre ed escalation. Blinken ha fatto un metaforico giro delle sette chiese, dal Golfo alla Giordania, dall’Egitto alla stessa Gerusalemme, per delineare la linea americana: via libera all’attacco israeliano contro Hamas ma invito a Benjamin Netanyahu a muoversi cum grano salis nella gestione politica della crisi, aprendo alla restituzione di Gaza all’Autorità Nazionale Palestinese. E, en passant, rifiuto totale di unire all’attacco a Gaza un’escalation in Cisgiordania.
Non è protagonismo, ma pragmatismo. Pensare al protagonismo lascerebbe, malevolmente, presagire che Blinken si muova per, essenzialmente, mettersi in mostra. Ma da Segretario di Stato è uno dei vertici del triangolo strategico dell’amministrazione Biden, che con William Burns, direttore della Cia, e Jake Sullivan, presidente National Security Council, puntella la grand strategy americana, tornata a essere organica sui vari fronti.
Se Sullivan è l’uomo dell’elaborazione strategica e Burns il garante del nesso tra informazione e azione, Blinken è l’operativo e l’attuatore delle strategie e il regista tattico della loro sostenibilità. Lo si può capire dai viaggi mediorientali ma anche dalla sua visita a Pechino nel mese di giugno alla corte di Xi Jinpng, da lui incontrato. Un viaggio che aveva lo scopo di rimettere in sesto quella che stava diventando una relazione pericolosamente acrimoniosa. Blinken ha affermato che “l’impegno stesso è importante per rendere chiaro il nostro intento, ciò che stiamo facendo e non facendo”, ed evitare così un conflitto reciprocamente disastroso. Sottolineando l’esistenza di “una chiara domanda verso Cina e Usa” da parte di una regione che non vuole una guerra economicamente devastante, ha riaffermato l’idea del multilateralismo. Contenimento dei rivali sì, interventismo sfrenato no: l’approccio pragmatico di Biden è reso in parole e atti da Blinken. Il cui curriculum è, lo ricordiamo, tecnico e di apparato. Il diplomatico di New York, classe 1962, è entrato nel 1994 nello staff del National Security Council e nell’ultimo trentennio si è occupato di tali materie, fino al 2001 nel novero del Nsc, dal 2001 al 2002 come fellow del Center for Strategic and International Studies (CSIS) dal 2001 al 2002, poi fino al 2008 come direttore del personale democratico della commissione Esteri del Senato. In seno alla quale emerse il rapporto con Joe Biden di cui fu, dal 2008 al 2015, consigliere per la sicurezza nazionale ai tempi della vicepresidenza nell’amministrazione Obama. Un curriculum che fa di Blinken un “tecnico”, figura poco avvezza a cimentarsi con le grandi competizioni elettorali, come il caso passato di Henry Kissinger testimonia. Le figure più assimilabili a Blinken nell’ultimo trentennio sono quelle di Madeleine Albright e Condoleeza Rice, che avevano un profilo tecnico prevalente sulla postura politico-elettoralistica nel loro approccio, pur essendo state a loro modo interpreti delle linee di Bill Cinton e George W. Bush. Con Blinken, dopo una sfilza di segretari politici, è tornata in campo la vecchia, fedele arte della diplomazia Usa. Tessitrice delle basi della leadership americana. Un po’ hard, un po’ soft power. In un concetto: smart power. L’unico mix necessario per affrontare in maniera positiva i flutti di quest’epoca complessa.
(* analista geopolitico ed economico)
Andrea Muratore, bresciano classe 1994, si è formato studiando alla Facoltà di Scienze Politiche, Economiche e Sociali della Statale di Milano. Dopo la laurea triennale in Economia e Management nel 2017 ha conseguito la laurea magistrale in Economics and Political Science nel 2019. Attualmente è analista geopolitico ed economico per ‘Inside Over’ e svolge attività di ricerca presso il CISINT – Centro Italiano di Strategia ed Intelligence e il centro studi Osservatorio Globalizzazione.