di ANTONIO GOZZI
Ogni volta che scrivo della necessità che il Tigullio faccia la sua battaglia per affermare una propria identità e una propria autonomia rispetto a Genova e quindi rivendichi risorse, funzioni, servizi che nel tempo il capoluogo gli ha sottratto, ottengo reazioni opposte.
Da una parte ricevo un grande e trasversale consenso che testimonia quanto il tema sia sentito e quanto ci sia bisogno, fuori da ogni facile populismo, di ragionare su ciò che è successo negli ultimi vent’anni, per capirne le ragioni e per progettare il futuro.
Dall’altra mi raggiungono rimostranze e reprimende, soprattutto da parte di esponenti importanti dell’establishment genovese e dei loro corifei locali, che negano il fatto e che mi accusano di riprendere lo slogan di ‘Genova matrigna’ per non meglio identificate ragioni o mire politiche.
Non faccio politica ormai da molti decenni, e non ho intenzione di farla; ma ciò non significa che come uomo di economia e come amante della mia terra io non possa esprimere opinioni, e se del caso critiche, riguardo ad una deriva che è stata inesorabile e che si ripresenta ogni giorno con casi anche eclatanti che solo chi non vuol vedere ignora.
Per spiegare meglio il mio pensiero riprendo i temi di un editoriale dallo stesso titolo risalente a più di un anno fa, nel quale si svolgevano una serie di considerazioni relative all’identità e alle specificità del Tigullio, molto diverse da quelle del capoluogo. Ne ricordavo la mortificazione, conseguenza dello sciagurato inserimento della nostra terra nell’Area Metropolitana genovese, e rivendicavo la necessità di riprendere un discorso fatto anche di studi, di analisi, di cifre volto a sottolineare la sproporzione di risorse riversate sul capoluogo rispetto a quelle messe a disposizione delle altre parti di Liguria, tra cui anche il Tigullio.
Il mio ragionamento si concludeva allora con l’affermazione che il mondo dopo il covid è cambiato e che, a seguito di questo cambiamento, il decentramento di ruoli e di funzioni sul territorio è tornato ad essere un grande valore perché l’ideologia delle concentrazioni, degli accorpamenti, dei presunti risparmi connessi, ha dimostrato e continua a dimostrare tutti i suoi limiti e rischi.
Quella che ho chiamato ‘l’ideologia degli accorpamenti e delle concentrazioni’ è stata usata in questi anni per giustificare decisioni politiche e organizzative che hanno depauperato il Tigullio di servizi e centri decisionali, finiti tutti nel capoluogo senza beneficio alcuno né in termini di riduzione dei costi né in termini di miglioramento nell’efficienza e nella qualità dei servizi.
Questi accorpamenti e soppressioni hanno penalizzato le popolazioni della costa ma soprattutto quelle dell’entroterra, causando un ulteriore peggioramento della qualità della vita di chi con coraggio e fatica antropizza il territorio in condizioni di disagio e di difficoltà; da qui la mia definizione dei sindaci dell’entroterra come ‘Sindaci eroi’.
Gli esempi di questo processo e declino del ruolo e delle funzioni del Tigullio sono sotto gli occhi di tutti.
Innanzitutto, la soppressione del Tribunale di Chiavari, poi la scomparsa dell’azienda di trasporto pubblico del Tigullio accorpata alla genovese AMT, la pratica soppressione degli Uffici dell’Agenzia delle Entrate e della Commissione Tributaria, il ridimensionamento degli uffici dell’INPS, la chiusura degli uffici zonali dell’Enel e potremmo continuare con altri servizi che se ne sono andati soprattutto dalla città di Chiavari che ha ormai perso totalmente il ruolo di capoluogo del Tigullio.
Ricorrentemente si ascoltano voci sulla soppressione mediante accorpamento della nostra ASL 4. Solo la Curia vescovile resiste anche se su di essa tempo fa si sono udite voci di soppressione.
La scomparsa di servizi e centri direzionali impoverisce il territorio, lo trasforma in un’anonima periferia, peggiora la qualità della vita dei residenti, obbliga sempre di più i giovani a cercare lavoro altrove e conseguentemente ad abbandonare il Tigullio, che rischia di ridursi per loro ad un luogo dove tornare per il fine settimana, o per le vacanze estive o per Natale.
Rispetto a trent’anni fa la situazione è peggiorata, e ciò si deve in gran parte all’inserimento del Tigullio, che alla metà degli anni 80 aspirava a diventare Provincia, nell’area Metropolitana genovese creata dalla pessima legge Del Rio. Si è spento ogni progetto di programmazione e sviluppo autonomo del nostro territorio e si sono affievolite le forme di collaborazione e di coordinamento tra i vari Comuni.
Genova è investita da una montagna di finanziamenti per opere infrastrutturali. Si parla di più di 8 miliardi di euro da spendere nei prossimi anni.
Pur comprendendo l’importanza del porto di Genova e conseguentemente del capoluogo, c’è una così evidente sproporzione di risorse che la tesi della residualità del Tigullio risulta evidente.
L’unico stanziamento rilevante, sia pure in coabitazione con il tunnel sotto il porto di Genova, è quello per il tunnel della Fontanabuona, priorità assoluta per il nostro entroterra ma utile anche a Genova come primo tratto della gronda di levante.
Vedremo se questa opera verrà davvero realizzata o se, essendo il finanziamento comune probabilmente non sufficiente per tutte e due le opere previste, ancora una volta verrà privilegiata la realizzazione del tunnel genovese che obiettivamente per il capoluogo appare un lusso.
Si dirà: Genova è riuscita a prendere tanti finanziamenti per la sua capacità di costruire nuove idee di crescita e di fare progetti finanziabili. Vero. L’amministrazione Bucci si è certamente distinta per questa capacità, superando il terribile immobilismo del passato.
Ma per il Tigullio chi li deve fare i progetti? I singoli Comuni non hanno mezzi e strutture. E allora l’unico Ente con questa capacità dovrebbe proprio essere la città metropolitana che nei confronti del Tigullio ha mostrato e mostra invece scarso interesse.
Abbiamo detto, e lo ripetiamo, che se Bucci avesse messo sul Tigullio, che pure fa parte della sua Città Metropolitana, un decimo dell’attenzione e degli sforzi che ha dedicato al futuro del capoluogo le cose sarebbero molto diverse. Ma così non è stato: del resto è nel capoluogo che Bucci raccoglie i voti, non certo nel Tigullio dove i cittadini non hanno facoltà né di votarlo né di non votarlo.
Ci sarebbe davvero un gran bisogno di una riflessione sulla sperequazione di risorse tra Genova e il Tigullio, e su quali siano gli assi da privilegiare per lo sviluppo della nostra area. Su questi assi bisognerebbe sviluppare un’iniziativa forte e coordinata tra enti, categorie economiche e sociali, istituzioni culturali, popolo.
Un movimento dal basso che rivendicasse un futuro per le nuove generazioni che oggi, come detto, sono costrette ad abbandonare il Tigullio per mancanza di opportunità e di lavoro.
Esistono le condizioni per costruire, sostenere, far crescere un movimento civico con questa vocazione?
Bisognerebbe che la politica, la buona politica, scendesse in campo e guidasse questa riscossa. Purtroppo, fino ad oggi non è stato così.
Pensate che il Tigullio esprime ben 5 consiglieri regionali su 40, 3 di maggioranza e 2 di opposizione. Una bella pattuglia, se avesse un minimo di capacità, al di là ed oltre gli schieramenti, di assumere iniziative comuni nell’interesse del Tigullio. Purtroppo finora non è stato così, e le grandi questioni: piana dell’Entella, depuratore, riapertura del Tribunale del Levante, tutela delle popolazioni dell’entroterra, sanità non vedono alcuna iniziativa che non sia guidata, talvolta imposta, dalla Superba.
Tigullio svegliati, non c’è più tempo. Viva il Tigullio libero!