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Giovedì, 8 giugno 2023 - Numero 273

Teatro Cantero, sul palco interrogativi e contraddizioni

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Collegandosi al sito del Teatro Cinema Cantero di Chiavari, si legge: “Il teatro cinema Cantero chiude e augura a tutti un sereno 2018”.
A scrivere questo triste (e temuto) annuncio è il direttore artistico e amministratore delegato Pier Enrico Dall’Orso.  Tuttavia, qual è il male che ha colpito una delle più storiche sale di prosa e musica del panorama ligure?  Che cosa rende questa scritta più somigliante a uno schiaffo che ad un avviso?  Perché un congedo stilato senza il sollievo della buona medicina, ma con il tono doloroso della chirurgia? E cosa, verosimilmente, dovremmo leggere su un eventuale cartello, affisso davanti alla prestigiosa vetrata del Teatro Cantero di Chiavari? Occorre per questo doverosamente disunire il soggetto dalla sceneggiatura.
Il passato
Il soggetto o tema, a quanto riportano i testi, racconta che il teatro fu inaugurato ufficiosamente il 15 gennaio 1931 con la proiezione del film muto ‘Il bacio’,  con Greta Garbo, mentre il 15 febbraio dello stesso anno ebbe luogo il Primo Grande Veglione Mascherato, essendo pervenuta  nella stessa mattinata l’autorizzazione all’agibilità. Il Teatro continuò ad operare come cinema, a quanto risulta ininterrottamente, passando dal muto al sonoro, alla proiezione a colori, fino a giungere nel 2010 alla proiezione in 3D. Oltre a ciò, fu luogo di innumerevoli spettacoli del repertorio operistico e drammaturgico, fino anche a spettacoli sportivi come incontri di boxe. Rievocando brevemente alcuni eventi: la prima opera rappresentata fu la ‘Tosca’, il 15 maggio 1937. Un ‘Barbiere di Siviglia’ nel 1939, con la presenza di Lina Pagliughi; diverse opere eseguite dalla compagnia del Carlo Felice di Genova, durante la guerra; numerosi concerti sinfonici e da camera; molte commedie come ‘I Rusteghi’ e ‘La locandiera’ con Elsa Merlini (nel 1950), un  concerto lirico con Fiorenza Cossotto nel 1961 e ‘Le Nozze di Figaro’ nel 1985, per non parlare di Mina con Giorgio Gaber , Ornella Vanoni, Monica Guerritore ed altri nomi di spicco dalla musica e del teatro italiano.  Non è impreciso affermare che ad oggi questo monumento rappresenta l’unica struttura teatrale di  rilievo dell’area che va da Genova a La Spezia, con la sola eccezione del Teatro Sociale di Camogli, rinato il 23 dicembre 2016, dopo il suo pieno recupero e adeguamento strutturale, grazie all’impegno, durato quattordici anni,  della Fondazione Teatro Sociale di Camogli.
Il cinema
Va ricordato che il cinema, all’epoca, era un genere di spettacolo in straordinaria crescita, con le prime proiezioni già alla fine del XIX secolo. La prima proiezione della storia avvenne il 28 dicembre 1895 a Parigi, grazie ad un’invenzione dei fratelli Louis ed August Lumière. A Genova la prima proiezione, sempre dei film dei Lumière, avvenne già il 30 maggio 1896 alla Sala Sivori, mentre a Chiavari giunse nel 1906. Le tappe del cambiamento portarono al sonoro nel 1927.  L’esperienza dei Cantero in proposito, che nell’area del Tigullio furono i primi imprenditori nel settore, giustificava l’ingente investimento. Va rimarcato che l’attività cinematografica era quindi il motore principale dell’operazione, mentre l’attività teatrale, all’epoca, non garantiva le medesime garanzie di buon investimento. Occorre quindi ammettere che grazie alla lungimiranza dei lontani Cantero il progetto cinema associato al teatro ha permesso, sia pure con qualche sussulto iniziato nel 1993, la prosecuzione di un’attività economicamente adeguata, o quanto meno non in perdita, mentre oggi, a detta della proprietà, questi utili non sarebbero più realizzabili, anzi si sarebbe aperta la prospettiva di un deficit.
L’inizio della fine
E qui parte la sceneggiatura. L’ottobre scorso il direttore artistico e amministratore, col nodo alla gola, spiega in una lunga intervista le ragioni della resa: “Questi anni in cui ho scelto di resistere e rimanere aperto, non finanziato e indipendente, hanno creato un deficit troppo profondo per essere sanato con l’attività stessa. A questo si aggiunge l’improrogabile istanza di adeguamento e messa in sicurezza della struttura, cosa che richiede ingenti investimenti ai quali la proprietà non è in grado di far fronte”. Spiega ancora l’amministratore di aver più e più volte inseguito soluzioni alternative alla chiusura, cercando inutilmente il sostegno della pubblica amministrazione, sia a livello comunale che sovra comunale.  La resa è dunque inevitabile, saranno precluse alla città e al territorio le amate mura del Cantero. Risultato: il prossimo 31 dicembre 2017, si chiude! Il film di Natale sarà l’ultimo evento che segnerà la parola fine a un’esperienza culturale lunga 86 anni. La città inizia a interrogarsi sulla destinazione del teatro, dividendosi nella legittima confusione tra dimensione pubblica e privata della struttura. I chiavaresi presi dal desiderio di inseguire le teorie collettive, ma anche pervasi da un profondo bisogno di recuperare le ragioni della comunità, rilanciano la domanda: “È possibile immaginare un altro modo in cui il teatro possa continuare a vivere in questa città e viceversa? Oppure è giocoforza accettare che il privato bene sia più laicamente destinato ad altro utilizzo?”.
La città si mobilita
E sono, a questo punto, diverse le anime che si mobilitano in città e non solo. Quella che vuole che la proprietà del  teatro, avendo incamerato gli utili che la struttura ha prodotto negli anni, risponda alla logica del ‘Ma noi cosa c’entriamo’: l’altra che invoca il senso sociale, e si appella all’amministrazione e alle amministrazioni per la salvaguardia di un  bene comune. E un’altra ancora, che affida la soluzione alla benevolenza e lungimiranza di alcuni imprenditori. È in questo momento, che ha del prodigioso, che la città, stimolata da alcuni attivi e appassionati cittadini, sale sul gigantesco palcoscenico, fenomeno di costume di altra epoca, forse di altri mondi e, finalmente discute, anche se con diverse opinioni, sull’urgenza di salvare ‘il Cantero’. L’appello viene raccolto da più parti. L’amministrazione chiavarese dichiara di essere disponibile a fare la propria parte, pur considerando il limite di trovarsi di fronte a una proprietà privata, di cui però riconosce la valenza di servizio per la comunità. E promuove un incontro interlocutorio con la proprietà, con Regione Liguria e funzionari di riferimento. Allo stesso modo, alcuni amministratori dei comuni limitrofi si dichiarano sensibili alla problematica evidenziata e mostrano la volontà di ricercare soluzioni praticabili e condivisibili con l’intero territorio del Levante, stimolando a loro volta un tavolo di confronto con la proprietà.
Più semplice è la valutazione da punto di vista di alcuni imprenditori, che dichiarano pubblicamente la loro disponibilità ad intervenire, finanziando gli interventi urgenti. Dunque privati investitori, che sulla scia di analoghe iniziative a livello nazionale si sarebbero palesati in incontri con l’amministratore delegato, per poter leggere le carte e considerare conseguenti interventi. Di questi incontri in città si favoleggia e, da alcune indiscrezioni, filtrano nomi di primo piano dell’imprenditoria legati al territorio, ma nulla viene confermato dai diretti interessati.
Il tempo stringe
Resta dunque sul tavolo la questione. È chiaro che in pochi mesi non si possa elaborare una risposta finale a un tema che si pone in maniera così importante. D’altronde però i tempi non sono dilatabili all’infinito, anzi. E ragionare intorno a questioni complesse è un esercizio che si dovrebbe fare, almeno per  provare a dipanare alcuni nodi che qui sembrano sempre più intricati. E da qui i primi sconcertanti segnali. In questi giorni, Chiavari si prepara ad ospitare il Festival della Parola, l’evento che richiama in città migliaia di persone e che nelle scorse edizioni ha avuto nel Cantero il luogo di naturale aggregazione e il più prezioso punto di incontro e confronto. L’amministrazione cittadina si è dovuta attivare per dotare la manifestazione di un luogo sostitutivo al teatro. Il risultato: per non mettere a rischio la rassegna, ‘il trasloco’ sarà in un tendone, un luogo mobile in cui cercare di ricreare la magia di un palco. Tutto questo perché attualmente a Chiavari il teatro non esiste più. Non esiste perché forse è appartenuto ad un’altra città, o forse a una città che sta scomparendo. E con quella città anche questo esemplare Teatro, nato  in un secolo che si è concesso il lusso di essere ottimista e positivo, tanto da concepire spazi interni di una bellezza incomprensibile agli occhi della contemporaneità dietro una facciata incognita e bonaria. Una facciata che in qualche modo corrisponde al carattere del ‘chiavarese’, che in differenti sue rappresentazioni, indossando il pastrano o il frac, la pelliccia o il parka, per lunghi decenni ne ha varcato l’ingresso, entrando a godersi i fasti dello spettacolo, dei palchi e dei velluti e, perché no,  la rappresentazione della comunità cittadina a se stessa. Oggi tutto questo sembra diventato inservibile, inutile, superfluo. È certo che non esiste un solo chiavarese che non ci sia passato davanti almeno cento volte; c’è passato, ma non l’ha visto. Il teatro è unico, ma non esiste. Ci sono cose nella città che non vedi più. Non perché sono piccole, a volte sono enormi. Cose che in tempo di crisi si cancellano, un sacco di cose che meriterebbero di esserci, di conservarsi, di resistere. Perché la crisi ci impone di rinunciare all’inutile, ma a volte porta via anche molto di buono, di utile, di bello. Comunque, ecco, il vecchio Teatro Cantero ha chiuso e non per questo se ne aprirà uno nuovo. Se resterà chiuso a lungo, quasi certamente non riaprirà più e svanirà nel nulla in una manciata di mesi.  E al suo posto non ci sarà più niente di cui andar fieri. Come è già capitato, come continua a succedere. Perché se ne contano a decine, centinaia di scoraggianti casi del genere in ogni città, centri storici. Come non si contano più le serrande abbassate e mai più risollevate, le vetrine vuote e buie, con  le scritte “affittasi” ormai sbiadite. E anche nobili edifici asserviti a centri commerciali o comodi e desolanti luoghi dove parcheggiare.

MARISA SPINA

 

 

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