di ALBERTO BRUZZONE
“A marzo ci incontreremo con il sindaco di Chiavari per definire il fondo strategico con il quale finanzieremo la costruzione dello scolmatore per il torrente Rupinaro. Penso che, nell’arco di dodici mesi, potrà essere impostato lo studio”.
Lunedì scorso, nell’inaugurare il point della sua candidata Ilaria Cavo in corso Garibaldi (in quella che fu la sede di Avanti Chiavari alle ultime elezioni comunali), il presidente della Regione Liguria, Giovanni Toti, è tornato a parlare della messa in sicurezza dal rischio idrogeologico del secondo corso d’acqua classificato come più pericoloso (dopo il Fereggiano di Genova) in tutta la regione.
A far eco alle parole di Toti, pure quelle del sindaco, Marco Di Capua, che si è detto disposto a cofinanziare lo scolmatore con risorse locali: “I soldi per lo studio di fattibilità ci sono”.
In uno dei nostri ultimi articoli, abbiamo provato a mettere un po’ di ordine, in merito alla messa in sicurezza del Rupinaro e ai tre lotti di lavori previsti. Oggi il focus è sul terzo lotto, l’ipotesi di scolmatore per l’appunto: un’opera faraonica, del costo di svariate decine di milioni di euro, che servirebbe per mettere definitivamente al sicuro la città dalle alluvioni, anche dalle più catastrofiche piene duecentennali.
Come ricordato, va progettato un terzo lotto, affinché possano essere finanziati i primi due, ovvero il consolidamento degli argini già ammalorati dalle precedenti piene e l’innalzamento dei ponti, con l’eliminazione di quelli a pila centrale e l’installazione di strutture a campata unica.
Ma c’è un aspetto di cui non parla nessuno, se non in pochissimi: probabilmente perché non riscuote consensi, non stimola dibattito, non attira la fantasia che può attirare una grande progettualità, per quanto questa, all’oggi, non esista neppure sulla carta e, da quando si è insediata, vale a dire quasi tre anni fa, l’amministrazione Di Capua non sia andata avanti quasi per nulla, in tema di lavori sul Rupinaro.
Però è un fatto estremamente pratico: va bene parlare di scolmatore, di ponti nuovi, di argini rifatti; va bene pure il dibattito su chi deve finanziare i lavori, il percorso intrapreso tra pubblico e privato (molto faticoso peraltro), il coinvolgimento della Regione.
Ma che senso ha mettere in campo tutti questi discorsi, quando alla foce del Rupinaro c’è un enorme ‘tappo’, rappresentato dalle scogliere parallele artificiali e aggravato dalla presenza di una spiaggetta, sul lato sinistro dell’estuario, dove trovano sede alcune imbarcazioni di diportisti? Non dovrebbe essere la foce di un torrente, per giunta del secondo torrente più pericoloso di tutta la Liguria, completamente sgombra da ogni tipo di ostacolo? Sono domande, magari assolutamente banali ma pienamente legittime, che si stanno facendo, specie in questi giorni, moltissimi chiavaresi. Come mai nessuno parla di questo ‘tappo’? Non è forse la cosa più ovvia, cominciare a liberare la foce e rendere lo scarico in mare più agevole?
È una ‘voce del popolo’, ma neanche così tanto. Perché è suffragata da autorevoli studi scientifici. Uno studio complessivo del 1960, opera dell’esperto Ettore Gallareto e pubblicato da Hoepli con il titolo ‘La difesa delle spiagge e delle coste basse. Studio dei fenomeni litoranei e dei sistemi di difesa’, considerato ancora oggi come un vero e proprio punto di riferimento; e uno studio specifico su Chiavari e su tutto il Levante genovese da parte della Regione Liguria, sotto il titolo ‘Piano di tutela dell’ambiente marino e costiero. Relazione paraggio di Chiavari da Punta Chiappe al porto’, risalente al 2006.
Nel mirino di entrambi i testi, ci sono le cosiddette ‘barriere parallele’, ovvero quelle dighe artificiali, orizzontali, che vennero create, a partire dagli anni Trenta (amministrazione Tappani) con l’obiettivo di difendere la costa e di evitare l’erosione delle spiagge.
Oggi, non solo la costa non viene difesa opportunamente, ma le spiagge necessitano ogni anno di ripascimenti, sono diventate sempre più pietrose e l’imbocco del porto turistico è di frequente soggetto a insabbiamenti, proprio a causa della presenza di questi enormi massi artificiali, la cui manutenzione è peraltro carissima (gli ultimi lavori sono stati fatti, a spese del Comune, la scorsa estate, in piena stagione balneare). In più, il Rupinaro non sfocia correttamente in mare. Un casino totale, insomma.
Nel testo della Regione Liguria, lo stesso ente che oggi preme l’acceleratore sul discorso scolmatore, si parla chiaramente di “un’inspiegabile barriera costruita alla foce del Rupinaro, che ostruisce in pratica il deflusso delle piene del torrente”. E, a conclusione, si dice che “il paraggio nel suo complesso, dal punto di vista della dinamica costiera, appare in forte deficit sedimentario, mentre il sistema di opere di difesa non è adeguato agli scopi e ha generato una situazione della spiaggia sommersa estremamente critica”.
La presenza delle dighe parallele, infatti, non impedisce che il moto ondoso si porti via la sabbia del litorale, lasciando invece intatta la parte più pietrosa, con conseguente danno di tutto lo spazio. Per questo, secondo lo studio della Regione, occorre “un ripristino del sistema spiaggia come principale opera di difesa del litorale. Per ottenere questo obiettivo, occorre smantellare le scogliere parallele e ricostruire un profilo di spiaggia in grado di dissipare interamente l’energia del moto ondoso. Con i profili di spiaggia sommersa attuali si stima un quantitativo minimo di materiale di ripascimento”.
E invece cosa fa il Comune? Spende decine di migliaia di euro per rinfoltire le scogliere! E cosa fa la Regione? Parla di un progetto mastodontico di scolmatore, quando prima, ma molto prima, andrebbe messa mano alla foce del torrente, secondo un documento redatto dagli stessi uffici dell’ente! Se non è un assurdo, poco ci manca.
Lo stesso Gallareto, nel suo libro, avverte: “La quota di spianamento delle dighe deve essere fissata quanto più in basso possibile, compatibilmente con i fini da raggiungere. Una diga parallela la cui sommità fosse troppo elevata sul livello medio del mare, sbarrando il passaggio a una rilevante massa d’acqua, darebbe luogo anche a fenomeni di riflessione, con conseguenze che potrebbero essere dannose per la consistenza del fondo verso il largo. Essa tenderebbe, inoltre, a determinare la formazione di frangenti in cascata che a loro volta darebbero luogo ad erosioni sui fondali lato terra”. Cosa che, effettivamente, stando a quanto rilevato dallo studio di Regione Liguria del 2006, è avvenuta.
È evidente, quindi, che il lavoro più immediato, radicale e urgente, per quanto riguarda il torrente Rupinaro, andrebbe fatto alla foce. Laddove c’è anche chi ricorda un altro fatto. Lo fa presente a ‘Piazza Levante’ Andreino Croce, che ha approfondito per lunghissimo tempo la questione, “nell’arco di una vita svolta sul mare e sul fronte mare, sia per passione che per necessità, e che mi ha portato a continue ed attente osservazioni”.
Nel 2001, l’amministrazione comunale del sindaco Vittorio Agostino, “con una cospicua opera di ripascimento di massi, operò un forte rialzo, per formare uno specchio acqueo riparato dalla traversia di Libeccio, allo scopo di ospitare una darsena per piccole imbarcazioni, con spazio invernale a terra su terrapieno. L’esondazione del novembre del 2002, che causò la morte di un cittadino, oltre ai gravi danni materiali provocati, rivelò, quale certa concausa alla difficoltà di deflusso delle acque, gli alberi ed arbusti intrappolati e trattenuti nello specchio d’acqua alla foce, dai penzoli con gavitelli d’ormeggio, lasciati in sito anche nel periodo invernale. Inspiegabilmente, dopo il tragico episodio, l’amministrazione comunale dette inizio alla posa di massi marmorei all’interno della darsena, per allargamento del terrapieno rialzato, utilizzato per la sosta invernale delle barche”.
Viene ricordato come questo intervento “non fu autorizzato dagli organi preposti, e prontamente interrotto dall’ispezione dell’amministrazione provinciale, con conseguente rimozione di quanto già posto in sito”. Ma, in generale, “l’aspetto dell’ostacolo al deflusso delle acque costituito dalla presenza della diga rialzata è sempre stato ignorato”.
Ne emerge che sarebbe necessario, alla luce di relazioni tecniche e scientifiche, ridisegnare completamente l’estuario del Rupinaro, attraverso la creazione di pennelli perpendicolari, pur salvaguardando la rimessa per le imbarcazioni, ma di fatto liberando la foce del torrente. Esistendo una vasta letteratura sull’argomento, forse sarebbe il caso che ne se tornasse a parlare, insieme al discorso dei tre lotti di lavori.
Lo scolmatore sarà pure essenziale, ma non è forse più essenziale risolvere il problema allo sbocco? Così, invece, è come pensare di rifare il motore di un’auto, e poi lasciare le gomme lisce.
A chi giova tutto questo?