di DANILO SANGUINETI
“Mancò la palestra (o lo stadio o la piscina), non il valore”. Lo società levantine sono arroccate attorno alla loro Quota 33, il punto di estrema resistenza, oltre il quale c’è il deserto della perdita, di iscritti e quindi di prospettive, e dello smarrimento, di obiettivi e quindi di successi.
Che quello 2018-2019 sia stato un biennio bellissimo neppure il più ottimista dei presidenti (di club) se la sente di sostenerlo. Sarebbe sbagliato parlare di crisi, numeri di tesserati e rendimenti per ora sono in media con il resto della nazione, le punte di eccellenza ci sono, realtà che continuano ad emergere e novità assolute pure.
Il punto dolente erano e restano gli impianti. La forza lavoro permane; tecnici e sovrintendenti fanno il loro, abbiamo alcune eccellenze forse sottostimate, sicuramente poche cadute di qualità; i dirigenti nel complesso se la cavano, anche se sono rare le menti illuminate e rarissimi i ricambi: il punto dolente sono le infrastrutture, troppo poche, troppo vecchie. Abbiamo i piloti e i meccanici, non le macchine per tagliare il traguardo. Nonostante una vittoria in un campionato nazionale professionistico di calcio (la Virtus Entella in Lega Pro), il dominio nella massima categoria di pallanuoto maschile (la Pro Recco) più Coppa Italia, uno scudetto e la Coppa Campioni nella Canoa Polo – per restare solo agli sport di squadra – la Riviera di Levante accusa la senescenza non solo della popolazione ma anche della stragrande maggioranza dei suoi impianti.
Nell’ultimo biennio avete assistito all’inaugurazione di uno stadio, un complesso sportivo, un Palazzetto? La pista di atletica all’interno del Parco Andersen è l’araba fenice in un panorama cosparso di ceneri. Ristrutturazioni, ammodernamenti, il più delle volte non spontanei ma imposti dalle leggi sulla sicurezza dei luoghi pubblici. Rinfrescate chiamate pomposamente restyling, in pratica l’inevitabile sostituzione delle parti più cadenti di strutture vecchie di decenni.
I manti erbosi dei principali stadi del Tigullio sono stati sostituiti ma le gradinate e le tribune sono quelle dello scorso secolo. Ci sono casi limite che vanno oltre la decenza. Lo stesso discorso per le piscine. Vogliamo parlare della società più titolata al mondo, la Pro Recco 1913, costretta da un decennio a fare l’ospite pagante nelle vasche del circondario? Punta S. Anna sta per risorgere – c’è voluta ancora una volta la munificenza del privato per portare (forse) la Champions League nella culla della pallanuoto italiana – ma solo una tantum.
Non è sorta quella annunciata millanta volte nell’area Ex IML sempre a Recco, quelle di Camogli, Rapallo, Chiavari e Sestri hanno dovuto vedersela con magagne assortite, strutturali o gestionali o un mix di entrambe. Per non parlare di una vergogna come l’abbandono di quella del Lido di Chiavari, perla gettata in pasto alle solite burocratiche pastoie.
Stadi e piscine hanno almeno dalla loro i risultati che di quando in quando le società più avvedute del lotto ottengono al loro interno. A dispetto di ogni zavorra il Rapallo femminile, il Lavagna maschile hanno conquistato scudetti e medaglie nella pallanuoto giovanile, contro ogni logica la Pro Recco rugby mantiene la prima in una serie nazionale e ha squadre in ogni categoria di età. Negli sport di squadra più popolari, quelli che pescano per la ‘basicità’ delle regole e la semplicità di organizzazione nel bacino scolastico, volley, basket, scherma, galleggiamo con una o due teste che emergono. L’Admo-AMIS è una holding della pallavolo che si sostiene con le sole forze dell’amplissimo vivaio, la Tigullio Team Basket Santa guarda alla serie C2 come una vetta dell’Himalaya. La Chiavari e la Rapallo scherma hanno Falcini maestro azzurro e Navarria prossima olimpionica ma sono rondini che per fare primavera avrebbero bisogno di palestre e un palazzetto nuovi e funzionali, al momento utopie degne di uno scrittore visionario alla Philip K. Dick.
Nessuna traccia di PalaGhiaccio comprensoriale mentre la pista per skating a rotelle di Sestri è in programma ma sui tempi di realizzazione si sta ancora discutendo. Un quadro eccessivamente pessimistico? Non per chi ascolta i dirigenti che lavorano sul territorio.
Pescando nel mezzo senza troppo cercare, ecco Federici, delegato Fipav del Levante: “Se guardiamo al numero di tesserati, e alla qualità di allenatori e allenatrici che con essi lavorano, non ci sarebbe di che preoccuparsi. Le dolenti note arrivano quando esaminiamo le strutture a disposizione. Le società sono in molti casi rette da un pugno di appassionati, senza un grande ricambio, il che è un fattore di grande preoccupazione”.
Gli impianti: “Più che scarseggiare, sono in moltissimi casi non atti a ospitare gare o manifestazioni che esulino dall’ambito provinciale. Abbiamo un sacco di impianti dove allenarsi, pochissimi a norma per partite di livello regionale. E a breve termine non intravedo miglioramenti: le società nostre sono più o meno stabilizzate, ma aumentano le discipline che si praticano in queste palestre e di conseguenza si riducono gli spazi da dividersi”.
Come se ne esce, visto che le strutture sportive in costruzione o in fase di progettazione sono più rare dell’acqua nel deserto del Kalahari? “Razionalizzare, unire le forze, non c’è altra via per il momento”.
Il presidente della Ginnastica Riboli di Lavagna Eugenio Perrone: “La mancanza di interlocutori nel governo della città, ridotto da quattro anni alla gestione commissariale, ha complicato in maniera insostenibile per noi, come per molte altre società, la gestione degli impianti. Per quanto ci riguarda, doverci dividere tra varie palestre, per la precisione quattro, alcune delle quali poco adatte alle nostre esigenze, oltre al confrontarci con imprevisti e sacrifici di ogni tipo, ci ha quasi fatto disperare. La palestra delle scuole Don Gnocchi è affollatissima, è comunale, andrebbe rimodernata o quanto meno messa in efficienza. La dividiamo con formazioni di basket e volley: poiché è la base della nostra squadra agonistica di artistica che necessita di sessioni quotidiane di allenamento, siamo costretti ogni sera a montare e poi smontare i nostri attrezzi. Vi lascio immaginare oltre alla fatica e disagio che cosa ci costi in termini di usura del materiale”.
Chi tiene alta la fiaccola in queste condizioni è un matto o un santo. E non dovrebbe essere così. Come ricorda il Galileo di Bertolt Brecht i paesi fortunati sono quelli che non hanno bisogno di eroi.