di ANTONIO GOZZI
Cosa si intende esattamente quando si parla di sovranità digitale europea?
Ripercorrendo le proposte del Rapporto Draghi, incentrate sulle azioni necessarie per rilanciare la competitività europea, il tema della sovranità tecnologica dell’Europa costituisce una questione cruciale, soprattutto nell’attuale contesto geopolitico globale, in cui le dipendenze tecnologiche da attori esterni pongono rischi significativi per la sicurezza, la competitività e l’autonomia industriale del continente.
Per rispondere a queste sfide si stanno moltiplicando le iniziative volte a ridurre la dipendenza dell’Europa e in prospettiva a garantirne la sovranità digitale assicurando un maggiore controllo sulle infrastrutture digitali essenziali e sulla protezione dei dati sensibili.
Tra queste iniziative si segnala in primo luogo l’iniziativa Eurostack, promossa da esperti del settore tecnologico, economisti e think-tank con il supporto di attori provenienti dall’industria e dalla società civile. L’iniziativa, che sta raccogliendo il contributo di numerose industrie ed aziende europee non solo nel settore digitale, ha prodotto un rapporto, che è stato elaborato da un consorzio composto tra gli altri dal Centre for European Policy Studies (CEPS); e una lettera aperta indirizzata a Ursula Von der Leyen e a Henna Virkkunen (Vicepresidente esecutiva della Commissione Europea per la sovranità tecnologica, la sicurezza e la democrazia), lettera sottoscritta da oltre 80 firmatari e contenente una serie di obiettivi e di proposte di azione. Tra i firmatari sono presenti molte aziende italiane.
Tra le principali proposte dell’iniziativa Eurostack vi sono la concentrazione di investimenti in capacità computazionale pubblica, in data center, reti 5G e semiconduttori avanzati per supportare l’adozione di IA e l’innovazione industriale, anche tramite la creazione di un Fondo Europeo per la Tecnologia Sovrana che dovrebbe avere una dotazione di 300 miliardi di euro in un decennio. Inoltre, tramite un ‘Buy European Act’ si dovrebbe dare priorità ai prodotti digitali realizzati in Europa rispetto ad alternative estere. L’obiettivo sarebbe la creazione di un ecosistema digitale europeo pienamente integrato con servizi interoperabili.
C’è poi il progetto di Rapporto di Iniziativa del Parlamento Europeo. Il rapporto propone una definizione di sovranità tecnologica e sottolinea i rischi collegati al fatto che l’UE dipende fortemente dalle tecnologie straniere sviluppate e controllate da attori esterni.
Il settore del cloud computing è forse l’esempio più evidente: oggi il 69% delle infrastrutture cloud europee è controllato da aziende statunitensi, e il 92% dei dati occidentali è archiviato da server Usa. Ciò implica un grosso rischio legale dato che normative extra-UE, come la Legge per la sorveglianza sull’intelligence straniera (FISA Act) e il Cloud Act, consentono alle autorità statunitensi di accedere ai dati delle aziende europee ospitati su infrastrutture di provider americani.
Per quanto riguarda l’intelligenza artificiale il rapporto evidenzia che l’UE rappresentava nel 2021 solo il 7% degli investimenti globali, rispetto al 40% degli Usa e al 32% della Cina. Oggi la situazione è probabilmente peggiorata e in più da parte americana, anche nella recente e corrente discussione sui dazi, la regolamentazione UE viene percepita come un freno allo sviluppo dell’IA.
Un altro settore strategico in cui l’UE fatica a competere è quello dei semiconduttori, essenziali per la produzione di tecnologie avanzate. Attualmente l’Europa produce solo il 10% dei semiconduttori mondiali, mentre Taiwan e la Cina ne detengono rispettivamente il 54% e il 16% della produzione globale. È ovvio che questa dipendenza espone l’UE a tensioni geopolitiche e possibili interruzioni nelle catene di approvvigionamento.
Con riferimento alle infrastrutture di comunicazione, il rapporto segnala tre debolezze principali dell’UE: le reti terrestri, con una evidente inadeguatezza della copertura in fibra ottica e i ritardi nel dispiegamento delle reti 5G stand-alone; i cavi sottomarini, dove sebbene l’Europa abbia un leader di mercato (Alcatel Submarine Networks) che detiene circa un terzo della quota globale, le recenti interruzioni nel Mar Baltico dimostrano una mancanza di resilienza; e infine le infrastrutture spaziali: mentre gli Usa hanno già più di 4000 satelliti Starlink in orbita l’UE, nonostante una spesa di miliardi di euro già sostenuta, è ancora nella fase di progettazione delle sue costellazioni LEO.
Il rapporto afferma che dinanzi a questa situazione, per riconquistare sovranità tecnologica, l’UE deve puntare su R&S e investimenti, riservare una quota di appalti pubblici alle imprese europee, ed altro.
Il rapporto è già stato discusso in commissione ITRE del Parlamento europeo il 18 marzo. Tutti i gruppi politici hanno espresso sostegno agli obiettivi generali, anche se diversi gruppi politici hanno chiesto modifiche importanti per garantirne l’approvazione.
Il tema della sovranità tecnologica sta assumendo inoltre sempre maggiore rilevanza per i suoi stretti legami con altre questioni strategiche come: concorrenza e dinamiche di fusioni e acquisizioni, con un’attenzione particolare ai fenomeni di acquisizioni “killer” praticati dalle Big Tech; e difesa e sicurezza, in quanto la trasformazione delle infrastrutture digitali in armi rappresenta una minaccia concreta, con implicazioni su aspetti critici come cloud computing, data spaces, cavi sottomarini e reti di telecomunicazione, localizzazione dei data center. Nel concreto esiste il rischio che le infrastrutture digitali vengano strumentalizzate a fini geopolitici, analogamente a quanto accaduto, ad esempio, con il gas.
La situazione fotografata dal rapporto europeo mette bene in risalto il ritardo accumulato dall’Europa sulle tecnologie della digitalizzazione e dell’IA.
La domanda che bisogna porsi è se questo ritardo è recuperabile o se anche in questo caso, come in molti altri (si pensi alla totale assenza di politiche industriali comuni o di politiche energetiche comuni) i documenti europei risultano pieni di buone intenzioni in ossequio al Rapporto Draghi ma poi le azioni concrete non arrivano?
La sensazione è che, anche con riferimento al tema della sovranità tecnologica e digitale, se il modello resta quello di un’iper-regolamentazione gestita da una burocrazia guardiana sempre più autoreferenziale, e se permarrà la carenza di risorse finanziarie sufficienti (perché le ipotesi di debito comune per finanziare grandi investimenti come questi continua ad essere rifiutata da una parte dei Paesi membri) faremo poca strada, e il gap con le altre grandi aree economiche del mondo aumenterà.
La sovranità tecnologica e digitale è allora un’altra questione su cui l’Europa è chiamata a decidere il suo destino scegliendo tra declino inesorabile e cambiamento radicale di paradigma. In questo contesto anche l’Italia deve fare le sue scelte, perché la forza e la specificità della nostra manifattura industriale aprono, ad esempio sulle applicazioni di intelligenza artificiale e sul mantenimento proprietario del know-how del made in Italy, interessantissime prospettive che vanno colte al di là delle lentezze e della iper-regolamentazione dell’Europa.