di ANTONIO GOZZI
L’aggressione dell’Ucraina da parte della Russia di Putin è certamente un atto di imperialismo e colonialismo.
In più di un’occasione Vladimir Putin ha difeso la guerra contro l’Ucraina come una guerra coloniale. In particolare, in un recente incontro con imprenditori russi, ha spiegato ai suoi interlocutori che si considera la reincarnazione di Pietro il Grande e che il mondo è diviso tra paesi coloniali e paesi colonizzati. È chiaro a tutti che dietro l’invasione dell’Ucraina, preceduta dall’invasione della Crimea nel 2014, dietro le minacce ai paesi confinanti come le Repubbliche Baltiche, la Moldavia ecc. c’è un disegno neo-imperiale volto a ricostruire un’area sotto il controllo russo che era stata perduta con la caduta del Muro di Berlino del 1989 e con la dissoluzione dell’Unione Sovietica. Unione Sovietica che, sotto le insegne della fratellanza comunista, non aveva esitato a invadere con i carri armati nel 1956 l’Ungheria e nel 1968 la Cecoslovacchia per fare capire bene a ungheresi e cecoslovacchi le regole dell’impero.
Aggressore e aggredito, resistenza di un popolo e di una nazione democratica contro la brutale invasione di un’armata di un regime totalitario che continua sistematicamente a colpire le popolazioni civili, diritto dei popoli all’autodeterminazione. Non è difficile sapere da che parte stare, non sono concetti così difficili da capire.
Eppure un pacifismo che ho più volte definito “pacifismo della resa”, che vede schierate tra le sue fila tendenze e movimenti della sinistra più radicale oltreché sovranisti di varie risme, continua a negare l’evidenza e a negare, di fatto, al popolo ucraino il suo diritto all’autodeterminazione e all’autodifesa. Tale diritto ovviamente passa per la difesa del Paese armi in pugno e per gli aiuti militari dell’occidente che finora hanno consentito agli ucraini di non essere travolti dallo strapotere militare russo, il quale immaginava di conquistare l’Ucraina in pochi giorni e di insediare a Kiev un governo fantoccio.
Ciò che colpisce è che questi movimenti di sinistra radicale sono stati storicamente schierati per il diritto dei popoli all’autodeterminazione e perché questo diritto potesse essere esercitato e difeso anche con la forza e con la lotta armata contro le potenze coloniali o ex coloniali o imperialiste.
Basti ricordare l’epopea della lotta per la liberazione del Vietnam dai francesi prima e dagli americani poi da parte dei vietcong, o ancora le lotte popolari di liberazione in Algeria, in Sud Africa ecc. Queste lotte, talvolta vere e proprie guerre, sono state sempre sostenute dai movimenti della sinistra che vedevano in esse momenti fondamentali dell’emancipazione dei popoli oppressi dal colonialismo e dall’imperialismo.
Mai, in nessun caso, i movimenti della sinistra radicale in Italia hanno contestato l’uso delle armi ed anzi spesso veniva stabilito un legame politico e culturale di quelle battaglie dei popoli oppressi con la resistenza armata e con la liberazione ottenuta in varie parti di parti d’Europa contro il nazifascismo combattendo strada per strada, città per città.
Liberazione che non sarebbe mai avvenuta se i partigiani non fossero stati continuamente forniti di armi dagli anglo americani.
Il principio è sempre stato chiaro. Essere contrari alla guerra non significa non poter difendere la patria contro aggressioni esterne e invasioni. La nostra Costituzione, la più bella del mondo, definisce la difesa della Patria “sacro dovere”.
Tutto ciò sembra completamente rimosso nel caso dell’Ucraina e del suo popolo che difende strenuamente il diritto ad esistere come nazione indipendente.
Vi sono correnti politico-culturali interne che insinuano che in fondo il governo di Kiev, liberamente eletto e sostenuto dal 70% degli ucraini, non è che un regime di neonazisti (anche se il suo presidente è un ebreo), che bisogna vedere realmente chi ha fatto i massacri di Bucha, che è la Nato ad avere provocato la reazione russa. Tutto ciò mi ricorda tragicamente il 1956 quando il Partito Comunista Italiano, dopo l’invasione dei carri armati sovietici a Budapest, diceva che in fondo il premier ungherese di allora Nagy e il suo governo erano un governo di fascisti.
Arriviamo al caso assurdo dell’Anpi, l’Associazione Nazionale Partigiani d’Italia, cioè l’associazione che ha rappresentato dalla Liberazione ad oggi i partigiani combattenti e i valori dell’antifascismo e della libertà, che attraverso il suo presidente Pagliarulo, storico esponente politico filosovietico, ha assunto all’inizio dell’invasione posizioni filo-russe che hanno suscitato una grandissima discussione interna di cui si sono perse a poco a poco le tracce.
Vengo da una famiglia antifascista e sono iscritto all’Anpi: avrei diritto di conoscere la posizione dell’Associazione a cui sono iscritto rispetto all’invasione russa dell’Ucraina, ai bombardamenti continui sulle città e sulla popolazione civile, alla repressione in Russia di ogni forma di dissenso, al neoimperialismo e al neocolonialismo di Putin. Non so nulla di tutto ciò e vorrei sapere se l’Anpi si riconosce nelle posizioni dell’Europa, di solidarietà attiva con l’Ucraina, o no.
I “pacifisti della resa” fanno finta di non sapere che nessuna vera pace si costruisce sulla sopraffazione e sulla resa, invocano la diplomazia e il dialogo e non denunciano il fatto che è Putin che ha rifiutato finora ogni forma di diplomazia e di dialogo e ha alzato in questi mesi il livello delle minacce ad altri Paesi, tanto da spingere Svezia e Finlandia, storicamente nazioni neutrali, a chiedere l’adesione alla Nato che avverrà nei prossimi mesi caduto il veto turco.
L’assurdo di queste posizioni è che assomigliano terribilmente a quelle dei sovranisti, vedi il nostro Salvini, che con una serie di gaffe grottesche hanno assunto lungo questa tragica vicenda posizioni filorusse di cui non si capisce il senso.
Perché parteggiare per uno stato imperialista, colonialista, dove il potere è nelle mani di una ristretta cerchia di oligarchi stramiliardari che fino ad oggi hanno sostenuto Putin e dove gli oppositori sono incarcerati e fatti sparire? Mistero.
La traiettoria da Ho Chi Min a Salvini è tragica.