di ALBERTO BRUZZONE
Gli scienziati lo chiamano ‘inverno meteorologico’, quel periodo di tre mesi che comprende dicembre, gennaio e febbraio. Ebbene, nell’inverno meteorologico 2021/2022 è piovuto in Liguria appena cinque volte in novanta giorni ed è proprio il caso di dire che le volte si contano sulle dita di una mano: 8 dicembre, 24 e 25 dicembre, 31 dicembre e 14 febbraio.
La conclusione? “È uno degli inverni più secchi e asciutti di sempre”, fa notare Francesca Giannoni, che è la responsabile del settore Meteorologia e Idrologia di Arpal Liguria. Questo significa livello dei torrenti più bassi, meno disponibilità dal punto di vista idrico e, soprattutto, una rivoluzione per quanto riguarda l’agricoltura. È un chiaro segnale dei cambiamenti climatici: paghiamo scotto anche per quanto riguarda la temperatura, visto che, tabelle alla mano, siamo sempre stati al di sopra della media stagionale di due gradi, quando non di due gradi e mezzo.
C’è da preoccuparsi? Non nell’immediato, ma in prospettiva sì, perché se la situazione si protrarrà, potrebbero non essere esclusi i razionamenti. “Tutta questa settimana sarà bel tempo – prosegue Francesca Giannoni – quindi ancora clima asciutto e zero precipitazioni. Nel 2022 ha piovuto un solo giorno, per giunta poco, e siamo ben oltre la metà di marzo”.
Il pensiero va subito agli invasi della Liguria, dai quali dipende la sopravvivenza dei cittadini, ma anche delle attività produttive. Secondo la ricercatrice di Arpal, “la pioggia media degli ultimi dodici mesi evidenzia chiaramente pesanti deficit pluviometrici, nell’ordine del 33% a monte del Brugneto e del 49% ad Osiglia: il primo è un lago usato per scopi idropotabili, mentre il secondo è utilizzato solo per scopi idroelettrici. Questi dati segnalano, dunque, come la mancanza di piogge sia legata non solo al periodo autunno-inverno ma anche alla primavera e all’estate 2021, in cui la piovosità è risultata modesta. Non solo: allargando lo sguardo anche ai periodi precedenti, si evidenzia come le precipitazioni siano state complessivamente scarse nell’intero, ultimo biennio”. Le statistiche di Arpal evidenziano che è il centro ponente il territorio della Liguria che ha sofferto maggiormente la diminuzione degli apporti pluviometrici invernali. Il record è di Cairo Montenotte, che ha registrato -83% di piogge. Non è andata molto meglio a Genova, -72% di piogge. Solo La Spezia perde di meno, attestandosi ‘appena’ al 50%. Vengono in mente periodi passati in cui l’acqua del lago del Brugneto veniva razionata, “ma stiamo parlando di situazioni in cui non erano ancora state fatte importanti migliorie”, tranquillizza Francesca Giannoni. È chiaro, però, che l’attenzione è alta.
Matteo Campora, assessore all’Ambiente del Comune di Genova, osserva: “Attualmente, nel lago del Brugneto ci sono ventuno milioni e seimila metri cubi di acqua, con una percentuale di riempimento che si attesta all’84%, quindi sopra alla soglia di emergenza. È vero che non piove da moltissimo tempo, ma l’invaso può reggere. Speriamo comunque che la situazione possa migliorare. Quanto all’erogazione di acqua verso l’Emilia Romagna, e in particolare verso la Pianura Padana attraverso il Trebbia, come ogni anno subordineremo questa operazione alla copertura delle esigenze idriche di Genova”.
Anche il settore dell’agricoltura è in grande apprensione. “E questo perché – fa presente Lorenzo Dasso, la cui azienda agricola si trova sulle sponde dell’Entella e si concentra, in particolare, sulla coltivazione degli Antichi Ortaggi del Tigullio, con il cavolo lavagnino su tutti – quasi nessuno in Liguria possiede impianti di irrigazione artificiali, a parte qualche vigneto. Ormai il nostro lavoro è un disastro e i cambiamenti climatici ne sono la causa principale. L’acqua inizia a mancare, dobbiamo provvedere noi, i campi non riescono ad alimentarsi da soli perché non piove. E poi il clima: tutte le colture, ormai, sono anticipate di due mesi. Pensiamo alle olive: una volta si raccoglievano verso la fine di gennaio. Adesso, ai primi di dicembre abbiamo già fatto tutto. Se andiamo avanti così, non potranno non esserci conseguenze. Ma la colpa del fatto che non piove è dell’uomo, non ci sono mica altre spiegazioni: abbiamo rovinato tutto”.
Il tema siccità è stato affrontato lungamente martedì scorso, 22 marzo, in coincidenza con la Giornata Mondiale dell’Acqua. Nel rapporto realizzato appositamente, l’Istat osserva che “gli episodi di scarsità idrica sono sempre più frequenti, eppure oltre un terzo dell’acqua immessa nella rete di distribuzione, in Italia, va perso, secondo gli ultimi dati, relativi al 2020”.
Perdono gli acquedotti e pesano anche le abitudini delle famiglie. Secondo il Blue Book della Fondazione Utilitatis, l’Italia è la nazione europea che consuma più acqua e supera i 236 litri per abitante al giorno, oltre cento in più della media comunitaria. L’86% delle famiglie si dice soddisfatto del servizio eppure c’è una diffusa diffidenza verso il rubinetto e oltre una famiglia su quattro (il 28,5% nel 2021) non si fida a bere. Questa quota è maggiore nel Mezzogiorno fino al 59,9% della Sicilia e si è ridotta nel tempo: superava il 40% in Italia nel 2002.
Qualcosa, infatti, comincia a cambiare, e su più fronti. Inizia a diffondersi l’attenzione a non sprecare l’acqua, che viene dichiarata dal 65,9% delle persone con più di 14 anni, e soprattutto i più giovani sono sensibili al tema dell’inquinamento idrico. Crescono, al tempo stesso, gli investimenti nella rete che per il 2020-2021 raggiungono 49 euro, pro-capite, un dato in aumento, secondo il Blue Book, ma ancora lontano dalla media europea di 100 euro. Soprattutto al Sud c’è un divario con l’Unione Europea. Nel Meridione gli investimenti si fermano, in media, a 35 euro per abitante nonostante le perdite idriche siano qui superiori alla media e raggiungano il 50%.
Le perdite, in parte, sono fisiologiche, poi contano la vecchiaia degli impianti e fattori amministrativi come errori di misura dei contatori e a allacci abusivi, che l’Istat stima pesino per il 3% della dispersione. Proprio al contenimento delle perdite sono rivolti il 32% degli investimenti nel settore idrico, seguono gli interventi nelle condotte fognarie e negli impianti di depurazione con il 14%, altri ambiti in cui ci sono criticità e procedure di infrazione europee che riguardano oltre 900 agglomerati per un totale di 29 milioni di abitanti, per i dati Utilitatis. Inoltre in undici città del Mezzogiorno sono state necessarie misure di razionamento nella distribuzione dell’acqua nel 2020.
Intanto gli eventi climatici straordinari si moltiplicano. L’inverno 2021 è stato di grande siccità, con oltre cento giorni senza pioggia nel distretto del Po. A livello globale, l’Onu ha dedicato la Giornata Mondiale alle acque sotterranee. Queste rappresentano il 99% circa delle acque dolci allo stato liquido della Terra e possono garantire, per le Nazioni Unite e l’Unesco, “enormi vantaggi sociali, economici e ambientali, anche in relazione all’adattamento ai cambiamenti climatici”, in un contesto in cui quattro miliardi di persone vivono in aree affette da grave scarsità fisica di acqua, perché non dipendono solo dalle precipitazioni degli ultimi uno o due anni, ma da quelle che si registrano nel corso di decenni. Eppure questa risorsa è sottovalutata e minacciata da un inquinamento che è definito “praticamente irreversibile” e dovuto soprattutto ai fertilizzanti usati in agricoltura. L’appello delle Nazioni Unite ai governi è quello di custodire le acque sotterranee come un bene comune.