di ALBERTO BRUZZONE
“Io sono la prova vivente che puoi avere spazio nei media senza account social. Tu, proprio tu, hai la responsabilità di inventare e dimostrare modi di vivere senza questa schifezza che sta distruggendo la società. Chiudere il proprio account è l’unico modo, per ora, per capire con che cosa possiamo sostituire questo nostro, fenomenale errore”.
Il tu di queste frasi siamo tutti noi. I destinatari dell’invito a rinunciare ai social network. L’io che parla non è un personaggio qualunque. Anzi. Jaron Lanier, uno dei pionieri della ‘realtà virtuale’, è tra i personaggi più noti, seguiti e discussi (oltre che pittoreschi: guardate una sua foto e capirete il motivo) della Silicon Valley, dove lavora come programmatore per le più importanti aziende informatiche del mondo (Linden Lab e Microsoft).
L’eccezionale sta proprio in questo: nel fatto che la richiesta di uscire dai propri profili arrivi da un insider, da un addetto ai lavori, da uno che conosce alla perfezione la ‘macchina’, economica, relazionale, comportamentale, morale.
Nel suo saggio ‘Ten Arguments for Deleting Your Social Media Accounts Right Now’, tradotto in Italia con ‘Dieci ragioni per cancellare subito i tuoi account social’ ed edito dal Saggiatore, l’autore compie una ferrea, argomentata, spietata disamina su come “Google e Facebook, insieme a Instagram, WhatsApp – cioè di nuovo Facebook – Twitter e gli altri social, costituiscono l’impero della modificazione comportamentale di massa”.
Lanier, nelle sue duecento pagine di analisi, ammette sin dal principio di esser parte fondamentale nel settore. Ma dimostra di non voler essere, al cento per cento, del settore. La ‘rivoluzione’ ci può essere e può cambiare il lavoro di tutti gli informatici. Ma non può partire né dal governo, né dalle istituzioni, né dalle aziende stesse, per le quali l’attuale sistema altamente profittevole è una garanzia.
Deve invece partire dal basso. Ed è lo stesso Lanier a chiedere aiuto: “Quando interagisci con noi, quando fai resistenza in modo creativo, stai sfidando anche altre forze: quegli anomali incentivi finanziari di cui ti ho parlato, che ci stanno già imprigionando. La tua resistenza può contribuire a liberarci. Non voglio una guerra, sto solo chiedendo aiuto”.
Aiuto per uscire dal ‘Grande Fratello’. Solo un grande, enorme movimento di massa può contribuire a cambiare realmente le cose. A ristabilire un giusto equilibrio tra i (pochi) padroni del sistema e l’intera civiltà.
Ma perché tutto dovrebbe cambiare? Lanier elenca le dieci ragioni e, ad ognuna, dedica un capitolo. Devi uscire dai social perché:
- Stai perdendo la libertà di scelta
- Abbandonare i social media è il modo più mirato per resistere alla follia dei nostri tempi
- I social media ti stanno facendo diventare uno stronzo
- I social media stanno minando la verità
- I social media hanno tolto significato a quello che dici
- I social media stanno distruggendo la tua capacità di provare empatia
- I social media ti rendono infelice
- I social media non vogliono che tu abbia una dignità economica
- I social media stanno rendendo la politica impossibile
- I social media (ti) odiano (nel profondo del)l’anima
C’è una parola, che ricorre dall’inizio alla fine. E, a sorpresa, non è fake. Ma un termine molto, molto più pesante: bummer, tradotto in italiano ‘fregatura’. Nell’originale però c’è di più: un qualcosa di scadente, ma anche di molesto, di nocivo. Uno dei mali del secolo, insomma.
Perché “i social tirano fuori il peggio di te, spingendoti a manifestazioni d’odio di cui non ti pensavi neppure capace; ti ingannano con una popolarità puramente illusoria; ti spacciano dopamina a suon di like, intrappolandoti nella schiavitù della dipendenza. Distorcono il tuo rapporto con la verità e degradano la tua capacità di empatia, disconnettendoti dagli altri esseri umani anche se ti senti più connesso che mai. Corrompono qualsiasi politica che ambisca a dirsi democratica e devastano qualsiasi modello economico che non sia fondato sul lavoro gratuito. Inoltre – e questa è la cosa che ti scoccia di più, se ci pensi – si arricchiscono infinitamente vendendo tutti questi dati agli inserzionisti, plasmando la tua volontà attraverso pubblicità targettizzate; e lo fanno attraverso algoritmi che spiano e registrano qualunque cosa tu faccia”.
Secondo l’autore, “i benefici che ti danno i social media non controbilanceranno mai le perdite che subisci in termini di dignità personale, felicità e libertà di scelta. Questo totalitarismo cibernetico ci distruggerà. Internet non è il male, ma va ripensato profondamente. Compi un gesto che spinga le tech company a cambiare, non resterai tagliato fuori dal mondo. Riprenditi il controllo della tua vita. Cancella subito tutti i tuoi account social”.
Un bel film di qualche anno fa, ‘The Circle’ con Tom Hanks ed Emma Watson (tratto dal libro omonimo di Dave Eggers), raccontava per l’appunto le deviazioni di un sistema malato, marcio e ipocrita: mentre i dipendenti di un’azienda informatica dovevano mettere sulla pubblica piazza tutto (ma proprio tutto) della loro giornata, i padroni potevano spiare le vite degli altri, senza neppure sentir il bisogno di iscriversi al loro stesso social media. La pellicola anticipava quanto auspicato da Lanier: una grande ‘ribellione’ collettiva faceva cadere i colossi e costringeva a ripensare l’intero sistema.
Il racconto rischia seriamente di diventare reale. Lanier, ben lontano da voler distruggere tutto, anche perché ne risentirebbe sul lavoro, indica la ricetta per iniziare a ‘moralizzare’.
E’ stato bello, per noi di ‘Piazza Levante’ trovare a livello global un tema che, sin dal primo numero, abbiamo cercato di declinare sul piano local.
‘Glocal… no social’, la nostra filosofia. Scrive l’americano: “Non devi rinunciare agli amici: scrivetevi via e-mail invece di usare i social media, ma usate un account che non venga letto dal provider, quindi niente Gmail, per esempio. Le notizie online puoi ancora leggerle: vai direttamente sui siti d’informazione (anziché guardare le notizie che ti propone il tuo feed), in particolare i siti che fanno giornalismo investigativo. Fatti un’idea della linea editoriale di ogni sito, puoi coglierla solo se fai l’accesso diretto. Abbonati ai giornali online più importanti! Leggine tre al giorno e sarai meglio informato degli utenti dei social media, e in meno tempo”.
Una bella difesa dell’informazione vera, filtrata. Seriamente ‘mediata’. Come dice la parola ‘media’. Che cosa può esservi, al contrario, di ‘mediato’, ovvero verificato e filtrato, su un social network dove tutto è notiziabile, raccontabile, calunniabile?
Proprio ieri, un autorevole e seguito quotidiano online genovese, pubblicava la notizia secondo cui, nelle ore immediatamente successive al crollo del Ponte Morandi, la pagina Facebook più seguita da giornali e televisioni straniere non fosse quella di colleghi italiani. Bensì quella di un esercizio commerciale, di tutt’altra natura rispetto alla comunicazione. Che continuava a dare aggiornamenti minuto per minuto.
Ora dopo ora, i negozianti sono stati intervistati da emittenti inglesi e spagnole. L’autorevolezza delle informazioni? Semplicemente data dalla viralità dei loro post! Più una cosa circola, più diventa vera. Più merita spazio. Non importa più da dove provenga. Un circuito ‘drogato’ a dir poco: non conta più la veridicità del contenuto, ma quante persone raggiunge.
Basterebbe questo, pur nel rispetto degli amministratori di quella pagina, del loro lavoro e della loro stessa libertà, per capire quanto il sistema dell’informazione sia letteralmente impazzito.
Forse, oltre a uscire dai social network, qualcuno dovrebbe scrivere anche un libro su come scendere dalla ruota del criceto.
Ma questa è certamente un’altra storia.