di ALBERTO BRUZZONE
Nel gennaio del 1888, e quindi 134 anni fa, nasceva a Santa Margherita uno dei più importanti poeti, letterati e intellettuali italiani. Si chiamava Camillo Sbarbaro, un autore che ha portato in alto, ma molto in alto, il nome della Liguria e che viene celebrato attraverso la pubblicazione di una raccolta complessiva nella prestigiosa collana de ‘I Meridiani’, fiore all’occhiello dell’editoria italiana, per i tipi di Mondadori.
Il volume, intitolato ‘Poesie e prose’ e curato da Giampiero Costa con un saggio introduttivo da parte di Enrico Testa, docente di Linguistica Italiana all’Università di Genova, viene presentato venerdì 27 maggio, alle ore 17,30, presso il Salone degli Stucchi di Villa Durazzo a Santa Margherita, con la partecipazione degli stessi Costa e Testa, e anche di Francesco De Nicola, pure lui docente universitario. Nell’occasione, sarà possibile visitare il museo ‘Scampoli Multimediali’ che si trova a Villa San Giacomo e che proprio a Camillo Sbarbaro è dedicato.
Secondo Giorgio Caproni, Sbarbaro è stato “uno dei più prepotenti motori del secolo poetico italiano”, eppure la sua opera non ha goduto della fortuna critica che gli spettava: relegato spesso ai margini del sistema, trascurato come poeta provinciale o minore. Non ci si può che rallegrare, allora, per l’uscita del Meridiano che raccoglie l’opera poetica di Sbarbaro: si tratta di un’operazione che finalmente fornisce degli strumenti indispensabili per la ricostruzione precisa di un profilo intellettuale, offrendo coordinate interpretative precise, dati filologici accurati e informazioni indispensabili. Ma soprattutto, è un’operazione critica che sgombra da alcuni malintesi e semplificazioni, a partire dall’idea di uno Sbarbaro come autore ‘facile’, provinciale, che scrive poco.
Tutto al contrario: fin dalla raccolta d’esordio, ‘Resine’, del 1911, Sbarbaro delinea una voce riconoscibile, che a partire dal ben noto nucleo tematico dell’inadattabilità dell’io al mondo inizia a costruire un tono personalissimo e che trova, forse, la sua massima espressione in ‘Pianissimo’ (1914). Proprio questo secondo libro, come mostra in maniera convincente Enrico Testa, “si presenta come una novità assoluta per le modalità con cui Sbarbaro affronta i temi che pone sulla pagina, lontano tanto dall’ironia di Gozzano, quanto dall’abbassamento tonale del crepuscolarismo, pur perseguendo, allo stesso modo, un rifiuto dell’eloquenza e una riduzione, quasi larvare, del soggetto e della figura del poeta”.
Il tema luttuoso torna ancora in ‘Trucioli’ (1920), questa volta legato all’evento che più ha scosso le vite e le forme dell’immaginazione del primo Novecento: e l’urgenza strutturante, di fronte alla disgregazione prodotta dalla Prima guerra mondiale, si fa ancora più forte. Il terzo libro, scrive Testa, è quasi un “racconto”, scandito fra diario cittadino, diario di guerra e ritorno alla vita civile.
Fra ‘Resine’ e ‘Trucioli’ c’è probabilmente già tutto Sbarbaro, o quello che più ci interessa di Sbarbaro, che pure continua a scrivere (nel 1928 esce ‘Liquidazione’, nel 1955 ‘Rimanenze’, nel 1956 ‘Fuochi fatui’ e a seguire: ‘Primizie’, ‘Scampoli’, ‘Gocce’, ‘Il Nostro’ e ‘Nuove gocce’, ‘Contagocce’, ‘Bolle di sapone’, ‘Cartoline in franchigia’, ‘Vedute di Genova 1912’, ‘Quisquilie’): una vasta produzione finalmente riunita e che ci permette di rimettere a fuoco la figura di Sbarbaro. Inoltre, continua a riscrivere i propri testi e traduce (Flaubert, Stendhal, Huysmans, Maupassant, Balzac, Zola Julien Green, Sofocle, Euripide, Eschilo e molti altri). Ecco perché è stato così importante per la letteratura italiana ed ecco perché questa pubblicazione gli restituisce lo spazio e l’importanza che gli competono.