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Giovedì 23 ottobre 2025 - Numero 397

Santa Margherita, nel laboratorio di Alisa Lustig: “Così ho imparato a dare del tu alla ceramica”

Da quando ha aperto un laboratorio per esibire le sue opere, sempre più persone si sono convinte che dietro questi ‘manufatti’ ci sono idee e sensibilità degne di un maestro
Alisa Lustig ritratta nel suo laboratorio di Santa Margherita Ligure
Alisa Lustig ritratta nel suo laboratorio di Santa Margherita Ligure
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di DANILO SANGUINETI

Creare qualcosa con le proprie mani, un privilegio riservato a pochi; il creare qualcosa di importante, un manufatto di pregio (e non si parla di mero valore economico), ancora più raro; la condizione da invidiare in massimo grado è quindi quella dell’artista che è consapevole di possedere un dono e che vuole condividerlo perché ha una missione: portare il bello nel mondo. 

Alisa Lustig va considerata una persona fortunata e allo stesso tempo generosa perché ha scelto di fare delle sue capacità un valore da condividere. Come tutti coloro che usano il loro patrimonio di qualità per migliorare la nostra vita, che ce ne rendiamo conto o no. Lei stessa si camuffa dietro una serie di sottili distinzioni. 

“Io mi considero un artigiano, la parola artista preferisco non adoperarla, mi sembrerebbe un atto di superbia non in linea con il mio carattere e con le mie convinzioni”. Fatto sta che da quando a Santa Margherita Ligure ha aperto un laboratorio per esibire le sue opere, sempre più persone si sono convinte che dietro questi “manufatti” ci sono idee e sensibilità degne di un maestro, e che quello sia anche e soprattutto l’antro di un creativo di prima forza. I “santommaso” possono verificare recandosi in via G. Solimano 2a – 16038 Santa Margherita Ligure (Genova) dove vi accoglierà una “ragazza” che tradisce le sue ascendenze tedesche più con la dialettica – costellata di concetti non banali e riflessioni per nulla facili da seguire – che con la caratteristica inflessione teutonica del suo italiano peraltro ottimo, come l’inglese con il quale accoglie i clienti stranieri che vengono a trovarla. E vengono in tanti nonostante il suo locale non sia certo al centro della cittadina, una gemma dell’interno, alle spalle della riviera rutilante di ritrovi e personaggi glamour.

A farle da propagandista sono i suoi manufatti. E la sua tecnica, conquistata in anni di studio, progetti, tentativi andati a segno e anche no. “La ceramica non è per tutti, ed è una tecnica spietata che non ammette esitazioni. Sbaglia, provi, ri-sbagli, ri-provi, fino a quando non arrivi a qualcosa che ritieni degno di essere proposto”. La disciplina che l’accomuna al padre e al fratello, anch’essi creatori di opere d’arte, sebbene in campi diversi, la pittura e la scultura.

“Ho avuto la sorte di nascere in una famiglia di cultori dell’arte in prima battuta e di artisti poi. E di essere stata educata a riconoscere e all’apprezzare le cose belle. Io vengo buona ultima, tento di non far sfigurare il cognome che porto”. Potrebbe sembrare la finta modestia che affligge tanti geni incompresi, si tratta invece di umiltà sentita, di una dichiarazione di intenti, della chiarezza con la quale ha visto la strada da seguire e dalla sicurezza con la quale la percorre. “Io sono quel che creo. In primis il laboratorio ‘Ceramica Artistica Alisa Lustig’ che è stato fondato a Santa Margherita Ligure nell’anno 2000. Per dieci anni è rimasto in via Cairoli, ora è in via Solimano. La lavorazione manuale prevede la creazione sia dei manufatti in argilla che della decorazione, ispirata principalmente alla natura. Le ceramiche non sono prodotte in serie, salvo specifica richiesta, ognuna è decorata in modo differente. Nei decori l’armonia tra tinte e toni è studiata per esaltare il soggetto, dal monocromo su maiolica agli effetti di smalti accostati o sovrapposti, alle terrecotte invetriate che sfruttano il colore naturale della terra”. Il sottolineare come si tratti di pezzi unici fa capire quanto Alisa sia lontana dal concetto di industriale. “Altrimenti lavorerei in una o per una fabbrica. Qui invece si eseguono soprattutto lavori personalizzati su richiesta, non solo idee regalo, piatti per ricorrenze, anniversari e targhe per case e ville, ma anche pannelli di grandi dimensioni con piastrelle accostate dipinte con paesaggi e decori vari per rivestimento pareti interne ed esterne e tavoli da giardino o terrazzo”.

Per avere una idea si può dare un’occhiata alla collezione che comprende: “Rilievi e quadri di piastrelle, vasi e portaombrelli, idee regalo, bomboniere, piatti e vassoi, piastrelle e targhe, arredi ferro+ceramica, gioielli. Si eseguono inoltre restauri di ceramiche a parte quelle per alimenti”. 

La passione di una vita. “Sono nata qui, e ho vissuto a lungo in una meravigliosa casa colonica sul monte di Portofino. Sono cresciuta lontana dalla vita mondana e dall’odierna società del consumismo. Semplicità, sobrietà e disciplina interiore, ma allo stesso tempo grande libertà nell’ambiente naturale senza l’ausilio del denaro, mi hanno abituata fin da piccola a fabbricarmi molte cose con le mie mani. Risolvere i problemi e le necessità in proprio o con l’aiuto dei familiari era la regola. Non solo per le difficoltà economiche della nostra famiglia, ma espressamente anche a fini educativi”. 

Studia all’Istituto d’Arte, oggi liceo artistico Luzzati, a Chiavari ottimi voti, anche se, di nuovo, si schermisce: “Non sono una ‘natural’, ho faticato a padroneggiare le tecniche del disegno, me la sono cavata fin da subito invece con il modellato. Ho avuto la fortuna di avere ottimi maestri”. 

“Il mio laboratorio-negozio di ceramica è nato in seguito a tanti anni di apprendistato, in cui per la tecnica specifica della ceramica ho integrato le sperimentazioni personali con gli insegnamenti di esperti ceramisti, acquisendo una vasta e approfondita esperienza nel settore”. Volontaria nella bottega del ceramista Gianni Rizzotto, impara i fondamenti del mestiere. “La tecnica oggi giorno offre molte facilitazioni, ma è spesso causa di superficialità perché dà per scontati molti aspetti del lavoro che chi se ne avvale fin da subito non ha modo di sperimentare e comprendere personalmente. Io non ho avuto la possibilità di acquistare materiali ed attrezzature specifiche”. 

Solo chi è caparbio e sa di poter trovare la luce al fondo del tunnel può avere una simile costanza. “L’argilla l’avevo trovata in occasione degli scavi presso casa per il ripristino di un vecchio pozzo. Se la plasticità naturale della terra non era sufficiente e tendeva a screpolarsi durante la modellatura, aggiungevo bentonite, come mi aveva suggerito l’anziano e bravissimo ceramista Angelo Ungania di Ruta di Camogli, che mi diede tanti consigli preziosi perché egli nel primo dopoguerra si era preparato da sé tutte le materie prime partendo dagli elementi (allora vi erano poche fabbriche) e aveva fondato a Faenza un’attività con molti allievi”.

Il seguito sembra uscito di peso da un film di Ken Loach o di Matteo Garrone. “Il mio primo laboratorio fu la nostra baracca in campagna con le pareti di canne e una lunga apertura su di un fianco che faceva da finestra ed illuminazione diurna, la porta di tavolacci lasciava molti vuoti ai fianchi e l’aria circolava liberamente. D’inverno si gelava e alla sera dovevo portare i manufatti in casa per farli asciugare sotto il letto perché talvolta di notte l’acqua ghiacciava anche nella baracca e si sarebbero spaccati essendo ancora umidi. In seguito con mio fratello scultore siamo riusciti ad organizzare un laboratorio liberando da legna e attrezzi agricoli una delle stalle al piano terra della casa in cui abitavamo. Vi abbiamo portato la corrente elettrica illuminandola con luci al neon e rifatto il pavimento di grossi ciottoli e terra battuta con una colata di cemento; le mangiatoie delle bestie qui alloggiate una volta (sull’intonaco della casa era ancora leggibile la scritta: “Vaccheria Portofino Kulm), tolti gli argini di tavole marcescenti, ci facevano da mensola e ripostiglio”.

Il racconto vira verso un finale alla Frank Capra. “Risale ad allora il mio primo grande acquisto: il tornio elettrico e di conseguenza l’esercizio giornaliero per conquistare la padronanza della tecnica del torniante che affiancai ad alcune lezioni private. La cottura delle mie creazioni era risolta con la costruzione in proprio di un forno a mattoni sotto una tettoia di zinchi improvvisata nel giardino”. Senza scendere nei dettagli tecnici la descrizione delle condizioni totalizzanti con le quali lavora e crea, a volte anche oggetti irripetibili e fragilissimi ricorda quella appassionata di Benvenuto Cellini nel portare a termine la fusione del suo Perseo. 

Restituisce con efficacia il senso etico dell’artigianato artistico. Questo importa per Alisa Lustig, che tiene fede al suo cognome (nella lingua madre significa “divertente”) quando passa a narrare i tempi facili, o meglio meno difficili del suo percorso di artista. “D’estate ho potuto affiancare la mia attività con esposizioni all’ aperto e mostre personali in gallerie, nelle località di S. Margherita Ligure, Portofino, Camogli, Rapallo. Con i primi guadagni il lavoro poteva procedere, accompagnavo l’attività pratica con lo studio di manuali e vari testi di insigni ceramisti e con le visite ai rinomati centri della ceramica italiana: Albisola, Montelupo Fiorentino, Faenza, Vietri, De Ruta e diverse località della Sicilia, dove non esitai a domandare e raccogliere più informazioni possibili sui metodi di lavorazione e a chiedere consiglio per risolvere dubbi e problematiche e ampliare le mie conoscenze”.

Il salto era compiuto. “Furono grandi occasioni di viaggio che mi compensarono del lavoro. Poco alla volta potei attrezzarmi un po’ meglio, l’acquisto di un forno elettrico portò ad una grande svolta nel mio lavoro, finché finalmente l’idea di mettere su bottega poté diventare concreta. Fu un tentativo rischioso in cui investii tutte le mie risorse, il risultato di quel primo anno avrebbe segnato il mio futuro. Così nasce la mia attività di ceramista. Dall’ottobre del 2000 le mie sperimentazioni si trasformarono in mestiere”.

Di successo si vorrebbe aggiungere ma si teme di far torto oltre che alla severa modestia di Alisa anche a San Giuseppe Tekton, patrono degli artigiani. Unica raccomandazione per chi va a trovarla: valutate con attenzione il valore delle sue opere e…non fate i tirchi. Ricordatevi del grande Pablo. Picasso disegnava distratto su una tovaglia e una signora, riconoscendolo, gli chiese se poteva fargliene dono. Il grande artista le rispose con un sorriso “Certo, costa diecimila franchi (somma esorbitante per l’epoca)”. La signora arrabbiata “Ma se per questo scarabocchio ha impiegato pochi minuti!” “E lei sa quanti anni di fatica ci sono voluti per scarabocchiare così?”.

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